1347. La
battaglia di «Su aidu de turdu» (*)
Sergio Sailis
(Trexenta
Storica)
(*) articolo pubblicato nella rivista online Insula Noa n.01/2020 |
Il 27 agosto
1347 Pietro IV d’Aragona riceve la tragica e per lui sgradita notizia della
morte di Guillem de Cervelló, Governatore Generale e Riformatore del Regno di
Sardegna e Corsica, e della disfatta delle sue truppe nella località di S’aidu de turdu[1]
ad opera dei signori sardo-liguri della famiglia Doria che da diversi mesi erano
nuovamente in aperta ribellione nei confronti dell’autorità regia.
Nonostante le prime
avvisaglie dell’agitazione doriana fossero evidenti già dall’inizio dell’anno e
ben note a Corte, le svariate richieste di aiuti militari da parte del
Governatore[2] e della
città di Sassari (che si trovava direttamente minacciata) non potevano essere soddisfatte
in quanto il Sovrano era quasi contemporaneamente impegnato militarmente in
terra iberica.
Sin dal mese di
aprile del 1347 infatti nei regni peninsulari della Corona era in atto una grave
rivolta di una parte della nobiltà aragonese (la cosiddetta Seconda Unione di Aragona) e di quella
valenzana capeggiata (per motivi dinastici) dal fratello Jaume; a queste
rivolte interne si aggiunsero, dal mese di giugno dello stesso anno, le
concomitanti incursioni nel Rossiglione da parte di Giacomo re di Maiorca. La
precaria situazione in terra iberica pertanto impediva al Sovrano di reclutare armati
da inviare in Sardegna nonostante le pressanti richieste di soccorso
provenienti dall’isola. La situazione delle armi regie anzi, proprio dalla metà
del mese di agosto, si era fatta alquanto critica ed il Cerimonioso, praticamente
segregato dai nobili rivoltosi nel proprio palazzo di Saragozza, era stato costretto
a sottoscrivere i cosiddetti Privilegi
dell’Unione ossia una serie di importanti concessioni alla classe nobiliare
e conseguenti limitazioni al potere regio.[3]
Solo dopo aver riconquistato il controllo della situazione a seguito della vittoriosa
battaglia di Épila (nei pressi di
Saragozza) del 21 luglio 1348, il Cerimonioso riuscì a revocare queste
concessioni e lo fece platealmente dinnanzi alle Corts di Saragozza dello stesso anno[4]
tagliando con il suo pugnale il documento precedentemente sottoscritto il che
gli valse in seguito l’appellativo di Pere
el del Punyalet.
Tornando alle
vicende sarde, come noto già dalla fine del xii
ma soprattutto nel xiii sec.
alcune importanti famiglie della penisola italiana erano riuscite a ritagliarsi
notevoli spazi di potere instaurando delle signorie territoriali nei Giudicati
sardi ormai sulla via di un lento e progressivo dissolvimento.[5]
Una di queste potenti
casate, quella dei genovesi Doria, aveva rilevanti interessi nel nord Sardegna
(in particolare nell’ex Giudicato del Logudoro col tempo arrivarono a possedere
le curatorìe di Nurra, Nulauro, Ulumetu, Nurcara, Caputabbas, parte di
Costavalle, Meilogu, parte di Figulina e Anglona) dove erano riusciti ad
imparentarsi con le famiglie giudicali e altri potentati sia locali che
peninsulari tra i quali i lunigianesi marchesi di Malaspina anch’essi da tempo
radicati nel nord dell’isola dove avevano ampi possedimenti nelle curatorìe di
Coros, parte di Figulina, Montes con il castello di Osilo.[6]
Suddivisi in
vari rami, spesso in lotta tra di loro, i Doria ancor prima dell’invasione
catalano-aragonese avevano accettato di sottomettersi agli iberici. Infatti in
previsione dell’intervento militare nell’isola Giacomo II aveva predisposto una
fitta ragnatela diplomatica al fine di isolare la potenza pisana e pertanto già
dal luglio 1308 aveva concordato un’alleanza con i Doria e con gli altri
potentati isolani oltreché con i principali avversari che il Comune aveva nella
penisola. In particolare uno dei rami della famiglia doriana, quella capeggiata
da Brancaleone e dal figlio Bernabò, in cambio del loro appoggio ebbe
riconosciuti i propri possedimenti sotto forma di feudo con il merum e mixtum imperium secondo il Mos Cathalonie, ossia secondo le ampie
consuetudini catalane, e con l’impegno a fornire ben 100 cavalli armati per tre
mesi l’anno.[7] Una
volta iniziate le operazioni militari per la materiale presa di possesso della
Sardegna da parte degli iberici l’atto di vassallaggio venne rinnovato in
occasione dell’assedio di Iglesias allorché nel confermare i precedenti accordi
i due Doria prestarono omaggio di vassallaggio all’infante Alfonso.
Después
vinieron al real que tenía el infante sobre aquella villa Bernabé de Oria, hijo
de Brancaleón, y otros barones y señores de aquella casa de Oria, a hacer
reverencia al infante; y le prestaron homenaje por los lugares y castillos que
tenían en aquella isla.[8]
Oltre al
riconoscimento a titolo feudale dei propri possessi ebbero inoltre la promessa
di ulteriori accrescimenti territoriali[9]
ma ben presto, resisi conto che questi impegni non sarebbero stati mantenuti,
già a partire dal 1324[10]
alternavano periodi di fragile tregua a periodi di aperta ribellione, spesso
con l’appoggio diretto o indiretto della Repubblica di Genova.
Alcuni dei feudi
doriani in particolare erano situati in posizione strategica rispetto alla
strada che collegava Sassari a Cagliari e pertanto nei momenti di crisi rendevano
insicure le vie di collegamento dividendo di fatto il Regno di Sardegna e
Corsica in due tronconi. Intorno al 1331 infatti Nicolò Doria aveva iniziato a
costruire la fortezza di Roccaforte nei pressi di Giave[11]
(nella curatorìa di Cabuabbas) in una posizione dominante rispetto al tracciato
viario che portava da Cagliari a Sassari; la realizzazione di questa fortezza
fu però intrapresa senza la dovuta autorizzazione regia e pertanto nel 1334 il
Doria era stato costretto a smantellarla o perlomeno ad interromperne la
costruzione che in seguito, una volta occupata dai catalani, venne ripristinata
dal governatore Rambau de Corbera e, negli anni successivi, diventerà causa di
attrito con Mariano IV d’Arborea che ne rivendicava il possesso.[12]
A seguito delle
rivolte degli anni precedenti[13]
per proteggere le vie di collegamento gli iberici, su impulso dell’allora
governatore Ramon de Cardona, verso il 1333[14]
realizzarono una fortificazione a Sorres capoluogo della curatorìa doriana di Meilogu.
Ovviamente i Doria, nella fattispecie Damiano, se ne lamentarono dinnanzi al re
sostenendo che erano state oltretutto danneggiate cinque loro ville e pertanto nel
1336 il sovrano scrisse al governatore ordinando di distruggere il fortilizio
qualora fosse risultato veritiero quanto affermato dal Doria;[15]
successivamente il sovrano comunicava la sua decisione anche al Doria
tranquillizzandolo sul fatto che avrebbe fatto giustizia tramite il Governatore.[16]
Simile rimostranza venne inviata anche da Fabiano Doria che nel 1339 ricevette anche
lui risposta analoga.[17]
Pietro IV infatti tendeva a temporeggiare perché riteneva la bastida utile per
il controllo del territorio e nel frattempo aveva già dato disposizioni ai suoi
ufficiali di non procedere alla distruzione della fortificazione revocando il
precedente ordine.[18]
Nonostante tutto quindi, sebbene fosse una fortificazione a carattere
provvisorio certo non paragonabile ad altri castelli sardi ben più strutturati,
alcune vestigia della cosiddetta Bastida
di Sorres (o meglio quanto ne restava) sopravvissero sin quasi ai giorni
nostri e, secondo Casula, venne finita di smantellare agli inizi degli anni
cinquanta del secolo scorso.[19]
Causa della
nuova rivolta doriana furono ancora una volta i contrasti con gli ufficiali
regi, l’insofferenza per le mancate promesse dei sovrani iberici nonché, e
forse soprattutto, le manovre di questi per incamerare alla Corona le
importanti piazzeforti doriane di Alghero e Castel Genovese (oggi Castelsardo)
non trascurando all’uopo di fomentare le sempre vive discordie in seno ai vari
rami della potente famiglia ligure.
