BARRALI, villaggio della Sardegna nella provincia di Cagliari, distretto di
Ussana, e tappa (uffizio d’insinuazione) di Cagliari. Comprendesi nell’antico
dipartimento di Trejenta del giudicato di Cagliari. L’antico nome di questo
paese era Villarìos.
Giace alle falde di Montiùda, che divide la Trejenta dal Partiolla. Componesi
di 75 case distribuite irregolarmente. Le strade sono senza selciato, e non si
cura di tenerle monde.
Questa parrocchia è nella giurisdizione dell’arcivescovo di Cagliari come
vescovo di Dolia. La chiesa è sotto l’invocazione di s. Lucia v. e m., e fu
rifabbricata nel 1832. Il preposto alla cura delle anime era per l’addietro
qualificato rettore, ma per la tenuità dei frutti decimali già da 30 anni in
qua vi si è instituito un pro-vicario. Per la festa principale della titolare
che si è fissata nella prima domenica di luglio, si celebra una piccola fiera,
l’altra festa occorre addì 13 dicembre.
Nei primi anni del corrente secolo la popolazione sommava appena a 200
anime. Nell’anno 1833 si annoverarono famiglie 75 e anime 246. Il numero
ordinario dei nati è sotto i 10, e quanti nascono, tanti poco meno muojono.
Vestono nelle stesse maniere degli altri campidanesi, se non che se ne
distinguono per la minor pulitezza. Amano molto i balli, e volentieri passano
le lunghe ore in ozio, bruciando tabacco.
La temperatura è calda, e l’umidità è assai sensibile nelle notti: la nebbia
domina in ogni stagione, nè prima si dirada, che sia l’atmosfera ben riscaldata
dal sole: poco danno, o nulla credono patirne i nativi, contro ciò che con più
verità si può dedurre dalla loro poco sana costituzione, dal colorito squallido
e gialleggiante, e dalla brevità della vita.
Le tempeste di grandine e di fulmini sono rare. Il paese è situato su d’un
piano umido in un seno alla falda del detto monte, dove non altro vento passa
che il ponente. Da ciò deducasi qual aria vi si respiri. Alcuni pioppi, che in
diversi siti dell’abitato frondeggiano, ne rendono la prospettiva un po’ amena,
e nella primavera vi si riunisce gran numero di usignoli, che riempiono l’aria
di gratissimi armonici concenti.
Il Barralese nei tratti coltivabili sì del piano, come del monte non
potrebbe capire più di 1000 starelli di semenza (ari 3986), mentre la
superficie può calcolarsi a 15 m. q. Le terre alla parte di ponente sono delle
altre più idonee ai semi, e vi fruttifica bene il frumento, l’orzo, le fave, e
le cicerchie. Lungo il fiume potrebbe venir prosperamente anche la meliga, e
naturarvisi il cotone, come persuade l’esperienza del 1821, fatta come in altri
territori d’ordine vice-regio, e poi non più ripetuta.
Al monte agrario di questo paese era stato assegnato il fondo granatico di
star. 400 (litr. 19,680), ed il nummario di lire sarde 435 (l. n. 835.20).
Nello stato del 1833, il primo comparve cresciuto a star. 1000, il secondo
ridotto a lire sarde 33.10.
L’ordinaria somma delle semenze va a star. 570, così spartiti, che diansi ai
solchi 250 di grano, 200 d’orzo, 100 di fave, 20 di cicerchie. La raccolta suol
computarsi da 5 in 6 mila starelli. Gli orti producono cocomeri, zucche,
poponi, fagiuoli, cipolle. Di lino se ne coltiva tanto, che sia sufficiente ai
propri bisogni. I telai non son più di 20. Poche sono le vigne, poche le
varietà delle uve, il vino di mediocre bontà, che non sempre basta alla
consumazione. Le piante fruttifere sommeranno a circa 800; le specie sono peri,
prugni, mandorli, ed alcuni gelsi e cotogni. I chiusi sono 35, e comprendono
una superficie di star. 150 (ari 5,979), nei quali alternasi la seminagione del
grano e delle fave.
