CORONGIU, UNA “VILLA” DI CONFINE
Sergio Sailis
(Trexenta Storica)
Gli studiosi di storia sarda, e non solo loro, sono sempre rimasti incuriositi dal gran numero di insediamenti umani che nell’Isola, per i più svariati motivi, sono rimasti spopolati nel corso del medioevo con un’incidenza che raggiunge livelli ben superiori rispetto ad altri areali europei. Questi villaggi il più delle volte erano di ridotte dimensioni e composti da poche unità abitative spesso realizzate in prossimità di precedenti insediamenti nuragici, punici o romani e localizzati in modo da risultare più agevole e conveniente lo sfruttamento delle risorse produttive offerte territorio.
Il villaggio di Corongiu era uno di questi piccoli insediamenti rurali della Sardegna medievale; la “villa” dal punto di vista amministrativo era inserita nella curatorìa di Dolia (o Bonavolia) e dal punto di vista ecclesiastico faceva parte della Diocesi omonima.
La sua precisa localizzazione è rimasta per lungo tempo incerta e pertanto gli studiosi che si sono occupati dell’argomento hanno sempre mantenuto una prudente riserva anche per via delle contrastanti testimonianze documentali. Day si limitava a indicare la sua appartenenza al distretto di Monastir associandolo a Nurx (o Nuregi) che collocava genericamente tra San Sperate, Monastir e appunto Corongiu; la Terrosu Asole invece lo poneva in territorio di Donori senza fornire ulteriori informazioni di supporto mentre sia Serra che Casula lo situavano genericamente nei pressi di Monastir senza ulteriori specificazioni.
Una più attenta rilettura di alcuni documenti, peraltro già ben noti agli studiosi, e quella di un manoscritto sinora sostanzialmente inedito consentono, pur con le dovute cautele, di ipotizzare la sua localizzazione in modo più puntuale ossia in territorio dell’attuale Pimentel e più precisamente proprio in località “Corongiu” a circa un km a nord-nord/ovest dal centro abitato.
Se infatti si analizza con più attenzione la famosa “donazione della Trexenta” a suo tempo edita dal Tola, che notoriamente espone l’elenco dei villaggi trexentesi in ordine geograficamente affidabile, notiamo, come aveva opportunamente evidenziato A. Era (che ebbe modo di riesaminare il manoscritto utilizzato dal Tola per la sua edizione ), che tra la villa di Funtana Sihuni e quella di Dei c’era una lacuna nel testo («sa villa de Funtana Sicinj, sa villa de [ … ], sa villa de Dey») e conseguentemente non ci è pervenuto il nome di una villa ricompresa nella donazione.
Sulla scorta di altri documenti però è possibile ipotizzare che il nome del villaggio mancante nel manoscritto sia proprio quello di Corongiu il cui territorio sarebbe quindi racchiuso a sud e a ovest tra i due centri sopra citati; questo giustificherebbe anche il fatto che, nella parte del documento dove vengono ripercorsi (sempre in rigoroso ordine geografico) i confini della curatorìa, il villaggio non è menzionato proprio perché situato all’interno della stessa.
Questa considerazione è supportata dal fatto che un interessante documento, come accennato sostanzialmente inedito, ascrivibile alla metà del ‘300 circa, che riepiloga per singola diocesi le rendite ecclesiastiche della Sardegna da assoggettare alla decima papale, fortunatamente ci informa sull’intitolazione della chiesa del villaggio di Corongiu, della Diocesi di Dolia, la quale era appunto dedicata ai santi Filippo e Giacomo:
Episcopatus Doliensis […]. Item ecclesie Sante Elene ville Dei et santorum Philippi et Iacobi de Corongi. XXV libres.