In modo
particolare la nuova agitazione dei Doria era dovuta alle manovre della Corona
volte a confiscare il castello di Monteleone (con relative pertinenze) e le curatorìe
di Cabuabbas e Nurcara motivandola con il mancato rispetto degli obblighi
feudali da parte dei Doria contro i quali venne istruito un processo da parte
del Governatore Cervelló,[20]
il quale il 9 gennaio 1347 emana la sentenza contro i signori liguri;[21]
probabilmente fu quindi questa una delle principali cause scatenanti la nuova
ribellione doriana che, insofferenti dei soprusi perpetrati a loro danno dagli
ufficiali regi (il cui operato negativo è quasi una costante nelle insurrezioni
sarde emerse peraltro anche in occasione del Parlamento del 1355 e riconosciute
dallo stesso Pietro IV),[22]
appianando momentaneamente le consuete rivalità familiari reagirono unitariamente
con incursioni armate in territorio regnicolo.
La situazione in
breve tempo si deteriora sempre più, il 25 marzo 1347 Guillem de Cervelló pertanto, in previsione di operazioni belliche di una
certa rilevanza e del pericolo incombente su Sassari proibisce di esportare da
questa città grano, orzo, farina e biscotto.[23]
Infatti i Doria stavano mobilitandosi raccogliendo somme da destinare al
reclutamento, sulla piazza di Milano, di 200 uomini a cavallo per quattro mesi.[24]
In previsione di un attacco quindi il successivo mese di aprile il Governatore ordina
che tutti gli uomini di età compresa tra i 14 ed i 60 anni di tenersi pronti
con le armi per i seguenti 15 giorni[25]
e impone di lasciare la città a coloro che risiedono a Sassari da oltre tre
mesi senza che abbiano ancora prestato giuramento;[26]
è evidente l’intenzione del Governatore di garantire all’interno della città esclusivamente
la presenza persone di provata fedeltà. Il 25 maggio ordina che tutti i fanti
ed i cavalieri la prima domenica di giugno si rechino a Sassari per la rassegna
di armi e cavalli e nel contempo proibisce l’esportazione di cavalli dal
distretto cittadino.[27]
Il 26 di giugno ordina un’altra rassegna militare da tenersi sempre a Sassari
nella piazza de Cort de Regne.[28]
Il 5 luglio obbliga gli abitanti del vicariato di Sassari e della baronia di
Osilo di conferire le granaglie in Sassari vietando loro di vendere o
immagazzinare orzo e grano pena una multa nonché il sequestro dei carri e dei
buoi utilizzati per il trasporto.[29]
Emblema dei Cervelló |
Nel frattempo il
Governatore aveva anche inviato Berenguer de Rayadell ambasciatore presso
Mariano d’Arborea (da pochissimo subentrato al trono giudicale a seguito del decesso
del fratello Pietro) al fine di chiedere aiuti contro i genovesi che, secondo
alcune notizie circolate, stavano armando una flotta di galere e preparando l’esercito
per attaccare il regno e il 10 luglio ricevette i risultati dell’ambasceria.[30]
Sempre nello stesso periodo il suo luogotenente Jaume d’Aragó inoltre ordina a
tutti gli abitanti dell’isola di prepararsi con le armi a combattere contro i
genovesi che hanno allestito una flotta di galere ed un esercito di fanti e
cavalieri.[31]
Dalla relazione
stilata dal de Rayadell emerse infatti che Tomaso Malaspina si apprestava a
comandare un esercito composto da 500 a 1.000 balestrieri, 2.000 empavesats e tra i 100 e i 400 cavalieri
che avrebbero dovuto dirigersi da Genova verso la Corsica e la Sardegna a bordo
di 20-25 galee.[32] Una
decina di giorni dopo, il 21 luglio, proibisce ancora una volta di esportare
dalla città di Sassari formaggio, carne salata e altri alimenti[33]
mentre il giorno successivo ottiene rassicurazioni da Mariano d’Arborea circa
il suo impegno per la difesa comune contro i genovesi.[34]
Nel frattempo il
Cerimonioso, nonostante le citate difficoltà, riuscì ad approntare qualche modesto
rinforzo e il 23 di luglio, secondo il ben informato Zurita, un contingente di
armati guidati da Huguet de Cervelló, nipote di Guillem, partì da
Barcellona alla volta della Sardegna:
Y
embarcáronse en la playa de Barcelona en cuatro naves que llamaban cochas y en
tres leños un sábado a 23 de julio deste año, y arribaron con buen tiempo en
Cerdeña.[35]
Si trattava
complessivamente di 72 cavalli armati,[36]
era il massimo che la Corona in quel momento poteva offrire e pertanto il 2
agosto il Governatore proibisce a tutti gli abitanti di Sassari e dei suoi
sobborghi di uscire dal territorio della città o dalla baronia di Osilo senza
la debita licenza[37]
mentre il 5 agosto ordina nuovamente a tutti gli abitanti dell’isola di tenersi
pronti con le armi al primo comando del sovrano;[38]
con il successivo ordine del 7 agosto ordina anche a tutti i corsi e sardi abitanti
in Sassari e sobborghi, tra i 15 e 60 anni, di tenere pronte le armi per
seguire l’indomani la bandiera del sovrano e lo stesso sono tenuti a fare tutti
i catalani, aragonesi, spagnoli e navarresi,[39]
era insomma una sorta di mobilitazione generale. Probabilmente in questo periodo
i Doria avevano già preso e distrutto la Bastida di Sorres.[40]
Frattanto
conscio che le truppe a disposizione non erano comunque sufficienti per
fronteggiare i doriani il Cervelló aveva inviato
il proprio figlio Guerau a Cagliari per portare rinforzi dal meridione dell’isola;[41]
Guerau sulla via del ritorno, avvertito della concentrazione di truppe doriane
in assetto di guerra, stazionò qualche tempo a Macomer, nel sicuro territorio
arborense, con la compagnia di 300 balestrieri prelevati dal capoluogo sardo.
Y
don Guerao se puso con ellos en una villa del estado del juez de Arborea que se
decía Mazumera sin recibir ningún daño de los contrarios, que hacían
ayuntamiento de sus gentes para no dejar pasar a don Guerao con aquella
compañía de ballesteros a juntarse con su padre.[42]
Guillem de Cervelló ben conoscendo i movimenti delle truppe doriane
decise quindi di andare incontro al figlio con il quale si ricongiunse a
Bonorva anch’essa in territorio arborense (nella curatorìa di Costa de Addes).
