Segariu (Segario)[1]
Immagini della Trexenta ottocentesca: Segariu
SEGARIO, villaggio della Sardegna nella divisione e provincia di Cagliari
compreso nel mandamento di Sellori o Sanluri, e già contenuto nell’antica
curatoria di Trecenta, del regno di Cagliari.
La sua situazione geografica è nella latitudine 39° 34' e nella longitudine
occidentale dal meridiano di Cagliari 0° 81'.
Siede in valle sulle due sponde d’un fiumicello detto Riu-Pau, che a piccola
distanza dall’abitato si unisce al rio Lanessi che viene dal territorio di
Gesico, ed è tributario del Caralita, o Botrani, alla falda boreale d’un gruppo
di colline, per le quali è difeso dal vento australe e da’ suoi collaterali,
sirocco e libeccio, mentre resta esposto al ponente e al levante, e ancora alla
tramontana, perchè il rilevamento del suolo dall’altra parte del detto rivo non
è molto notevole. Da questo che le due parti del paese sieno divise dal detto
rivolo si vuole che il paese abbia preso il nome che ha, di Segario, quasi
segau de riu, cioè tagliato dal rivo.
Nell’estate si patisce gran caldo se non soffi il maestrale, nelle altre
stagioni e nelle notti vi si sente gran umidità, e l’umido col freddo è molto
molesto nell’inverno.
Vi nevica in qualche anno, ma il nevazzo leggero si discioglie in poche ore,
al più tardi entro le 24, mentre sulle eminenze vicine vi resta per più giorni.
Le notti sono rugiadose, e invece di rugiada si ha nei tempi freddi una
brina, che molto nuoce alle piante.
Nel tempo che il Fara scrivea la sua corografia, cioè verso il 1580, notava
come deserto questo paese; ma non deve esser indi passato gran tempo alla
ristaurazione.
Si ha per tradizione che il suo ristauratore sia stato un certo Pietro
Pinna, capraro di Senorbì, e notasi in vicinanza dell’abitato, alla parte di
libeccio, un sito detto la Mandra, perchè ivi era la sua mandra, presso una
fonte, che pure oggidì è appellata dal suo nome (Sa mitza de Perdu Pinna).
Prossimamente pure alla stessa mandra, ma dall’altra parte, era una
chiesuola dedicata all’arcangelo Michele, e porta la tradizione che sia stata
la prima parrocchia. Nel 1805 fu esecrata e demolita.
L’abitato è disteso in lungo nella linea siroccomaestro con tale larghezza,
che è meno della metà della sua lunghezza.
Il suolo è naturale, nè si è mai pensato a pareggiarlo nelle parti aspre e a
selciarlo.
Il territorio di Segario forse non ha una superficie maggiore di dieci
miglia quadrate, nel quale le parti piane non sono più d’un sesto.
Tra le roccie componenti la sunnotata massa di colline si può notare la
trachite brecciforme, la quale serve di passaggio alla roccia alluminifera e
trovasi nella regione più prossima a Serrenti; la trachite alluminifera che
forma delle spelonche nella trachite brecciforme e nella calcarea marnosa.
Tra le altre grotte è notevole la così detta Grotta dell’allume, perchè
nell’inverno principalmente le sue pareti sudano tale umore, il quale, quando
il tempo si incalorisce, si rapprende in solido alquanto duro e poroso, come la
pomice, e di color bianco. Questa efflorescenza della roccia è allumina
solfata.
Nelle stesse grotte si riconosce la calce carbonata dentritica, che si
avvicina alla trachite, e altra di simil natura, ma con qualche varietà dalla
precedente.
L’elevazione maggiore di questo territorio è come abbiamo accennato nella
sua parte meridionale, onde si può distendere d’intorno la vista a grandi
distanze in diverse parti.
La massa intiera delle accennate colline tra Segario e Serrenti occupa forse
una superficie di circa nove miglia quadrate, estendendosi miglia 3 nella linea
di levante-ponente e altrettante in quella di ostro-borea; tutta volta nella
parte compresa dentro i termini di Segario, non si trovano che due sole fonti,
una la suddetta di Pietro Pinna, l’altra non distante più di 50 passi da
questa, che dicesi Sa spendula, che danno acque ottime a bere.
Tra’ punti che maggiormente si elevano v’è il così detto Castello e
Monta-majori. Dal primo scopresi il golfo di Cagliari, e sulla parte più eminente
di quella città la torre di s. Pancrazio. Il monte Majori domina il paese.