Nel sud Sardegna le chiese intitolate ai due apostoli contemporaneamente non sono molto frequenti e nella zona compresa nelle curatorìe di Dolia e Trexenta e più in generale nella Diocesi di Dolia forse l’unica esistente (peraltro oggi ridotta a un cumulo di ruderi di scarsa leggibilità) era quella posta nel territorio dell’attuale Pimentel proprio in località “Corongiu” dove, su un preesistente insediamento nuragico, insistono delle vestigia che la tradizione locale, peraltro confermata dalla toponomastica, ritiene siano pertinenti alla chiesa di San Filippo; questi dati ci consentono quindi di poter qui localizzare il villaggio corroborati anche dall’associazione che nel documento si fa villaggio di Dei che infatti era situato nelle vicinanze poco più a nord in prossimità degli attuali confini tra Pimentel e Samatzai.
Fig. 2: Stralcio I.G.M.: Foglio 548 sezione III – Donori, scala 1:25.000
Questa ipotesi di localizzazione è inoltre suffragata dal fatto che, come vedremo più in dettaglio nel prosieguo, in diversi altri documenti di epoca aragonese il villaggio è spesso attestato unitamente ad altri insediamenti della zona quali Barrala, Fontana Siuni, o Nurx ecc. ed in alcuni viene specificatamente ascritto alla Trexenta; si tratta dunque di quella fascia territoriale posta ai confini delle due curatorìe giudicali di Dolia e Trexenta che dalla fase finale del XIV sec. rimase spopolata per alcuni secoli per essere ripopolata solo dal Seicento in poi.
Questa zona — che durante il periodo della dominazione pisana nella documentazione d’archivio risulta costantemente inserita nella curatorìa di Dolia — in seguito entrerà nell’orbita della Trexenta per fare parte integrante stabilmente della “encontrada” allorché il procuratore reale Berengario Ça Plana il 22 marzo 1464 dà il proprio assenso alla restituzione delle tre ville spopolate di Barrala, Corongiu e Fontana Sihuni fatta da Antonia d’Erill a favore di Galceran de Besora per il prezzo di 250 lire di moneta cagliaritana.
La stessa Barrali poc’anzi citata inoltre in diversi documenti è associata ad altri villaggi situati della parte meridionale della Trexenta; in un documento del 12 ottobre 1416 la “villa”, ormai spopolata, per esempio viene concessa in feudo, senza però espliciti obblighi di ripopolamento, a Bartolomeo Pino unitamente alle altre ville spopolate di Villa Campo e Donigala Alba: «villas (vocatam) depopulatas de Barrala (depopulatam) sitam in capite Callari in encontrata de Parte Volla et (quoddam saltum vocatum de Villa de Campo) villam vocatam Donicalalba sitam in curatoria dela Tregenta nec non et quendam saltum vocatum de Villa de Campo situatum in dicta curatoria dela Tregenta presentis insule Sardinie».
La zona di “Corongiu” si presenta come una piccola vallata costeggiata a est da colline marnose (tra le quali quella nota con il sinistro nome di “Bruncu sa furca” ai confini con Samatzai) e a nord e ad est da emergenze arenarie e granitiche; è attraversata da un torrente perenne anche se di scarsa portata denominato Santu Fibippu che nasce qualche km più a nord e lambisce la zona in esame.
L’area risulta frequentata sin dal periodo neolitico come testimoniato dalle pregevoli domus de janas di “Corongiu” situate nelle immediate vicinanze mentre a circa 200 m. in linea d’aria è presente l’altro complesso di domus di “S’acqua salida” in località “Pranu Efis” dove si riscontrano anche tracce di insediamenti del periodo nuragico e romano.
