1348, la peste nera
di Sergio
Sailis
La “Peste
Nera”, terribile flagello tipico del Trecento di boccacciana memoria.
Come
scrisse lo Zurita “... Fue esta
pestilencia tan contagiosa y terrible que morían las gentes casi repentinamente;
y de Italia pasó a Sicilia y Cerdeña y después a Mallorca. [...] Y fue una de
las más generales y fieras mortandades que se lee haber habido jamás; y así se
llamó la gran mortandad ...”. Così come gli altri territori della Corona catalano-aragonese
quindi anche la Sardegna non ne era rimasta immune anche se probabilmente venne
colpita in maniera meno drammatica rispetto ad altre zone europee. Al contrario
delle epidemie successive (come ad esempio l’altrettanto famosa “peste barocca”
del ‘600 per la quale ci si può basare in parte sui “Quinque Libri”) mancano purtroppo dati certi sulla reale rilevanza
dell’epidemia e sul suo evolversi per cui per una valutazione sulla sua
incidenza ci si affida principalmente a delle stime che per forza di cose
risultano scientificamente poco attendibili. Sempre secondo lo Zurita oltre
a Cagliari, che cita espressamente “y hubo muy grande
mortandad en la ciudad de Cáller”, l’epidemia,
unitamente alle contemporanee operazioni belliche in corso nel periodo, ebbe conseguenze
di un certo rilievo ma il cronista purtroppo non riporta di altre località
sarde colpite così come del resto nella maggioranza dei documenti catalano-aragonesi
dove, pur non mancando generici riferimenti sullo stato di desolazione in cui
versava l’isola, non sono presenti dati utili per una statistica anche
approssimativa.
Naturalmente
ad essere colpiti erano tanto le fasce misere della popolazione quanto le
personalità di alto rango ed infatti non venne risparmiata neppure la stessa
figlia minore di Pietro IV d’Aragona, l’Infanta Maria (che perse la vita a
Valencia in tenera età qualche giorno prima del 13 giugno 1348), la moglie
Eleonora di Portogallo (morta il 30 ottobre 1348) così come, per restare sempre
nell’ambito della famiglia reale, nei primi giorni di maggio, proprio all’inizio
della diffusione dell’epidemia, morì anche Giovanna di Foix, moglie del Conte
Ribagorza zio di Pietro IV.
Negli stati
peninsulari della Corona, dove peraltro era in corso una rivolta nobiliare, la
situazione si fece delicata anche sotto l’aspetto dell’ordine pubblico con lo
scoppio di disordini e saccheggi di abitazioni rimaste incustodite per la morte
dei proprietari e che in molte località, causa l’ incitamento di alcuni
ecclesiastici, sfociarono in una vera e propria caccia agli ebrei che divennero
il capro espiatorio essendo ritenuti responsabili del diffondersi della
malattia mentre nel Regno di Maiorca, a causa dei decessi, le autorità non erano
più in grado potersi validamente difendere da eventuali attacchi pirati o tunisini e
richiedevano pertanto urgente aiuto alla Corona che dispose l'armamento di diverse galere per il pattugliamento delle coste.
Per quanto
riguarda specificatamente la Sardegna invece, il 5 novembre 1348 Pietro IV
scrive un memorandum con istruzioni ai suoi ambasciatori presso la curia
avignonese e tra i punti da mettere all’attenzione del pontefice Clemente VI ci
sono proprio alcune circostanze riguardanti gli effetti della peste nel Regno
di Sardegna. Il sovrano infatti afferma che “...
per la gran mortaldat que es stada en Serdenya, es la isla quax despoblada ...
“ tanto da non poter essere difesa nonostante abbia inviato della gente
appositamente per ripopolarla. Per porre rimedio alle “grans pestilencies e mortaldats que son stades en la terra” e per
favorire il ripopolamento dell’isola, avanza quindi la richiesta al pontefice affinché
conceda la dispensa a chi, di qualunque condizione sociale, intendesse sposarsi
nonostante la consanguineità entro il terzo grado di parentela o affinità. La
dispensa inoltre era ovviamente anche per il sovrano in quanto intendeva
risposarsi immediatamente con l’infanta Eleonora di Sicilia.
Naturalmente la peste non risparmiò neanche i feudatari iberici presenti in Sardegna tanto
che il sovrano sei mesi prima, il 6 maggio 1348, scrive al Governatore del
Regno di Sardegna e Corsica, Rimbau de Corbera, disponendo che provvedesse ad
assegnare a dei catalani i beni in feudo o in enfiteusi che erano rientrati alla
Curia Regia a causa del morbo “... propter
pestilencialium infirmitates ...” segno evidente che occorreva compensare i
decessi con nuova linfa anche perché contemporaneamente era in atto la pericolosa
rivolta dei Doria che dopo la vittoria conseguita a “s’aidu de su turdu” nel
1347 avevano stretto d’assedio la città di Sassari.
Anche per
quanto riguarda la Trexenta abbiamo probabilmente alcuni casi. I fratelli Bernat
e Pere de Sitges per esempio, feudatari di Barrali però residenti a Castell de
Caller, rimasero entrambi colpiti da una malattia che nel 1348 portò al decesso
del primo. Durante la malattia di Pere un altro suo fratello, Guillem, il 1°
maggio 1348 presentò una supplica a Pietro IV affinché il sovrano derogasse al “mos Italiae” con cui era stato concesso
il feudo di Barrali e potesse pertanto succedere al fratello qualora lo stesso
fosse morto senza eredi; il sovrano accettò la richiesta ma per sua fortuna
Pere riuscì a sopravvivere e a continuare la sua attività in Sardegna.
Un altro
caso è quello di Ramon II ça Vall il quale, già feudatario delle ville di Gesico,
Corongiu, Cebolla, Pirri e Sanvetrano per eredità dell’omonimo padre, alla
morte senza eredi maschi di Nicola Carroç il 10 novembre 1347 aveva acquistato
dalla curia regia anche le ville di Mandas, Escolca e Nurri da questo
possedute. Il ça Vall però non riuscì a prendere materialmente possesso di
queste ville in quanto la peste lo colpì mentre si trovava a Barcellona
nell’agosto del 1348 e pertanto alla sua morte i suoi possessi vennero ereditati da suo figlio
ancora minorenne Ramonet e per suo conto gestiti dalla nonna paterna Caterina.
Non abbiamo
invece dati concreti relativi all’andamento dell’epidemia sul resto della
popolazione della Trexenta. Nonostante nel passato alcuni studiosi abbiano
messo in relazione la peste con il gran numero di abbandoni di centri abitati
trexentesi, confrontando le “ville” del 1322 con quelle del 1359, salvo il caso
di Turri che in quell’anno si avviava al completo spopolamento, possiamo
escludere che questo sia avvenuto e che la loro scomparsa deve essere invece ascritta
più propriamente agli ultimi lustri del secolo e ai primi del ‘400.
Nel citato
periodo intercorrente tra 1322 e il 1359 assistiamo anzi alla fondazione (o
meglio alla rifondazione in quanto spopolatosi nel secolo precedente) di un
nuovo centro abitato: Frius; il neonato villaggio riuscirà infatti a superare
il periodo critico della post-fondazione (in genere quello più delicato) nonostante
il sopraggiungere dell’epidemia e, qualche anno dopo, della rivolta arborense
che interessò anche il territorio trexentese e probabilmente proprio quello di
Frius in modo particolare in quanto situato nella via per il castello Orguglioso
(Silius) che verrà distrutto dalle truppe di Mariano IV nel 1353.
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