Da questo discendendo verso libeccio trovasi una spelonca molto spaziosa la
cui volta, come parve a quelli che vi sono entrati, è elevata di circa 10 metri
e più. Notasi che ad una ed altra parte dell’ingresso si vedessero in altro
tempo due grosse anelle di ferro, che adesso mancano, restando solo nella
roccia i due grossissimi raffi, da’ quali erano tenute. Questa spelonca
chiamasi dai paesani Sa domu dess’Orcu.
Si sa per tradizione che più di cent’anni addietro queste colline, ora
affatto nude, erano ingombrate da molta vegetazione, principalmente
d’olivastri, lecci e lentischi. E deve essere stato così, perchè queste specie
si mostrano da per tutto, ma non crescono; perchè, come appena si mostrano i
germogli, sono tagliati dalla povera gente; onde si ha una gran penuria di
legna d’ardere. Se non si vieta questa barbarie non si rivedrà più l’antica
vegetazione e si mancherà sempre di legne.
Non si trovano in queste terre incolte altre bestie selvatiche che le lepri
nel piano, e i conigli nelle colline, i quali sono in gran copia.
Le specie di volatili più numerose sono nelle colline i colombi, e
dappertutto nelle altre parti le pernici, quaglie, beccaccie, tortori, e i tordi.
Ma i merli sono rari, mentre gli usignuoli si odono cantare in ogni parte amena
e le cornacchie volano in grossi stormi.
Popolazione. Nel censimento del 1845 la popolazione di Segario si
notò di 629 anime, distribuite in famiglie 163, e in case 148.
Nel rispetto dell’età e del sesso si distinguevano nel seguente modo:
Sotto i 5 anni maschi 43, femmine 35; da 5 a 10 mas. 49, fem. 33; da 10 a 20
mas. 65, fem. 51; da 20 a 30 mas. 48, fem. 47; da 30 a 40 mas. 50, fem. 46; da
40 a 50 mas. 47, fem. 93; da 50 a 60 mas. 25, fem. 24; da 60 a 70 mas. 17, fem.
13; da 70 agli 80 mas. 2, fem. 1; in totale mas. 346, fem. 283, dalle quali due
parziali risulterebbe la somma di anime 697, che di molto è superiore alla
enunciata di anime 629. Sono occorsi più sbagli ed è evidente l’esagerazione di
fem. 93 contro mas. 47 nella classe di 40 a 50 anni. Quel numero di donne
anderebbe per lo meno diminuito di tre decine.
Il vero numero della popolazione, come rilevo da altri dati, è di anime 688,
divise in maggiori di anni 20, mas. 218, fem. 215; e in minori mas. 137, fem.
118.
Le medie del movimento della popolazione sono le seguenti, nati 35, morti
18, matrimoni 6.
Attendono all’agricoltura 210 persone tra grandi e piccoli, alla pastorizia
20, a diversi mestieri 12.
Le donne sono laboriose, e filando e tessendo provvedono molte parti del
vestiario e le lingerie della casa.
La scuola primaria non ha prodotto nessun frutto.
Agricoltura. Il territorio di Segario, come il rimanente della
Trecenta, è attissimo ai cereali, e riceve i diversi soliti semi di frumento,
orzo, fave, ceci, cicerchie, lenticchie, e di lino.
Nel complesso delle terre piane è compreso il piano che è sul colle a
levante del popolato dove si suol seminare.
Perchè i cereali non si seminano che nei piani, però si dice che nel
territorio di Segario non si possono seminare più di 450 starelli nelle due
regioni, cioè tanti nella seminata e altrettanti nel maggese, ma forse potrebbe
accomodarsi alla seminagione un altro numero considerevole di giornate se si
avesse maggior industria.
Per causa di questo difetto di suolo seminativo devono i Segarivesi prender
in affitto campi di altri territorii, e però seminano un centinajo e più di
starelli di frumento in quello di Guasila, altrettanto di orzo, e non meno
ancora di legumi.
Tutta la suddetta quantità non si semina con l’aratro perchè gli agricoltori
più poveri sogliono coltivare con la zappa e fare de’ narboni. I quali
certamente non producono quanto altrove, perchè in questo territorio, dove
mancano le grandi macchie, non si può concimare il novale con le ceneri delle
medesime.