Come accennato, durante il periodo giudicale il villaggio faceva parte del Giudicato di Cagliari e amministrativamente era compreso nella curatorìa di Dolia; purtroppo per questo periodo ci mancano attestazioni scritte e bisogna attendere la “VI Compositio” pisana del 1320–1322 per ritrovare il villaggio che viene così censito dai toscani:
Villa Corognu Curatorie Dolie
pro datio suprascripte ville lb. VI s. VI
pro dirictu tabernarum vini suprascripte ville s. X
pro quondam saltu suprascripte ville lb. I s. XIII d. VI
item grani starella XXXVII
et ordei starella XXI
Dai valori sopra esposti, confrontati con altri della stessa curatorìa o di quelle limitrofe, possiamo immaginare che il villaggio doveva avere una consistenza demografica alquanto modesta. La sinteticità del documento inoltre, quasi sicuramente riepilogo di un lavoro più ampio non pervenutoci, non ci consente purtroppo di avanzare ulteriori analisi sulla situazione economica del villaggio se non quella che nel suo territorio l’attività agricola era preponderante con la coltivazione di cereali e vigne e che il Comune toscano possedeva dei terreni demaniali che, come consuetudine, concedeva in affitto alla comunità ricevendone un canone annuale. Non vengono evidenziati, forse perché marginali, dati sull’allevamento di bestiame, sulla coltivazione di orti e neanche su altre indispensabili attività economiche come il commercio o l’artigianato che comunque possiamo ipotizzare sicuramente presenti come in altre realtà isolane.
Il Comune Pisano era entrato in possesso del villaggio unitamente al terzo del giudicato cagliaritano agli inizi del ‘300 a seguito delle disposizioni testamentarie di Mariano II d’Arborea. I sovrani arborensi infatti, e segnatamente Guglielmo di Capraia, come noto, avevano acquisito il controllo di un terzo del Giudicato di Cagliari a seguito delle operazioni militari del 1257/1258 che portarono al suo smembramento ad opera delle forze congiunte dello stesso Guglielmo, di Giovanni Visconti di Gallura, e di Ugolino e Gherardo della Gherardesca con il fattivo concorso del Comune di Pisa che ritenne per sé la città di Cagliari (Castello Castri) e il circondario.
Il dominio diretto del Comune di Pisa era però destinato ad essere di breve durata; l’infeudazione bonifaciana del Regno di Sardegna e Corsica del 1297 e la conseguente invasione catalano-aragonese pone infatti fine alla supremazia pisana nell’Isola. Pisa a seguito della pace del 1324 deve rinunciare al possesso dei territori sotto il suo controllo mantenendo, anche se per poco tempo, solo quello di Cagliari e delle sue appendici.
Con la conquista iberica quindi anche il villaggio di Corongiu, come del resto la maggior parte dei villaggi isolani, deve fare la traumatica esperienza con una nuova istituzione giuridica: il feudalesimo.
I catalani infatti, ancor prima della conclusione delle operazioni militari per la completa conquista dell’isola, procedettero al frazionamento degli antichi distretti amministrativi giudicali, le curatorìe, concedendo in feudo i vari villaggi sardi a personaggi che in un modo o nell’altro avevano contribuito alla conquista dell’isola in armi o finanziamenti. Così nel 1325 anche Corongiu viene concesso a Guillem Sorell unitamente a Pirri, Cebolla e San Vetrano nel Campidano di Cagliari.
Guillem Sorell era un maiorchino approdato nell’isola al seguito dell’Infante Alfonso; inizialmente risiedeva a Bonaria — la cittadella fondata dagli aragonesi in contrapposizione e dirimpetto alla Castel di Castro pisana — dove godeva di una discreta reputazione anche politica. Nel 1325 infatti è uno degli ambasciatori (assieme a Bernat de Muntalegre) che si recheranno a Corte per conto del governatore e degli amministratori di Bonaria per protestare contro l’atteggiamento dei castellani pisani di Castel di Castro che, a loro dire, impedivano l’ingresso alla città; fautore della completa estromissione dei pisani dalla Sardegna nell’occasione espose al sovrano una serie di argomenti per dimostrare che l’intenzione dei toscani non fosse pacifica e che anzi avevano intenzione di proseguire la guerra. E in effetti da lì a poco ripresero le operazioni militari che si conclusero con la definitiva sconfitta pisana nell’aprile del 1326.
