GUASILA, anticamente GOY-ESILI, villaggio della Sardegna nella prov. e pref.
di Cagliari, capoluogo di mandamento con giurisdizione sopra Pimentel,
Ortacesus, Barrali, Guamaggiore. Comprendevasi nella Trecenta, che fu un
dipartimento del giudicato pluminese o cagliaritano.
La sua situazione geografica è nella latit. 39° 33' 30", e nella
longit., occid. di Cagliari 0° 5'.
Siede Guasìla sopra un piccolo prolungato rialto (sa serra), che poi declina
in un fondo pantanoso, sì che resta in sulla sponda del bacino della Trecenta.
La sua esposizione è tale che sente tutto l’influsso del ponente e del sirocco.
La tramontana trova ostacolo nel monte Corona, e il levante ne’ monti di s. Basilio.
Il caldo è un po’ mite, ma il fredd’umido penetrante. La nebbia ingombra quella
parte dell’abitato, che trova-si alla parte di levante, dove è nulla la
indicata eminenza, non isvanisce se non dopo alcune ore di sole, e sentesi
molto nociva. Le case sono circa 480, tra le quali è degno di menzione il
palazzo rettorale, che dicesi fatto per esser abitazione vescovile quando
progettavasi di separare dalla diocesi di Cagliari quella di Dolia. Le strade
sono irregolari, ed alcune difficili.
L’estensione del territorio è di circa starelli 8000, una piccola parte de’
quali sono nel piano. I principali colli diconsi Monte-Corona, Sèbera, e
Siocco, il primo de’ quali è quasi al settentrione del paese, l’altro al
libeccio, il terzo all’austro, tutti e tre distanti circa un’ora. La punta di
Monte-Corona è detta Montacuzzu, e da essa spazia l’occhio per un estesissimo
orizzonte. Il Sebera vantasi ricco di rame e di argento, e notasi in esso una
cava di alume, che fu poco curata. Vi è frequente la roccia arenaria, e trovasi
uno strato di certa pietra azzurra e poco compatta, che usasi nelle
costruzioni.
Fra le erbe non sono altre usate che la Rubia tinctorum, che i guasilesi
dicono Corijedda, ed usano a tingere in rosso i sajali; e la timelea, che
appellano truiscu, e adoprano mescolatamente al vitriuolo per dare il nero.
Alla estremità boreale questo territorio è diviso dall’agro di
Villanovafranca, e Villamar per il fiume Seppìu che proviene da Mandas.
Accresciuto da altri ruscelli passa tra i detti territorii, ed unitosi al fiume
di Villamar, scorre sotto il ponte di Furtei, e quindi entra nel Caralita.
Queste acque han poche anguille.
La gora detta Riu Arài nasce nelle eminenze di Gesico e Guamaggiore, e dalla
parte di greco entra in questo territorio, dove tendendo al meriggio, traversa
tutto il vigneto. Poco considerevole è il volume delle sue acque: non pertanto
ne’ tempi piovosi vedesi crescere in tanto, che ridondando dal canale, cagiona
gravi danni ai predii vicini, e ad una parte del paese, dove passa volgendosi
all’austro.
Nel paese sono alcune fonti pubbliche, e molte private; ma siccome sentonsi
alquanto amare, però servono solamente per il bestiame e per gli usi di
famiglia.
Popolazione. Nell’anno 1839 erano in Guasila famiglie 475 ed anime
1807, delle quali 870 nel sesso maschile, 937 nel sesso femminile. La media del
decennio dava nascite 65, morti 35, matrimonii 12. L’ordinario corso della vita
è ai 65 anni, e non sono rari gli ottuagenari e nonagenarii. Le più frequenti
malattie sono infiammazioni, ostruzioni di milza e fegato, e l’ernia massime
ne’ più laboriosi per li grandi sforzi che tentano. Attendono alla sanità
pubblica un chirurgo ed un flebotomo. In questo paese sono stabilite due
farmacie.
Professioni. Sono applicate all’agricoltura famiglie 470, alla
pastorizia 28, ai mestieri 32. Quindi sono a notare 4 famiglie nobili, 6 notai,
5 preti, ecc. Le famiglie possidenti sono 400. In ogni casa trovasi il telajo,
e le donne lavorano tele, sajale, coperte di letto, e quanto è necessario per il
servigio di tavola.
Alla scuola primaria non intervengono più che 15 fanciulli.
Agricoltura. Il terreno generalmente è di gran fertilità, e suole
ogni anno ricevere starelli di grano 2000, d’orzo 400, di fave 500, di legumi
100. Il grano suol dare il 15, l’orzo il 25, le fave il 15, i legumi l’8. Di
lino se ne semina così poco, che sia d’uopo comprarne. Le erbe ortensi non si
coltivano che in soli tre luoghi, onde che mancano a soddisfare ai bisogni.