La coltura del granone e del canape, sebbene le acque del Lanessi dieno
comodo alla medesima, manca totalmente; quella della specie ortensi, che
sarebbe pure molto favorita dalle stesse condizioni, è ristrettissima a’
bisogni de’ particolari, che hanno sito idoneo alla medesima.
L’ordinaria fruttificazione è al dodici; ma se non manchi il favor del cielo
nel bisogno de’ seminati si ha un prodotto assai maggiore.
Le vigne sono prospere, e si avrebbe suolo idoneo per applicarne la
coltivazione al settuplo, se questi paesani sapessero provvedere al loro
interesse.
La vendemmia solendosi fare quando i grappoli non sono ancora ben maturi,
accade però che i vini non abbiano molta bontà, e non reggano per tutto l’anno.
Se ne smercia una piccola parte, e un’altra ancor minore si brucia per
acquavite. La distillazione sarebbe maggiore se non si mancasse di legna da
ardere. La quantità ordinaria del mosto si computa di circa 60 mila litri.
Fruttiferi. Le specie più comuni sono peri, susini, peschi,
albicocchi, ficaje, mandorli, olivi e meli: quest’ultima specie è assai scarsa,
mentre sono frequentissimi i mandorli e non pochi, sebbene raramente sparsi,
gli olivi, che erano olivastri.
Pare che la cultura di questo fruttifero sia per esser meglio curata
nell’avvenire. Le pendici delle sunnotate colline, dove non si può seminare,
potrebbero benissimo esser adoperate per le viti e gli olivi.
Le terre chiuse in tutta la estensione del suo territorio si possono
computare per l’ottava della superficie totale.
Pastorizia. I pascoli erbosi non sono scarsi nel segarivese, se non
manchino le pioggie.
Il bestiame manso comprende buoi 130, poche vacche, 40 cavalli, 60 majali, e
130 giumenti.
Il bestiame rude consiste in vacche 170, pecore 2500, porci 600.
Segario dista da Furtei a ponente migl. 1; da Sanluri quasi alla stessa
direzione m. 3 1/2, dove passa la grande strada; da Guasila a lev. 3; da
Serrenti all’austro 4 1/2; da Villamar a maestro-tramontana 3 1/2.
Di queste vie altre sono più, altre meno carreggiabili, ed è meno delle
altre quella verso Serrenti.
I frutti agrari di Segario si mandano in Sanluri, donde si trasportano ne’
carrettoni sino a Cagliari.
I segarivesi dopo che hanno fatto la raccolta se non hanno occupazioni di
maggiore interesse si applicano al lavoro sull’argilla per formare tevoli e
mattoni, che vendono nel paese e fuori. Spesso continuano quest’industria ne’
mesi di agosto, settembre e ottobre.
Religione. La parrocchia di Segario trovasi nell’antica
circoscrizione della diocesi doliense; quindi è sottoposta alla giurisdizione
dell’arcivescovo di Cagliari, che ebbe unita quella mitra.
La chiesa parrocchiale ha per titolare s. Georgio martire, ed è amministrata
da un parroco che ha il titolo di rettore, ed è assistito negli offici
parrocchiali da due sacerdoti.
Non si sa l’epoca della sua erezione, ma non pare più antica del secolo XVI,
trovandosi in un antico documento che il fonte battesimale, quello che era in
altro tempo, fu fatto fare nel 1592, e che i banchi del coro furono posti nel
1600.
Questa chiesa è molto povera, ed il suo reddito maggiore consiste ne’ due
terzi del quinto delle decime, giacchè l’altro terzo va a favore del capitolo
della primaziale, come si usa in tutte le parrocchie delle diocesi di Cagliari
e di Dolia.
Da quei due terzi devesi togliere una parte per la manutenzione della chiesa
filiale, intitolata a s. Ambrogio.
Non intendesi però che sia indecente, nè sprovveduta delle necessarie suppellettili,
perchè si mantiene la decenza, e se gli arnesi non sono molto preziosi, non
però mancano.
Fuori dall’abitato a un quarto d’ora verso ponente trovasi una chiesuola
dedicata a s. Antonio da Padova, la quale, se fosse vero ciò che supponesi da
alcuni, sarebbe stata annessa ad un ospizio di benedittini. Ma non appariscono
vestigie di convento, e la denominazione della chiesa pare posteriore all’epoca
della soppressione di quei monaci in Sardegna.