Il possesso di Corongiu da parte del Sorell è però di breve durata; come molti altri feudatari che avevano scarsi e non troppo radicati interessi nell’isola appena un anno dopo infatti, monetizzò la concessione rivendendo i suoi feudi a Ramon Ça Vall.
L’interesse per la Sardegna di Ramon Ça Vall invece era più solido. Era infatti un importante mercante barcellonese che, assieme a suo fratello Bertran, era giunto nell’isola anch’egli al seguito dell’Infante Alfonso del quale era apprezzato collaboratore, consigliere e finanziatore. Ben presto all’attività mercantile associò importanti cariche pubbliche e nel 1328 lo troviamo come Amministratore delle spese reali in Sardegna e nel 1329 ottenne l’amministrazione delle rendite della dogana. Per i loro servigi alla corona entrambi i fratelli vennero quindi ricompensati con la concessione in feudo di diversi villaggi.
Ramon era sposato con una certa Caterina dalla quale ebbe due figli: Ramon II e Bertran II (questi nomi sono una costante nell’onomastica di questa famiglia sia nel periodo precedente alla loro presenza in Sardegna che nei secoli successivi) e muore tra il 1343 e il 1344.
Nella conduzione dei feudi gli succedono quindi i suoi figli ma Ramon II muore poco dopo, nel 1348, forse per effetto della peste, e probabilmente Bertan lo seguirà a breve in quanto nello stesso anno i feudi passeranno a Ramon III (Ramonet), figlio di Ramon II, che, in quanto ancora minorenne, verrà assistito dalla nonna Caterina che a sua volta si avvarrà di persone di fiducia come Arnau Rossinyol il quale nel 1351 per esempio provvedeva a versare il censo feudale per le ville di Cepola, Pirri, Sanvitrano, Gesico, Corongiu (per un importo di 80 fiorini pari a 160 lire alfonsine) o di B. de Vilar che svolse lo stesso incarico nel 1353.
La gestione dei feudi (ad iniziare da Ramon I la famiglia infatti come detto in precedenza aveva costituito un discreto patrimonio feudale sia per concessione del sovrano che per acquisto da altri feudatari) però non era una incombenza semplice specialmente in un periodo turbolento caratterizzato dall’inizio della guerra tra Aragona e Arborea pertanto Caterina nel 1355, approfittando della nuova politica di Pietro IV instaurata dopo il Parlamento del 1355 , cederà alla Corona tutti i possedimenti feudali sardi, compresa Corongiu, e Ramon III, che forse non mise mai piede nell’isola, una volta maggiorenne assumerà delle cariche pubbliche a Barcellona dove diventerà membro del Consiglio dei Cento nel 1366.
La rivolta di Mariano IV aveva quindi evidenziato la precarietà del sistema difensivo impostato dagli aragonesi. La frammentazione del territorio isolano in tanti piccoli feudi — che nelle intenzioni iniziali serviva a garantire la difesa dell’isola senza troppi oneri per le asfittiche finanze della Corona e nel contempo ad impedire la concentrazione di grossi feudi in mano a poche famiglie con i conseguenti disordini interni che caratterizzavano i regni iberici — aveva mostrato tutti i propri limiti. Inoltre bisogna considerare che molti dei titolari feudali una volta concluse le operazioni militari erano ripartiti per la penisola o erano periti per cui i feudi sardi risultavano carenti dal punto di vista difensivo. Da qui la necessità di Pietro IV di riorganizzare il Regno di Sardegna e di riacquistare alcuni feudi per concederli ad altri personaggi in grado di difenderli con le armi.