Pero
luego que tuvo dello noticia Mariano juez de Arborea y conde de Gociano -que
era en aquella sazón fiel al rey y favorecía a sus oficiales- envió a avisar a
don Guerao, y aconsejóle que procurase de pasar cautamente, de suerte que no
recibiese daño, porque le tomaban los pasos y caminos. Habida esta nueva, avisó
dello don Guerao a su padre, y sin que lo entendiese el juez de Arborea salió
don Guillén de Cervellón de Sácer con las mejores compañías de gente de caballo
y de pie, y fuese a poner en una villa del juez de Arborea que se decía
Bonorba, a donde se juntaron los de Cáller con la gente que iba de Sécer que el
gobernador había mandado llamar.[43]
Ai Doria vennero
inviati dei messaggeri per consentire il pacifico transito delle truppe
catalano-aragonesi e questi acconsentirono a condizione che non venissero
danneggiati villaggi e la popolazione avvertendo che comunque sarebbero rimasti
nelle vicinanze per eventualmente difendere i loro possedimenti. Mariano
intuendo il pericolo latente inviò in ogni caso un contingente di 300 cavalieri
di supporto e invitò il Governatore a non muoversi in attesa dell’arrivo di
ulteriori rinforzi che gli stava mandando. Incurante degli avvertimenti di
Mariano e soprattutto senza attendere l’arrivo degli armati da questi promessi,
il Cervelló, confidando in una tregua valida per tutto il mese di agosto,
decise comunque di rientrare a Sassari attraversando di conseguenza nuovamente i
territori doriani.
Tradizionalmente
gli studiosi identificano con Aidu de
turdu («locum vocatum sena dicu de turdu, terrarum baronum de Auria» nelle
fonti catalane citate nella nota precedente) una località in territorio di
Bonorva[44]
nelle vicinanze dell’odierna S.S. 131 in località Ponte mulinu a circa 3 km O-NO dal centro abitato. Sono invece di
diverso avviso Casula che lo localizza nell’attuale territorio di Torralba[45]
e Belli il quale, nel ricostruire il tracciato viario della romana
Turris-Karales, sulla base di alcuni miliari nonché di elementi topografici e
documentali propone la localizzazione a N-NE di Bonnanaro e Torralba e più
precisamente tra Poggio Tulde (ritenuto
corruzione di «turdu») e il vicino M.
Austidu.[46] Tale
tesi è stata recentemente accolta da Deriu-Chessa i quali, oltre a considerare
e approfondire gli elementi apportati dal Belli, analizzano la ripartizione
feudale del territorio all’epoca dello scontro, e respingono pertanto la
vecchia ipotesi bonorvese accogliendo quella torralbese ritenuta più logica anche
perché, come abbiamo detto precedentemente, nei documenti viene specificato
esplicitamente che era in territorio dei Doria.[47]
Tornando agli
accadimenti, arrivata al passo di Aidu de
turdu l’avanguardia iberica, composta da più di 400 uomini sardi e mercenari
italiani, riuscì a passare indisturbata; a questo punto Guerau de Cervelló,
forse imbaldanzito dalla facilità con cui era transitata il primo contingente o
travisando l’atteggiamento apparentemente remissivo e poco battagliero dei sardo-liguri,
si lanciò su di essi con uno squadrone di cavalleria seguito appresso dal
fratello Monic (in realtà il vero nome era Ramon Alemany)[48]
con un altro squadrone. La reazione dei sardo-liguri fu immediata con un fitto
lancio di frecce e dardi e con l’abbattimento dei cavalli per mezzo di lance –atto
che, nella cavalleria medievale, era considerato
deprecabile e privo di onore– dopodiché i cavalieri, una volta atterrati,
venivano inesorabilmente uccisi dai fanti.
Pero
siguiendo don Guerao de Cervellón hijo del gobernador con otro escuadrón,
pareciéndole que la gente de pie de los contrarios era muy vil, con algunas
compañías de caballo arremetió para ellos, y siguió tras él con otra parte de
la caballería otro hermano suyo que se llamaba Mónico de Cervellón; y trabóse
entre ellos muy recia batalla: y los contrarios arrojaban tanta muchedumbre de
astas y dardos y varas enastadas de que ellos usaban, que hirieron los caballos
y los rompieron, de manera que cayendo por tierra los Caballeros los mataban
muy fieramente; y luego se pusieron en huída los sardos e italianos que iban en
la avanguardia.[49]
Nello scontro quindi
oltre a vari esponenti di primo piano dell’esercito iberico trovarono la morte
anche l’irruento Guerau, il fratello Monic, il cugino Huguet ed in seguito,
probabilmente anche se non a causa di ferite ma per il caldo e la sete patita
durante la fuga, anche il padre Guillem.
Et
idem gubernator, quondam, cum aliis equitibus et peditibus retrocedens, ad
terras dicti iudicis redire e recurrere curavit et, dum in esidem maneret et
esset in nemore in quo aquam non poterat intervenire, idem gubernator, propter
calore set sitim, in minibus ali quorum scutifferorum suorum, ab hac luce
migravi.[50]
L’avanguardia
composta da sardi e italiani (probabilmente mercenari al soldo del Giudice o degli
stessi catalani) venne dunque messa in fuga e gli altri superstiti dell’armata
si rifugiarono in territorio arborense attraversando, come sostiene Deriu, la
zona oggi nota come Campo di Santa Lucia per trovare rifugio nel castello del
Goceano dove il Cervelló fu seppellito per ordine di Mariano; i corpi dei
caduti sul posto della battaglia invece non poterono essere recuperati in
quanto rimasti in territorio nemico:
Sepultan
a don Guillén de Cervellón, y no se pueden haber los cuerpos de sus hijos ni de
otros ricos hombres y caballeros muertos en esta villa. El cual, sabiendo el
destrozo del ejército del rey, mandó ir por el cuerpo de don Guillén y llevarlo
al castillo de Gociano, a donde fue sepultado; y no pudo cobrar los cuerpos de
los hijos y de Hugueto de Cervellón sobrino de don Guillén y de otros ricos
hombres y caballeros que murieron en la batalla, porque quedaron dentro en la
tierra de los enemigos.[51]
Purtroppo le
fonti documentali non indicano la data precisa dello scontro sappiamo però che
il 20 agosto Pietro IV informava i consiglieri e probiviri di Sassari che non
poteva inviare i rinforzi richiesti e che pertanto dovevano provvedere da soli
alla difesa della città mentre già il 26-27 agosto veniva informato della
sconfitta subita dalle sue truppe. Da confrontare però questa data con una
lettera datata 28 agosto 1347 con la quale Pietro IV scriveva al governatore
Guillem de Cervelló in merito alle proteste di Benedetto, abate di San Michele
di Plaiano, che richiedeva la restituzione dei beni del monastero che il
Marchese di Malaspina aveva indebitamente occupato tempo addietro e
successivamente pervenute alla curia regia[52]
evidentemente la missiva era stata predisposta prima della tragica notizia;
nella stessa data infatti il sovrano scriveva agli uomini in Sardegna di avere
ricevuto la triste notizia e li esortava ad avere coraggio e resistere ai
rivoltosi.[53]
Nonostante le
successive accuse di tradimento e di connivenza con i Doria,[54]
in questa occasione emerge chiaramente come Mariano IV in più di un’occasione sconsigliò
il Cervelló dall’attraversare le terre doriane perché era stato informato dei
movimenti delle truppe e anche dopo la battaglia fece raccogliere le spoglie
dei Cervelló per tumularli nel castello del Goceano che era di sua proprietà,
come ci informa il Vico:
Cuando
el Juez supo el desastrado suceso de esta guerra, envió por los cuerpos del
gobernador y de sus hijos, y solo pudo cobrar el del gobernador, que le hizo
llevar al castillo de Gociano, donde está enterrado.[55]
Il resto dell’esercito
scampato all’eccidio invece, al comando di Gombau de Ribelles (tristemente noto
in Trexenta per aver ucciso alcuni abitanti del villaggio di Arili),[56]
ormai in rotta, dopo qualche giorno si rifugiò all’interno delle mura di
Sassari collaborando alla sua difesa assieme ad altri contingenti fatti
arrivare via mare da Cagliari.[57]
Il passato
pericolo per la città di Sassari fu decretato solo il 12 settembre del 1347,[58]
ma era un fatto temporaneo in quanto dopo lo scontro di Su aidu de turdu anche le truppe doriane si diressero verso la
città per stringerla d’assedio come conferma lo stesso Pietro IV in una lettera
alla città di Tarragona;[59]
solo nei primi nel gennaio del 1348, dopo cinque mesi e mezzo, dovettero
ritirarsi probabilmente a causa dell’arrivo della peste, del risoluto
intervento del nuovo governatore Riambau de Corbera in carica dall’ottobre 1348,[60]
e soprattutto degli Arborea schierati a fianco dei catalano-aragonesi tant’è
che il sovrano nell’aprile del 1348 con una lettera ringraziava Mariano e
Giovanni per l’aiuto prestato.[61]
La liberazione
della città ancora una volta era provvisoria perché la guerra riprese e qualche
mese dopo Sassari fu nuovamente assediata per altri otto mesi sino a quando nel
1349, ancora una volta con la collaborazione (non certamente disinteressata)[62]
del giudice d’Arborea, vennero intavolate nuove trattative di pace con i Doria
e i Malaspina concernenti anche il castello di Osilo[63]
antico possedimento malaspiniano da qualche anno passato in mano
catalano-aragonese.