Al primo ingresso di questa cappella si può discendere e si discende in una
piccola galleria, lunga quanto il corpo dell’edificio, per cui si giugne ad una
fonte che corrisponde al sito dell’altare. L’acqua è buona per bere, e dicesi
di essa, che crescendo annunzi pioggia imminente, decrescendo presagisca siccità,
e che in nessun tempo siasi intorbidata la sua limpidezza.
Nel cortile di questa chiesetta si sono trovate varie sepolture con ossa
umane, ma senz’alcun particolare.
La festa del titolare che si celebra addì 13 giugno ha un mediocre concorso
de’ paesi circonvicini, sebbene vi si corra il palio.
Nella collina poco elevata che sorge al settentrione del paese, a pochi
passi dalle ultime case, è la chiesetta dedicata a s. Sebastiano, il di cui
cortile serve di camposanto.
Antichità. Prossimamente alla grotta dell’allume, posta al scirocco
del paese in distanza di circa due miglia, ma superiormente, cioè nel colle
detto il Castello, è tradizione che siavi stata una rocca.
Tra il castello e la indicata grotta trovasi ancora qualche vestigio di
antichità in una costruzione sotterranea, dove si è trovato qualche oggetto,
che non si è saputo spiegare, e delle medaglie d’argento e di rame, in alcuna
delle quali si lesse il nome di Costantino.
Due soli nuraghi sono stati riconosciuti in questo territorio, ambi a piè
della maggior notata eminenza, de’ quali però al presente non si ritrova più
che le fondamenta.
Nel nuraghe che sta sulla parte di levante e nel sito circostante si
scoprirono diverse sepolture con ossame umano, e notasi lo stesso anche di quello
che resta al ponente. Si dice seriamente che si sieno osservate osse
gigantesche.
Il villaggio di Segario faceva parte del feudo della Trecenta; poi ne fu
divelto per vendita in favore del conte di s. Lorenzo, che in seguito lo
assoggettò agli stessi carichi, che portavano i furteresi, come fu sottoposto
alla curia baronale ivi stabilita.
Segario era compreso nel feudo che denominavasi da s. Lorenzo.
Questa contea conteneva cinque villaggi popolati, che erano stati acquistati
unitamente ad altri spopolati dalla casa Sangiust, alcuni per concessione
sovrana in rimunerazione de’ servigi prestati alla corona, altri per via di
compra.
I villaggi popolati sono Pauli-Pirri, il Maso, Villa-greca, Furtei e
Segario.
Negli 8 febbrajo 1421 il re d’Aragona volendo ricompensare i servigi di D.
Dalmazzo Sangiust concedeagli in feudo proprio e retto secondo l’uso d’Italia i
due villaggi di Villagreca e Furtei, esistenti nella curatoria di Nuraminis, e
con altro de’ 10 aprile del 1426 in rimunerazione delle imprese fatte dallo
stesso Dalmazzo riducendo alla obbedienza sovrana la città di Sassari e
nell’assedio della fortezza di Calvi e di Bonifacio nella Corsica, gli
accordava parimente con la qualità di retto e proprio feudo i villaggi di Pauli
e di Sisala, ora spopolato situati ne’ territorii di Cagliari.
Ebbe Dalmazzo due figli chiamati Pietro e Antonio Alberto, ed essendo morto
ebbe successore il primogenito Pietro, il quale ottenne altri due diplomi, il
primo di conferma di questi feudi, l’altro di concessione del mero e misto
imperio, che era stato riservato nelle primitive concessioni.
A lui mancato senza prole succedeva il secondogenito, il quale acquistò il
villaggio di Segario, nella Incontrada di Trecenta, da D. Alonsa, vedova di
Giacomo di Besora, in qualità di tutrice e curatrice de’ suoi figli pupilli, ed
ottenne approvazione di questa compra e della unione di questo feudo con quello
di Furtei dal re D. Giovanni con diploma de’ 25 settembre 1467: quindi addì 24
marzo 1470 lo stesso sovrano enunziando in un suo diploma che Antonio Alberto
possedeva per certi legittimi titoli in feudo retto e proprio i villaggi di
Furtei, Segario e Pauli popolati, e quelli di Villagreca e di Sisala spopolati,
ampliava la concessione in favore di lui e de’ successori, e abilitava le donne
a poter succedere in difetto de’ maschi.
Questa ampliazione fu fatta perchè la condizione del Sangiust non fosse di
molto peggiore di quella di Giacomo di Besora, il quale avea ricevuto dal Re D.