Tra le decisioni prese da Pietro IV nel 1355 vi era inoltre quella di inquadrare militarmente le ville ponendo i castelli al centro dell’organizzazione militare e nominando il sardo Alibrando de Asseni ed i catalani Huguet de Sent Just e Bernat de Ladrera a capitani affidando loro diverse curatorìe. Alibrando de Asseni si doveva occupare delle curatorìe di Sulcis e Sigerro, Huget de Sent Just le curatorìe di Nuraminis, Siurgus e Gerrei mentre Bernat de Ladrera quelle di Campidano, Dolia e Sarrabus; ognuno dei capitani aveva il comando di 100 uomini a cavallo e 200 a piedi.
Pertanto nello stesso 1355 Pietro IV, dopo aver acquistato i feudi dei Ça Vall, concede Corongiu a Bernat de Ladrera, un militare che aveva rivestito anche l’incarico di Capitano di Iglesias, officio poi revocato in quanto incompatibile con l’essere anche feudatario.
Nel cosiddetto “Repartimiento de Cerdeña” predisposto nel 1359 la villa di Corongiu risulta ancora in possesso di Bernat de Ladrera unitamente a Simbilia (Campita), Puuli (Galilla), Montecartello (Gallura), Vinyola (Vinyola), Fomennale (Campita), Napot (Sols), Sorpe (Galtali-Gallura), Nuruli Galtali) e Isarle e altri salti.
Fig. 3: Stralcio ACA, CV, reg. 43, Componiment de Sardenya, fg. 28r
Proprio l’infeudazione al Ladrera è per noi importante al fine di stabilire la sua localizzazione poiché nell’atto il villaggio viene esplicitamente ascritto alla curatorìa di Trexenta; di per sé l’errata indicazione della curatorìa non sarebbe un caso infrequente ma in questo caso ci consente di stabilire che il villaggio era situato in una posizione di confine tanto da indurre all’errore i funzionari regi.
Fig. 4: Stralcio ACA, R.C., reg. 1028 f. 102r
Il possesso del Ladrera sarà comunque di breve durata in quanto muore nel 1361 per cui i feudi rientrano nuovamente nella disponibilità della Corona.
Durante la nuova parentesi in cui il villaggio tornò alla Corona era scoppiata nuovamente la guerra tra Aragona e Arborea. Le truppe giudicali di Mariano IV avevano invaso il territorio del Regno di Sardegna e dopo aver portato un infruttuoso assedio a Cagliari sul finire del 1366 si erano acquartierate proprio in Trexenta. L’acquartieramento di truppe, per quanto amiche o presunte tali, non era mai un fatto ben visto dalla popolazione locale in quanto spesso gli ordini venivano disattesi e si effettuavano azioni di razzie o furti a danno dei residenti. In questo periodo il nostro villaggio probabilmente si avviava verso un inesorabile tracollo demografico che raggiunse il suo apice verso la fine del secolo.
Nonostante non ne avesse più la disponibilità materiale Pietro IV comunque continuava a elargire infeudazioni; così nel 1367 il villaggio di Corongiu e le altre ville già appartenute a Bernat de Ladrera site nei capi di Cagliari e Gallura vennero infeudate a Guillem de Canelles anch’esso membro di una famiglia che possedeva altri feudi anche in terra iberica.
Anche l’esperienza di Guillem de Canelles come feudatario di Corongiu è destinata ad essere di breve durata se già nel 1369 ne risulta in possesso Pere Bardoner cui Pietro IV concesse la signoria di Corongiu nel Dolia e altre ville che erano state in possesso del Lardera come Sorpe in Gallura, Cargeghe nel Figulinas e di Vignola nel Taras; probabilmente però anche questa volta si trattava più che altro di una concessione solo nominale e anche il Bardoner non riuscì ad entrarne materialmente in possesso per via della guerra.
Nuovamente nel 1373 re Pietro IV infeuda a Ponç de Jardì (Poncio de Jardino) varie ville, tra le quali anche Corongiu che nel documento viene ascritta ancora una volta alla «Encontrada de Tragenta».