Fuor dei pioppi, nessun’altra specie di alberi vedesi vegetare in queste
terre, dove sarebbero utilissimi e per bonificar l’aria, e per somministrar
delle legna e per le opere e pei focolari.
Tutti i poderi, come nella massima parte dei Campidani si osserva, sono
assiepati con fichi d’India, che vi vegetano con molto lusso. Sono
fruttuosissimi, e quindi per alcuni mesi la misera gente trae la sua
sussistenza, il restante serve ad ingrassare i majali.
In questa regione nessun’altra eminenza è da rimarcarsi, ad eccezione di
Montiùda, dalla quale scopresi grande estensione intorno. È sparsa di macchie,
di lentisco, e di cistio, e vi nasce un po’ di pascolo.
Gli animali che si educano, sono vacche, capre, pecore, giumenti, cavalli, e
porci. I buoi per l’agricoltura sono congiunti in 36 gioghi, le vacche sommano
a capi 150, le pecore a 600, le capre a 200, i giumenti a 100, i cavalli a 25.
Il cacio non è di alcuna riputazione, e non eccede la consumazione del paese.
La cacciagione si esercita contro conigli, lepri, e pernici. Il vicino fiume
durante l’inverno vedesi popolato di anitre, e di galline acquatiche.
Due o tre sorgenti poco considerevoli sia per la qualità, sia per la
quantità trovansi nel monte: sono assorbite prima di toccare le sponde del
fiume. Questo è un confluente del Caralìta, che finora non ha un nome proprio
nella corografia sarda, sebbene molti ne abbia nello sviluppo della sua linea
entro i diversi territori, che bagna (Vedi articolo Trejenta). Scorron le sue
acque a ponente del paese alla distanza di 8 min. Il suo guado trovasi nella
stessa direzione sulla strada a Pimentèl: non è pericoloso, che dopo grossi
temporali, estendendosi allora circa un quinto di miglio. Le inondazioni recano
sempre gravi danni agli orti; e quando accadano prima che le messi siano
conservate, si rischia di perderle, da che le aje si fanno presso alle rive. A
mezz’ora dal paese presso il luogo, dove esisteva l’antica popolazione di
Santàdi, ossia Natali, pare di riconoscere il piede del ponte, per cui si
passava ad una chiesa, di cui ora nè appariscono pure le vestigie. Ben però
sono visibili quelle della detta popolazione, essendo frequenti le rovine, ed
anche i sepolcri. Nella primavera pigliansi in queste acque bellissime trote, e
nel romper dell’autunno una considerevole quantità di anguille, che vendesi con
molta riputazione.
Questo territorio si traversa dalla strada provinciale della Ogliastra, e
avvicinasi al paese poco più d’un miglio.
Baràli è distante da Pimentèl mezz’ora; da Ortacèsus e Samazzài 3/4; da s.
Andrea, Senorbì, Arixi, Donòri un’ora; da Suelli, Sèlegas, Guamaggiore un’ora e
1/4; da Guasila un’ora e mezzo; dalla capitale 5 ore e mezzo. Le strade sono
carreggiabili, ma non senza qualche difficoltà, principalmente d’inverno.
Di cose antiche altro non si può osservare, che le su accennate rovine di
Santàdi, ed un sol norache sopra Montiùda, donde si vede tutto il cratere della
Trejenta.
Comprendesi questo comune nel feudo di Trejenta appartenente al marchese
di Villasor. La curia è stabilita in Guasìla, e le sono soggetti Guamaggiore,
Ortacèsus, e Pimentèl. Per li dritti feudali V. Guasìla. Sono coscritti da
questo paese 19 individui al battaglione di Serra-manna dei corpi miliziani.
[1] Vittorio
ANGIUS, in Dizionario geografico storico-statistico-commerciale degli Stati di
S.M. il Re di Sardegna (a cura di Goffredo CASALIS), vol. II, Torino 1834,
pagg. 161-164.
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