La guerra in atto
in Sardegna e la cocente sconfitta subita ebbero delle notevoli ripercussioni
politiche, militari e patrimoniali sulla Corona che dovette vendere rendite,
diritti, etc. per far fronte alle spese militari nell’isola.[64]
Come accennato
in precedenza la notizia della disfatta delle armi catalano-aragonesi raggiunse
Pietro IV a Saragozza proprio durante lo svolgimento delle Corts; il 27 di agosto il sovrano nominò immediatamente una
commissione di cinque persone incaricate di apprestare i soccorsi da inviare in
Sardegna[65] dandole
nel contempo procura a vendere in perpetuo o temporaneamente «villas, castra,
feuda, censualia, iurisdicciones, potestates vel alia iura spectancia» in qualsiasi modo con potere di
definirne i prezzi, autorizzava inoltre la contrazione di debiti in nome della
Corona (e infatti nel successivo mese di settembre venne contratto un prestito
di 100.000 soldi barcellonesi), li autorizzava a negoziare la difesa dell’isola
con coloro che avevano possessi in Sardegna e infine li incaricava di reclutare
un’armata di fanti e cavalieri contrattandone gli stipendi (ammontanti
giornalmente a 6 soldi per i cavalli armati, 4 soldi per i cavalli alforrati e
un soldo per i fanti).[66]
Verso la metà di ottobre fervevano i preparativi per la spedizione anche perché
Francesc de Santcliment, che era stato inviato nell’isola, stimava che per
soffocare la rivolta occorrevano circa trecento cavalieri e 2.000 serventi. A
questi si dovevano aggiungere altri 100 jinetes
(cavalieri) e 500 balestrieri reclutati da Riambau de Corbera (il quale aveva
peraltro anticipato 50.000 soldi per il pagamento degli stipendi) per una spesa
complessiva valutata in 15.000 o 20.000 libbre.[67]
Procedette
inoltre alla cessione di alcuni feudi in Sardegna e il 18 novembre ricevette
dal barcellonese Ramon Desvall (o Ça Vall) 40.000 soldi barcellonesi per la
vendita di Mandas, Escolca e Nurri (situate nella storica curatorìa di Siurgus ma
oggi da alcuni considerate parte della Trexenta) che vennero utilizzati per
pagare gli stipendi ai soldati; l’impegno finanziario del Desvall non era
indifferente in quanto è stato calcolato corrispondente a circa il 20% delle
somme occorrenti per l’intera campagna militare. Il mese successivo inoltre la
Corona cedeva a Ramon d’Ermenter le ville di Baratuli, Baniargia e Sebellesi
nella curatorìa del Sigerro per 2.000 soldi. Alla fine di dicembre vendeva anche
le ville Sicci e Troodor nella curatorìa di Bonavolia a Francesc de Santcliment
per 10.000 s.b.
Oltre alla cessione
di villaggi in Sardegna il re procedette inoltre alla vendita di alcuni
castelli nel Principato e infatti a metà dicembre cede il castello di Torelló a
Pere de Melany al prezzo di 30.000 s.b. e qualche giorno dopo il castello di
Bages a Guillem de Cirera per 7.000 s.b.[68]
Così come il summenzionato Desvall ottenne anche le rendite di Besalú e parte
di quelle di Figueres.[69]
La guerra con i
Doria dunque necessitava di un considerevole impegno finanziario per il quale
non potevano bastare le sole entrate ordinarie e pertanto le operazioni vennero
in parte finanziate con il ricorso al debito[70]
oltre che con altri introiti di carattere straordinario. Una delle misure prese
da Pietro IV fu quindi quella di imporre a tutti i feudatari in Sardegna una
contribuzione straordinaria parametrata al 20% degli uomini atti alle armi o in
alternativa pagare 4 libre di alfonsini minuti per ogni uomo che non
partecipava materialmente alle operazioni militari.[71]
Per quanto riguarda la Trexenta nell’elenco è presente la sola villa di Barrali
(Baralla, all’epoca nella curatoria
di Dolia) all’epoca infeudata a Pere de Sitges il quale per 15 uomini atti alle
armi conteggiati al 20% doveva corrispondere 12 lire; il resto della curatorìa
invece non è inserito nell’elenco in quanto in mano a Pisa, la quale, in base
agli accordi di pace del 1326 non era tenuta a fornire armati.[72]
Sono invece presenti altre ville del circondario alcune attualmente considerate
in Trexenta quali Mandas e Nurri (in feudo a Francesch dez Corral) che per 125
uomini erano accreditate di 100 lire, Gesico, Corongiu, Furtei e Baratuli per
complessivi 140 uomini e quindi 112 lire che erano in feudo ai fratelli Ramon e
Bertran Desvall mentre al cugino Nicolau per Samassi e Baralla corrispondeva 48
lire per il 20% di 60 uomini. Francesch Resta per i villaggi di Donicaller,
Surgos, Resolli, Gerni, Suiroy, Plata, Arseni, Stobor, Colent e Turrui
corrispondeva 88 lire per 110 uomini. Contrariamente a quanto ipotizzato da
alcuni autori, nell’introduzione di questa misura non si deve intravedere una
diversa abilità alle armi da parte dell’elemento sardo ma una semplice tassa.
Infatti, anche dove i feudatari erano in grado di presentare i propri uomini la
Corona preferiva incassare le somme e spenderle come meglio preferiva
reclutando armati di professione specializzati. Anzi era questa una prassi utilizzata
anche in Catalogna come per esempio nel 1368 quando le Corts autorizzarono le richieste del sovrano di convertire la
mobilitazione generale con il versamento di una determinata somma di denaro (2
soldi di diaria giornaliera per coloro che erano tenuti a fornire 5 serventi o
meno) nella misura corrispondente a un combattente ogni 15 fuochi; questo
perché il sovrano in quella occasione preferiva utilizzare quanto ricavato
monetariamente per stipendiare uomini a cavallo ritenuti più efficaci e
qualitativamente superiori rispetto ad un esercito composto da uomini (a volte mal
equipaggiati) come quello che scaturiva da una mobilitazione generale.[73]
Per reperire
risorse finanziarie da destinare a crociate o ad altri impegni militari oppure
a particolari situazioni di difficoltà economica la Corona aragonese inoltre ricorreva
spesso all’aiuto del pontefice al quale chiedeva la concessione delle decime o
l’esenzione dal pagamento del censo o altre sovvenzioni. Anche nel caso della
Sardegna i sovrani avevano richiesto ripetutamente tali sostegni ad iniziare da
Giacomo II. Lo studioso spagnolo Sánchez Martínez ha a più riprese analizzato
in modo approfondito le finanze statali della Corona e in un suo contributo si
è soffermato su alcune di queste decime ossia quella biennale del 1349, la
triennale del 1351 e quella del 1354, anch’essa biennale, richieste da Pietro
IV proprio per la Sardegna e concesse da Clemente VI e da Innocenzo VI.[74]
ACA MR reg. 1178 |
Per quanto
riguarda invece il Regno di Sardegna e Corsica, collettore per la raccolta delle
decime nell’isola venne nominato l’arcivescovo di Cagliari Pietro Çescomes.