Alfonso Segario con gli altri villaggi componenti la baronia di Furtei in feudo
ampio, trasmessibile a maschi e a femmine, ed alienabili tanto per atto tra
vivi, che d’ultima volontà.
Intento il Sangiust ad accrescere il suo patrimonio acquistava da Michela
Canelles, tutrice e curatrice del suo nipote Salvatore Bellit, il villaggio di
Nuragi esistente nell’Incontrada di Nuraminis nel prezzo di lire 1100,
acquisto, che venne confermato dal procuratore reale Giovanni Fabra.
Nuragi unitamente ad altri villaggi era stato dato in feudo retto e proprio;
ma per grazia speciale potevasi lasciare anche alle femmine. Nel 1421
infeudavasi a Nicolò de Caciano, il quale poi lo rivendeva a Gerardo Dedoni. Da
costui lo acquistava poi Pietro Bellit, padre di Salvatore Bellit, che lo
vendette al Sangiust.
Dopo la morte di Antonio Alberto prendeva possesso del feudo suo figlio
Giannotto, il quale ne fu investito da D. Alfonso Carrillo, luogotenente del
procuratore reale Giovanni Fabra, addì 21 febbrajo 1494, a cui successe il
figlio D. Geronimo che ebbene investitura ne’ 5 marzo 1519.
Questi avendo fatto acquisto de’ villaggi del Manso, Simbilia, Mogoro da D.
Antonio Bernart, il regio fisco pretese la riduzione a mani regie di questi due
ultimi e del mero e misto imperio del villaggio popolato del Manso, sul
fondamento che essendo questi stati conceduti a Francesco Bernat con la qualità
di feudi diretti e propri non potevano possedersi dalla venditrice, figlia del
primo acquisitore.
Nacque quindi una lite accanita tra la venditrice e il compratore, nella
quale intervenne anche il fisco per sostenere la devoluzione, e durò sino a
tanto che D. Geronimo Sangiust non offrì un compenso, come fece offrendo lire
ottocento alla Regia Cassa per le ragioni al R. Fisco competenti; per la quale
offerta gli vennero nuovamente rilasciati i due sovradetti villaggi ed il mero
e misto imperio del Manso con diploma dell’imperatore Carlo V e della regina
Giovanna de’ 15 luglio 1523.
A D. Geronimo Sangiust succedette D. Monserrato, di lui figlio, e di maschio
in maschio passarono questi feudi sino all’ultimo possessore D. Francesco
Sangiust.
È da notare che Francesco Sangiust primo di questo nome otteneva il titolo
di conte di s. Lorenzo dal re Carlo II, il quale aveva in contado il salto di
s. Lorenzo, territorio demaniale annesso al villaggio di Pauli.
Addì 25 di luglio del 1839 stipulavasi in Torino una convenzione tra il
conte D. Francesco Sangiust di s. Lorenzo e il R. Fisco per il riscatto della
contea di s. Lorenzo e della baronia di Furtei, ed era nelle condizioni:
1. Che il cav D. Giuseppe Sangiust di s. Lorenzo per il conte e barone suo
fratello, per se, suoi eredi e successori rilascerebbe con tutte le forme
traslative di possesso al R. Demanio la contea di s. Lorenzo, composta de’
villaggi di Pauli-Pirri, il Maso, e la baronia di Furtei, consistente ne’
villaggi di Furtei, Segario e Villagreca, spogliandosi del feudo e di tutte le
ragioni del medesimo, salvi al cedente i titoli di nobiltà inerenti a tali
feudi ecc.
3. Che per tale cessione sarebbe fatta mediante il prezzo di lire sarde
settantatremila centonovantandue, soldi uno, denari otto, eguali a ll. n.
140,528. 80, somma rispondente al 100 per 5 alla rendita de’ feudi e villaggi
suddetti, rilevante alla complessiva di lire sarde tremila seicento
cinquantanove, soldi dodici, denari uno, pari a ll. n. 7026. 44.
4. Che questo prezzo sarebbe corrisposto al cedente col mezzo d’un
iscrizione sul gran libro del debito pubblico ec.
7. Che sarebbe a libera disponibilità del cedente la terza parte della somma
inscritta ecc.
[1] Vittorio
ANGIUS, in Dizionario geografico storico-statistico-commerciale degli Stati di
S.M. il Re di Sardegna (a cura di Goffredo CASALIS), vol. XIX, Torino 1849,
pagg. 777-786.
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