Sono anni critici per i catalani: le guerre prima con Mariano IV poi con i suoi figli Ugone ed Eleonora (e con Brancaleone Doria) e successivamente con Guglielmo di Narbona costringono gli iberici sulla difensiva mantenendo nell’isola il possesso di pochi capisaldi. Per poter liberare Brancaleone Doria dalla prigionia seguita alla presa di potere di Eleonora questa viene costretta a sottoscrivere la pace del 1388 con gli aragonesi e tra i funzionari presenti figura anche il Jardì.
La situazione per le armi palate si ribalta dopo la battaglia di Sanluri del 30 giugno 1409; la sconfitta di Guglielmo di Narbona infatti consente ai catalani di riprendere il controllo della maggior parte dei territori perduti in precedenza specialmente nel sud dell’Isola mentre nel nord la guerra continuerà ancora sino al 1420 allorché Guglielmo di Narbona si accorda per la cessione dei propri diritti alla Corona aragonese; resteranno comunque focolai di rivolta sino al 1448 con la definitiva capitolazione di Nicolò Doria.
Nel frattempo la nostra Corongiu era rientrata per l’ennesima volta in possesso della Corona che come al solito, proprio a causa della guerra, aveva urgenti necessità finanziarie per cui Alfonso il Magnanimo nel 1432 decide di vendere alcune ville: Senis, Sipola, Corongiu e Barrala. La prima, situata nel Parte Valenza venne ceduta a Pietro Jofre mentre le ultime due, assieme a Nuraminis, Nuraguens e Borro tutte situate nella curatorìa di Nuraminis e tutte spopolate, vennero concesse in feudo a Roger de Besora il primo marzo 1436 in ricompensa per i suoi servigi in occasione della guerra contro i Doria ed in modo particolare nella presa del castello di Monteleone.
In questo modo Roger de Besora si ritrovava ad essere confinante con il fratello Jaume che già dal 1421 era entrato in possesso dell’intera Encontrada di Trexenta e che, come vedremo, in seguito porterà alla ricongiunzione dei due feudi.
Roger de Besora, sposatosi con Bartolomea, non avendo figli maschi alla sua morte lasciò come erede sua unica figlia Angelina sotto la tutoria della madre e degli zii. Per la giovane ereditiera venne concordato il matrimonio con Manuel de Ribelles ma i feudi di Corongiu e Barrali, forse a causa di operazioni finanziarie, finirono in mano ad Antonio de Sena che li utilizzò, con la baronia di Ussana, per costituire la dote di sua figlia Antonia in occasione del suo matrimonio con Francesc d’Erill.
Antonia de Sena, nel frattempo rimasta vedova del suddetto Francesc d’Erill, nel 1464 acconsentì al riscatto dei villaggi disabitati di Corongiu, Barrala e Funtana Siuni da parte di Galceran de Besora; da questo momento queste ville, benché spopolate, entreranno a dar parte definitivamente dell’Encontrada de Tregenta seguendone le vicende storiche.
Finito il periodo delle guerre con la Corona d’Aragona non cessò però quello delle epidemie e delle carestie pertanto la zona, nonostante la fertilità del suolo, continuò a restare spopolata per un periodo di tempo piuttosto lungo sino al periodo delle rifondazioni Seicentesche. Durante quel secolo infatti, per iniziativa dei signori feudali, in questa zona assistiamo alla fondazione (o rifondazione) di diversi villaggi con gli insediamenti di Donori (1619), Barrali (1646) e di Pimentel (1698). Proprio quest’ultimo sarà destinato ad avere come “fundamentu”, ossia come dotazione territoriale, i territori già appartenuti agli ormai scomparsi villaggi medioevali di Corongiu, Funtana Siuni, forse di Nuraxi nonché probabilmente una parte di quello di Siocco.
Infiniti passaggi di mano quindi per un modesto villaggio di confine tra due curatorìe ma soprattutto pericolosamente vicino alla frontiera tra due entità statuali, quella arborense e quella aragonese, che si sono combattute mortalmente per decenni senza esclusione di colpi.