Della sua attività di raccolta fondi per questa imposizione purtroppo non ci
rimane molta documentazione; sicuramente però durante il suo incarico come base
per la riscossione delle decime vennero utilizzati degli estimi noti in
letteratura per via di un quinterno intitolato Taxationis benefficiorum Regni Sardiniae nel quale vengono elencati,
distintamente per diocesi, i benefici da sottoporre a tassazione.[82]
Alcuni documenti
custoditi nell’Archivio di Stato di Pisa[83]
trascritti da Silvia Seruis sono riconducibili all’esazione di queste decime;[84]
il 24 dicembre 1350 infatti viene riportato che Pietro Çescomes in qualità di «archiepiscopus callaritanus, collettor
decimarum papalium biennarum convertendarum in subsidium domini nostri regis
Aragonum deputatus ad hec» dispone
che l’opera di Santa Maria di Pisa versi 5 libbre, 18 soldi e 9 denari di
alfonsini minuti per gli immobili posseduti nel castello di Cagliari quale
prima annualità della decima da versarsi entro il successivo mese di febbraio. Negli
altri due documenti (datati rispettivamente 10 e 12 marzo 1351, il secondo dei
quali oggi risulta scomparso e si si trova solo in copia a Cagliari) il citato canonico
Graziani «canonicus kallaritanus subcollettor decimarum papalium biennarum» riscuoteva e quietanzava, per conto
dell’arcivescovo cagliaritano Pietro Çescomes, la prima annata della decima (5
libbre) dovuta dall’Opera di Santa Maria di Pisa per i possessi cagliaritani. In
tutti e tre i documenti a rappresentare l’Opera per i beni posseduti a Castro Calleri era il mercante Simone
Manca che in quel periodo operava stabilmente a Cagliari in rappresentanza
dell’istituto pisano.[85]
Resta tuttavia
da chiarire meglio il diverso importo da riscuotere indicato sul documento del
1350 nonché l’incongruenza presente nei due documenti del marzo 1351 in quanto entrambi
attestano il pagamento di 5 libbre e sempre per il primo anno di esazione della
decima. Facendo il paragone con le scadenze delle decime iberiche dove il
pagamento della prima rata era prevista per il 2 febbraio del 1350 (versamento
prorogato poi al 24 giugno per meri motivi organizzativi) mentre le altre rate
erano previste per il 2 febbraio 1351, 24 giugno 1351 e 2 febbraio 1352,[86]
sembrerebbe che la seconda di queste scadenze sia in linea con la data in cui
il Graziani attesta di aver riscosso gli importi da Simone Manca per conto
dell’Opera.
Quelle sopra
elencate saranno solo alcune delle misure che nel 1355 porteranno Pietro il
Cerimonioso alla riorganizzazione del Regno di Sardegna e Corsica in seguito
alla rivolta di Mariano IV d’Arborea che rischiò di avere conseguenze ben più
pericolose rispetto all’insurrezione doriana.
[1]
Maria Mercè Costa i Paretas, «El
noble Jaume d’Aragó, fill bastard de Jaume II», in Estudis d’història medieval, vol. 1, Barcellona 1969, p. 12.
[2]
Il Cervelló il 20 gennaio 1347 informava il sovrano della preoccupante
situazione di Sassari e dintorni. Analoghe missive vennero inviate ad altri
vari esponenti a corte sia da parte del governatore che da parte di altri
ufficiali regi di stanza in Sardegna. Cfr. Laura Galoppini, Ricchezza e
potere nella Sassari aragonese, Pisa 1989, pp. 34 e ss.
[3]
Santiago Simón Ballesteros, «El
acuerdo secreto firmado entre el rey Pedro IV y el noble aragones Lope de Luna
durante la segunda Union (1347-1348)», in Aragón
en la Edad Media, n. XXII (2011), pp. 247-269. Cfr. Santiago Simón Ballesteros, «Por no caer en
“captividat perpetua e vinamos a condicion d’esclavos”: la radicalización del
movimiento unionista en 1348», rivista online e-Spania, 14 (2012).
[4]
S.J. Hilario Marin, «Un texto
interesante del “Privilegium generale Aragonum”» in Argensola: Revista de Ciencias Sociales del Instituto de Estudios
Altoaragoneses, n. 5 (1951), p. 17.
[5]
Francesco Cesare Casula, «La
Sardegna dopo la Meloria», in AA.VV., Genova,
Pisa e il Mediterraneo tra Due e Trecento. Per il VII centenario della
battaglia della Meloria, Genova, 24-27 ottobre 1984, in Atti della Società Ligure di Storia Patria,
nuova serie, XXIV/2 (1984), Genova 1984, pp. 501-514. Per quanto riguarda l’ex
Giudicato di Torres o Logudoro che qui ci interessa in modo particolare Cfr. da
ultimo Franco G.R. Campus, «Incastellamento
e poteri locali di origine ligure in Sardegna. L’area della Sardegna
settentrionale», in Genova. Una
"porta" del Mediterraneo (a cura di L. Gallinari), Genova 2005, pp. 367-412.
[6]
Francesco Cesare Casula, «Profilo
storico della Sardegna catalano-aragonese», in Medioevo saggi e rassegne, n. 7, Pisa 1983, p. 10 e riproposto in
Francesco Cesare Casula, Sardegna catalano aragonese - profilo
storico, Roma 1984. Cfr. Francesco Cesare Casula,
«I trattati diplomatici sardo-aragonesi del 1323-1326», in AA.VV., Sardegna, Mediterraneo e Atlantico tra
medioevo e età moderna, Studi storici in onore di Alberto Boscolo, La
Sardegna, (a cura di Luisa D’Arienzo),
vol. I, Roma 1993, p. 207. Cfr. Gian Giacomo Ortu,
La Sardegna dei Giudici, Nuoro 2005,
p. 251. Cfr. Alessandro Soddu, «I
Doria, signori di Monteleone», in Monteleone
Rocca Doria, (a cura di Marco Milanese),
Muros 2005, pp. 59-60. Cfr. Alessandro Soddu,
«Corona d’Aragona e Malaspina nella Sardegna del Trecento», in Sardegna catalana, (a cura di A. M. Oliva e O. Schena), Barcellona 2014, pp. 87-103.
[7]
Sandro Petrucci, Cagliari nel Trecento. Politica,
istituzioni, economia e società. Dalla conquista aragonese alla guerra tra
Arborea ed Aragona (1323-1365), Tesi di Dottorato, Università degli Studi
di Sassari, Facoltà di Lettere e Filosofia, Dipartimento di Teorie e Ricerche
dei Sistemi culturali, Dottorato europeo di ricerca in antropologia, storia
medioevale, filologia e letterature del Mediterraneo occidentale in relazione
alla Sardegna, Ciclo XX, Sassari 2005-2006, p. 69. Cfr. Gian Giacomo Ortu, La Sardegna dei Giudici, op.cit.,
p. 252. Cfr. Francesco Cesare Casula,
I trattati diplomatici sardo-aragonesi
del 1323-1326, op.cit., p. 215. Cfr. Alessandro Soddu, I Doria,
signori di Monteleone, op.cit., pp. 59-60.
[8]
Jeronimo Zurita, Anales de Aragón, (edición de Ángel Canellas López. Edición electrónica de
José Javier Iso (coord.), María
Isabel Yagüe y Pilar Rivero), Zaragoza 2003, vol. III, libro
VI, cap. XLV.
[9]
Brancaleone e Bernabò Doria infatti nel sottomettersi al sovrano oltre che
mantenere i loro possedimenti nel Logudoro miravano ad ampliarli nonché a
recuperare i castelli di Goceano e Monteacuto passati in mano arborense. Cfr.
Maria Eugenia Cadeddu, «I
privilegi reali nel Regno di Sardegna e Corsica all’epoca di Giacomo II e dell’Infante
Alfonso d’Aragona. Strategie politiche e militari», in Los cimentos del Estado en la Edad Media, (a cura di Juan Antonio Barrio Barrio), Alicante 2004, p. 164.
[10]
A seguito di questa sommossa avvenuta a Sassari, Vinciguerra Doria venne fatto
giustiziare da Berenguer Carroç. Cfr. Angelo Aldo Castellaccio, «Politica, economia e società a Sassari nei
primi anni della dominazione aragonese» in Aspetti
di storia italo – catalana, Sassari 1983, p. 79.
[11]
Giovanni Deriu, «Fonti per la
storia della villa di Giave durante i sec. XII-XV», in Salvatore Chessa – Giovanni Deriu, Ricerche su Giave, Cargeghe 2008, pag. 68 e segg. Cfr. Alberto Della Marmora, Itinerario dell’isola di Sardegna, vol. III (ristampa edizione 1860
a cura di Maria Grazia Longhi),
Nuoro 1997, p. 15. Cfr. Sandro Petrucci,
Cagliari nel Trecento …, op.cit., p.
1013.
[12]
Sandro Petrucci, Cagliari nel Trecento …, op.cit., p.
1155
[13]
Sul clima di estrema insicurezza e pericolosità nelle campagne e nelle strade
del nord Sardegna negli anni precedenti l’episodio di “Su aidu de turdu” ed in particolare sulle incursioni che i doriani
facevano partendo dal castello di Roccaforte. Cfr. Angelo Aldo Castellaccio, Politica, economia e società a Sassari ..., op.cit., pp. 75-99.
[14]
In quell’anno la fortificazione doveva già essere stata realizzata o era in avanzata
fase di realizzazione in quanto il Cardona vi fece portare prigionieri
Berenguer de Cruïlles e Gombau de Ribelles perché coinvolti, assieme a Jaume de
Carroç, in atti di insubordinazione e oltraggio nei confronti del veguer di
Sassari, Ramon de Montpaò, per il quale venne istruito un processo a carico dello
stesso Carroç. Cfr. Maria Mercé Costa,
«Jaume Carròs i el Veguer de Sàsser», in Archivio
Storico Sardo. n. XXXV (1986), p. 97. Sull’episodio vedasi anche Maria
Bonaria Urban, «L’istituto del
Veguer e l’ amministrazione della città di Cagliari. Alcune note preliminari» in
El món urbà a la Corona d’Aragó del 1137
als decrets de nova planta, XVII Congrés d’Història de la Corona d’Aragó
(coord. per Salvador Claramunt Rodríguez)
vol. 3, Barcellona 2003, pag. 1042, n. 96. Il primo castellano o alcaide della
bastida fu Bort Ça-Cirera che, nominato dal governatore Ramon de Cardona, venne
successivamente riconfermato da Pietro IV alla carica di «alcaydi seu castellani castri sive loci de Sorra siti in insula
Sardinie». Cfr. Archivo de la Corona de Aragón, di seguito A.C.A., R.C.,
reg. 516, ff. 174v-175r. (1333 settembre 1, Lerida). Circa due mesi dopo al
Ça-Cirera subentrò Ferdinando de Ruffis vedasi A.C.A., R.C., reg. 516, ff.
221v-212r (1333 ottobre 27, Saragozza).
[15]
«Supplicatum extitit nobis pro parte
nobilis Danyani de Auria quod cum nobilis Raimundus de Cardona, quondam gubernator
dicti regni, construxerit infra loca ipsius que habere asserit in insula
Sardinie quandam bastidam apud locum de Sorra, cuius occasione quinque ville
quas prefatus Danyanus asserit suas esse destructe existunt et que bastida est
nobis valde dampnosa dirui facere dignaremur eandem». A.C.A., R.C., reg.
1006, f. 113v (1336 ottobre 15, Valenza). Cfr. Sandro Petrucci, Cagliari nel
Trecento …, op.cit., p 1081. Nel documento non sono menzionate le ville
distrutte ma da altre fonti sappiamo che all’epoca Damiano Doria nella zona possedeva
le ville di Ardena, Ruda, Vanare, Siligo, Querquedo, Gonanor Mecdo, Gonanor
Manno, Gruta, Turalba e Saylo tutte site nel Meilogu. Cfr. Giuseppe Meloni, Insediamento umano nella
Sardegna settentrionale. Possedimenti dei Doria alla metà del XIV secolo, in La
Corona d’Aragona in Italia (secc.XIII-XVIII), Atti del XIV Congresso della
Corona d’Aragona, Sassari-Alghero, vol.II, tomo II, Sassari 1995, p. 578.
[16]
A.C.A., R.C., reg. 1007, f. 211v (1337 maggio 3, Saragozza).
[17]
A.C.A., R.C., reg. f. 274v (1339 marzo 15, Valenza).
[18]
A.C.A., R.C., reg. 1008, f. 55r-v (1338 gennaio 9, Gandia).
[19]
Lo storico in un suo volume riproduce una foto del 1951 nella quale sono ripresi
alcuni operai intenti a demolire quello che sembra un terrapieno o i resti di
una costruzione identificata come la bastida. Cfr. Francesco Cesare Casula, La Sardegna aragonese, vol. 1, Sassari 1990, fig. IX.
[20]
In un primo momento era stata presa in considerazione l’idea di acquisire a
titolo oneroso il castello di Monteleone e la curatorìa di Nurcara ma
successivamente questa ipotesi venne accantonata optando per la confisca tout court di questi possedimenti
giudicata meno costosa. Cfr. Alessandro Soddu,
Incastellamento in Sardegna. L’esempio di
Monteleone, Raleigh (USA) 2013, pp. 60-64.
[21]
Alessandro Soddu, I Malaspina e la Sardegna ..., op.cit.,
p. 312.
[22]
Giuseppe Meloni, Il Parlamento di Pietro IV d’Aragona (1355),
collana: Acta Curiarum Regni Sardiniae, vol. 2, Firenze 1993, pp. 242-249.
[23]
Archivio di Stato di Cagliari, di seguito A.S.C., Antico Archivio Regio, Editti
ed ordini, C1, c. 17r, (1347 marzo 25, Sassari).
[24]
Alessandro Soddu, Incastellamento in Sardegna ... op.cit.,
p. 63.
[25]
A.S.C., Antico Archivio Regio, Editti ed ordini, C1, c. 16r, (1347 aprile,
Sassari).
[26]
A.S.C., Antico Archivio Regio, Editti ed ordini, C1, c. 16v, (1347 aprile,
Sassari).
[27]
A.S.C., Antico Archivio Regio, Editti ed ordini, C1, c. 21r, (1347 maggio 25,
Sassari) e A.S.C., Antico Archivio Regio, Editti ed ordini, C1, cc. 21v-22r,
(1347 maggio 25, Sassari).
[28]
A.S.C., Antico Archivio Regio, Editti ed ordini, C1, c. 30r-30v, (1347 giugno
26, Sassari).
[29]
A.S.C., Antico Archivio Regio, Editti ed ordini, C1, c. 26r-26v, (1347 luglio
05, Sassari).
[30]
A.S.C., Antico Archivio Regio, Editti ed ordini, C1, cc. 28r-29r, (1347 luglio
10, Castello del Goceano, Burgos).
[31]
A.S.C., Antico Archivio Regio, Editti ed ordini, C1, c. 29r, (1347 luglio 10,
Sassari).
[32]
Francesco Loddo Canepa, «Alcuni
nuovi documenti del secolo XIV sulla Sardegna aragonese», in AA.VV., Atti del VI Congresso Internazionale di
Studi Sardi (Cagliari 2-8 maggio 1955), vol. 1 - Storia, Cagliari 1962, pp.
279-281. Cfr. Alessandro Soddu, I
Malaspina e la Sardegna …, op.cit., p. 314, doc. 441.
[33]
A.S.C., Antico Archivio Regio, Editti ed ordini, C1, c. 27v, (1347 luglio 21,
Sassari).
[34]
A.S.C., Antico Archivio Regio, Editti ed ordini, C1, c. 30r, (1347 luglio 22,
Castello del Goceano, Burgos).
[35]
Jeronimo Zurita, Anales de d’Aragón …, op.cit., vol. IV-
libro VIII, cap. XVI. cfr. Francesco De
Vico, Historia general de la Isla
y Reyno de Sardena 5 parte, (ristampa edizione Barcellona 1639 a cura di
Francesco Manconi), Cagliari 2004,
p. 181.
[36] Angel Canella López, «Fuentes de Zurita:
documentos de la alacena del cronista, relativos a los años 1302-1478», in Cuadernos de historia Jerónimo Zurita,
n. 23-24, (1970-1971), pp. 278-279 e p. 331, doc. 6. Il quantitativo maggiore,
16 cavalli armati, venne messo a disposizione da Huguet de Cervelló; seguivano
poi 5 cavalli armati forniti da Gombau de Ribelles; e 4 cavalli armati forniti
da Jacme de Talarn e altrettanti da Romeu de Corbera; fornirono poi 3 cavalli
armati: Berengario Gonz Vicent, Dalmau d’ Avinyo, Rambau d’Ezlor (che essendo
malato inviò al proprio posto Jacme Torrella e Barcholomeu Rogaras); 2 cavalli
armati: Berenguer d’Erill, Bernard de Villardida, Bernat de Perpia, Bertran de
Canet fill d’en Ferran, Geraldo de Cleriana, Guillelmo d’Espuig, Ombert de Riu
de Foix, P. d’Ostalrich, Pedro de Ruffas; e 1 cavallo armato: Alfonso de Rando,
Bemat Guilera, Berenguer de Rajadell, Bernart Badia, Bernart Peres Puiadas,
Borc pa Corc, Francesch de Farnez, Garceran de Podios, Gerau de Adarro, Johan
de Ferreres, Ombert Zescorz, P. Baboc, Ramon de Pontons, Ramon de Timor, Ramon
Gari, Romeu de Cleriana.
[37]
A.S.C., Antico Archivio Regio, Editti ed ordini, C1, c. 30v, (1347 agosto 02,
Sassari).
[38]
A.S.C., Antico Archivio Regio, Editti ed ordini, C1, c. 31r, (1347 agosto 05,
Sassari).
[39]
A.S.C., Antico Archivio Regio, Editti ed ordini, C1, c. 31r, (1347 agosto 07,
Sassari). Una sintesi dell’attività del Governatore in questi mesi del 1347 la
si trova anche in Francesco Loddo Canepa,
Alcuni nuovi documenti del secolo XIV
..., op.cit., pp. 268-271.
[40]
Da alcuni documenti successivi tra i quali uno riportante un elenco di
feudatari infatti si apprende che i Doria avevano preso e distrutto la bastida
e ucciso il governatore; da questi documenti tuttavia non è ben chiaro se tale
distruzione sia avvenuta prima della battaglia di “Aidu de turdu” oppure successivamente.
A.C.A., R.C., reg. 1016, f. 51v (1347 agosto 28, Saragozza). Cfr. Sandro
PETRUCCI, Cagliari nel Trecento …,
op.cit., p. 1133. Molto probabilmente però i Doria avevano già distrutto la
fortificazione in quanto durante la fuga successiva alla battaglia il Cervelló
si diresse nella direzione esattamente opposta.
[41]
Maria Mercè Costa, «Oficials de la
Corona d’Aragò a Sardenya (segle XIV)», in Archivio
Storico Sardo, vol. XXIX - anno 1964, Padova 1964, pp. 327-333. Cfr. Evandro
Putzulu, Cervellón, Guglielmo de, in Dizionario Biografico degli Italiani -
Volume 24 (1980).
[42]
Jeronimo Zurita, Anales de Aragón …, op.cit., vol. IV-
libro VIII, cap. XVI.
[43]
Jeronimo Zurita, Anales de Aragón …, op.cit., vol. IV- libro
VIII, cap. XVI. Una breve relazione dello scontro la si può trovare anche in
diversi documenti di cancelleria (dai quali sicuramente ha attinto lo Zurita) in
A.C.A., R.C., reg. 1016 fg. 48v-49r. Cfr. Manuel Sánchez Martínez, Pagar
al rey en la Corona de Aragón durante el siglo XIV. Estudios sobre fiscalidad y
finanzas reales y urbanas, Barcellona 2003, p. 123.
[44]
Meramente a titolo di esempio tra gli altri vedasi Vittorio Angius, in Dizionario geografico
storico-statistico-commerciale degli Stati di S.M. il Re di Sardegna (a cura di
Goffredo Casalis), vol. II, Torino
1834, pp. 441-442; Cfr. Giuseppe Meloni,
«Il Periodo aragonese» in La Provincia di
Sassari: ambiente, storia, civiltà, Sassari 1987, p. 106 e anche in
Giuseppe Meloni, Il Parlamento di Pietro IV d’Aragona (1355),
collana: Acta Curiarum Regni Sardiniae, vol. 2, Firenze 1993, p. 41; Cfr.
Francesco Floris, Storia della Sardegna, 1999, p. 250;
Cfr. Angelo Aldo Castellaccio, L’amministrazione della giustizia nella
Sardegna aragonese, Sassari 2003, p. 61; Cfr. Antonello Mattone, Mariano d’Arborea, in
Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 70 (2007); Cfr. Sandro Petrucci, Cagliari nel Trecento ..., op.cit., p. 1148.
[45]
Francesco Cesare Casula, Profilo storico della Sardegna ...,
op.cit., p. 27.
[46]
Emilio Belli, «La viabilità romana
nel Logudoro-Meilogu», in Il nuraghe
S.Antine nel Logudoro-Meilogu (a cura di A. Moravetti),
Sassari 1988, pp. 335-337.
[47]
Giovanni Deriu – Salvatore Chessa, Meilogu - tomo II, Cargeghe 2014, pp. 133-135.
[48]
Maria Mercè Costa i Paretas, Oficials de la Corona d’Aragó …,
op.cit., p. 333. Cfr. anche Proto Arca
Sardo, De bello et interitu
marchionis Oristanei (a cura di Maria Teresa Laneri), Monastir 2003, p. LII e 12, il quale però confonde
i figli di Guglielmo con i nipoti del Cervelló.
[49]
Jeronimo Zurita, Anales de Aragón …, op.cit., vol. IV-
libro VIII, cap. XVI.
[50]
Manuel Sánchez Martínez, «Despues
de Aidu de Turdu (1347): las repercusiones de los sucesos de Cerdena en el
patrimonio real», in Comunicación del XIV
Congresso di Storia della Corona d’Aragona [Sassari-Alghero, 1990],
Cagliari 1995, Vol. II. p. 803 riproposto e ampliato in Manuel Sánchez Martínez, Pagar al rey en la Corona de Aragón ..., op.cit.
[51]
Jeronimo Zurita, Anales de Aragón …, op.cit., vol. IV-
libro VIII, cap. XVI.
[52]
Alessandro Soddu, I Malaspina e la Sardegna …, op.cit., pp.
314-315.
[53]
Maria Mercè Costa i Paretas, «El
noble Jaume d’ Aragó, fill bastard de Jaume II», in Estudis d’història medieval, vol. 1, Barcellona 1969, p. 12.
[54]
Sandro Petrucci, Cagliari nel Trecento …, op.cit., pp.
1155-1156.
[55]
Francesco De Vico, Historia general …, op.cit., p. 183.
[56]
Gombau de Ribelles infatti assieme a Pere Martì de Sarassa, Matteu de Montpalau
e Francesc Carròs e altri era rimasto convolto nell’omicidio di alcuni sardi
nella villa di Arilis ed in quella di Samassay; per accertare le responsabilità
dell’accaduto il veguer di Cagliari, Bertran de Castellet, nel 1346 inviò in
questi villaggi alcuni funzionari ed esperti in diritto. Cfr. Sandro Petrucci, Cagliari nel Trecento …, op.cit., pp. 706, 1087 e 1136
[57]
Jeronimo Zurita, Anales de Aragón …, op.cit., vol. IV-
libro VIII, cap. XVI.
[58]
A.S.C., Antico Archivio Regio, Editti ed ordini, C1, c. 32v, (1347 settembre 12,
Sassari).
[59]
Isabel Companys i Farrerons, Cataleg de la Collecciò de Pergamins de l’Ajuntament
de Terragona dipositats a l’Arxiu Historic de Terragona, Tarragona 2009, p.
115.
[60]
Sandro Petrucci, Cagliari nel Trecento …, op.cit., p.
1222.
[61]
A.C.A., R.C., reg. 1017, f. 150r (1348, aprile 11). Cfr. Sandro Petrucci, Cagliari nel Trecento …, op.cit., pp. 1148-1149. Cfr. Katrine Melis, I castelli litoranei del giudicato di Gallura, riflessioni sulla
territorialità, Scuola di Dottorato, Università degli Studi di Sassari,
Scienze dei sistemi culturali, Storia degli stati medioevali mediterranei,
Dipartimento di Storia, Ciclo XXII, Sassari 2009-2010, pp. 191-192.
[62]
Il Governatore infatti concesse a Mariano la curatorìa di Monteleone in cambio
della conquista di Alghero e delle altre terre doriane ma la concessione non
concretizzò per mancanza dell’autorizzazione regia. Cfr. Alessandro Soddu, Incastellamento in Sardegna ..., op.cit., p. 64.
[63]
Alessandro Soddu, I Malaspina e la Sardegna …, op.cit., p.
318 e ss. doc. 449- 452-453-454-455-456-461.
[64]
Manuel Sánchez Martínez, Despues de Aidu de Turdu ..., op.cit..
[65]
Ivi, p. 790.
[66]
Ivi, p. 804.
[67]
Ivi, p. 791.
[68]
Ibid., op. cit., pp. 793-794.
[69]
Manuel Sánchez Martínez, «Una aproximación
a la estructura del dominio real en Cataluña a mediados del siglo XV: el
"capbreu o memorial de les rendes e drets reyals" de 1440-1444», in Estudios sobre renta, fiscalidad y
finanzas en la Cataluña bajomedieval, Volume 27 di Anuario de estudios medievales: Anejo, anno 1993, p. 398
[70]
A.C.A., R.P., M.R., reg. 2076, Cfr. Fabrizio Alias,
Rendita e fiscalità nel Regno di Sardegna
(prima metà del Trecento), Tesi di Dottorato, Università degli Studi di
Sassari, Facoltà di Lettere e Filosofia, Dipartimento di Teorie e Ricerche dei
Sistemi Culturali, Dottorato di Ricerca in Antropologia, Storia Medioevale,
Filologia e Letterature del Mediterraneo Occidentale in Relazione alla
Sardegna. Ciclo XXI, Sassari 2008-2009, p. 191.
[71]
Ivi, p. 104-106.
[72]
Pasquale Tola, Historiae patriae monumenta - tomo X: Codex
diplomaticus Sardiniae, tomo I, Torino 1861, doc. XXXII, pp. 677 e ss.
[73]
Manuel Sánchez Martínez, «La
convocatoria del usatge Princeps namque en 1368 y sus repercusiones en la
ciudad de Barcelona», in Barcelona quaderns
d’història , N. 4 (2001), pp. 79-107. Cfr. Maria Teresa Ferrer i Mallol, «La organizaciòn
militar en Cataluña en la Edad Media», in Revista
de Historia Militar, anno XLV, Conquistar
y defender. Los recursos militares en la Edad Media Hispanica, n. extra
2001, Madrid 2001, pp. 159-160.
[74]
Manuel Sánchez Martínez, «Fiscalidad
pontificia y finanzas reales en Cataluna a mediados del s. XIV: Las decimas de
1349, 1351 y 1354», in Estudis
castellonencs n. 6 1994-1995, pp. 1277-1296 riproposto anche in Pagar al rey en la Corona de Aragón durante
el siglo XIV: estudios sobre fiscalidad y finanzas reales y urbanas,
Barcellona 2003.
[75]
A.C.A., R.C., reg. 1062 fg. 125r-126v. cfr. Amada Lopez de Meneses, «Documentos acerca la peste negra en lo dominios
de la Corona de Aragon», in Estudios de
Edad Media de la Corona de Aragon, n. VI, Saragozza 1956, doc. 42 p. 326.
[76]
Manuel Sánchez Martínez, Fiscalidad pontificia y finanzas reales ...,
op.cit. pp. 1283-1285.
[77]
A.C.A., R.P., M.R., reg. 1777 e 1778, registro di Jaime Santcliment e Berenguer
Despapiol.
[78]
A.C.A., R.P., M.R., reg. 1779 I/II, registro di Guillermo e Jaime de Soler.
[79]
A.C.A., R.P., M.R., reg. 1780, registro di Romeu e Guillem Sescomes.
[80]
A.C.A., R.P., M.R., reg. 1781, registro di Bernardo Candela e Gisperto Alberich.
[81]
A.C.A., R.P., M.R., reg. 1782, registro di Berenguer de Llers e Berenguer
Despujol.
[82]
A.C.A., R.P., M.R., reg. 2100. Si tratta di un quinterno privo di data posto in
fondo al reg. 2100 riportante il rendiconto di Pere Veguer, amministratore
regio del Capo di Logudoro. Su questo documento da ultimo cfr. Antonio FORCI,
«Le decime papali nella Diocesi di Suelli da una fonte inedita del sec. XIV»,
in Studi Ogliastrini, n. 12,
Dolianova 2015, pp. 91-100 nonché alcuni accenni nel suo contributo sulle Rationes decimarum in questa rivista.
[83]
Archivio di Stato di Pisa, di seguito A.S.Pi, Diplomatico, Roncioni, pergg.
RON01092 (1350 dicembre 24, Cagliari ) e RON01089 (1351 marzo 10, Cagliari).
[84]
Pietro Martini, Storia Ecclesiastica di Sardegna, vol.
II, Cagliari 1840, p. 176. Cfr. Silvia Seruis,
«Le pergamene relative alla Sardegna nel Diplomatico Roncioni dell’Archivio di
Stato di Pisa», in Archivio Storico Sardo,
vol. XXXXIV, Cagliari 2005, p. 62 nonché doc. LIX p. 232, doc. LX p. 234 e doc.
LXI p. 235. Non rientrando forse nell’ambito del loro studio entrambi gli
autori però non collegano questi pagamenti al documento “Taxationis
benefficiorum Regni Sardiniae” in argomento.
[85]
Per una breve sintesi dell’attività del Manca quale conductor dell’Opera di Santa Maria di Pisa a Cagliari cfr. Bianca Fadda, «Nuovi documenti sulla presenza
dell’Opera di Santa Maria di Pisa a Cagliari in epoca catalano-aragonese», in RiMe. Rivista dell’Istituto di Storia
dell’Europa Mediterranea, n. 4, giugno 2010, Cagliari 2010, pag. 138-139.
[86]
Manuel Sánchez Martínez,
«Fiscalidad pontificia y finanzas reales en Cataluna a mediados del s. XIV: Las
decimas de 1349, 1351 y 1354», in Estudis
castellonencs, n. 6 1994-1995, p. 1284.
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