La vigna è prospera, le uve comunemente sono nere, onde anche il vino è
nero, e in una quantità non minore di quartare 25000. Le uve bianche possono
complessivamente dare 1000 quartare. Sebbene non si faccia distillazione,
appena si ha la sufficienza al bisogno della popolazione.
Le piante fruttifere più comuni sono olivi, mandorli, pomi, peri, susini,
peschi, albicocchi, melograni e fichi. La somma darà individui 12000.
Le terre chiuse per seminarvi e per pascolarvi gli animali domiti
occuperanno una superficie di circa 700 starelli. Tra queste tanche sono
ragguardevoli le appellate Isconcas, e l’Orto di Callus a libeccio del paese in
distanza di circa 2 miglia. Questa regione ha varie collinette coperte a olivi
e ad altri fruttiferi, e separate da vallette piantate a vigne. Alcuni rivoli
formati da piccole sorgenti di acqua finissima mantengono l’amenità. Ivi più
che altrove trovansi i conigli, le pernici, i merli, gli usignoli ed anche il
fagiano. Le collinette di Siocco divise in varie tanche coperte di olivi e di
olivastri, offrono una bella prospettiva; e perchè la regione è un po’ elevata,
tienesi sotto lo sguardo tutto il terreno intermedio fino alla capitale, il cui
golfo vedesi distintamente. Siocco appartiene nelle più parti a Ortacesus, ma è
posseduto da proprietarii guasilesi.
Il bosco per legne grosse da opere e da fuoco manca, epperò devono i
guasilesi far un viaggio di cinque ore coi loro carri per provvedersi nelle
montagne di s. Andrea. Le legne piccole non mancano nelle tre colline già
nominate.
Bestiame. Nell’anno 1839 numeravansi in Guasila buoi per
l’agricoltura 500, cavalli 100, giumenti 250, i quali nutronsi nelle stalle;
quindi pecore 6000, porci 500, vacche 400, che pascolano nella campagna. È
abbondante il pollame, e gli alveari sono circa 300. Si aggiungano i majali,
che sorpassano i 300 capi.
Il prodotto delle pecore è di mediocre bontà. Il formaggio sommerà a circa
750 cantare, la lana a cantare 500.
Selvaggiume. Abbondano in questo territorio le lepri, i conigli, le
pernici, tortore, quaglie e beccaccie, ecc. Nella piccola palude, che dicono
Pixinitu di circa dodici starelli di superficie, e formata dalle acque delle
vicine eminenze, si possono nell’inverno prender anitre, folaghe ed altri
uccelli acquatici. Nell’estate l’acqua svanisce, e mietesi la sala, che si
impiega a formar stuoje.
Strade. Da Guasila va un pedone a Pimentel in poco meno di due ore, a
Guamaggiore in un terzo d’ora, a Segario in un’ora, a Villamar in due ore, a
Villanova-franca in due ore e mezzo, a Ortacesus in un’ora, ecc. Tutte queste
vie sono carreggiabili e comode; ma nell’inverno sono in grandi tratti molto
difficili per li fanghi.
Commercio. Dai prodotti agrarii e pastorali, e da altri minori
articoli possono i guasilesi guadagnare all’anno lire nuove 60000. Per la festa
dell’Assunta tienesi una fiera.
Religione. Questo popolo è sotto la giurisdizione dell’arcivescovo di
Cagliari, siccome vescovo di Dolia. Il parroco, che attende alla cura delle
anime, prende il titolo di rettore, ed è in questo ministerio assistito da
altri quattro sacerdoti.
La chiesa parrocchiale è sotto l’invocazione della Vergine Assunta, ben
adorna di marmi, ricca di vasi ed altri arredi sacri, ed osservabile per varie
sculture del celebre Giuseppe Antonio Lonis di Senorbi.
Le chiese minori sono appellate da santa Lucia, dalla Vergine del Rosario, e
fuori del paese da s. Marco, da s. Raimondo, da s. Assuìna, da s. Gemiliano, e
dalla Madonna d’Itria.
Vi è una sola confraternita religiosa, la quale si aduna nell’oratorio del
Rosario.
La festa principale del paese è addì 15 agosto con gran concorso dai vicini
paesi e dipartimenti, corsa di cavalli, fuochi artificiali, balli, ed altre
pubbliche ricreazioni. Fuori del paese si celebra la festa della Vergine
d’Itria nel terzo giorno della Pasqua di Pentecoste.
Antichità. Presso la chiesa quasi distrutta di santa Giusta si
osservano vestigie di antica popolazione; quindi nella regione, che dicono
Corte-Melas, ed al settentrione di questa in distanza di mezzo miglio altri
indizii di abitazioni nel sito che alcuni dicono Seppìu, o come usa il volgo Is
Corpus-Santus per certe sepolture a fabbrico, che si trovano nel medesimo. A
ponente del paese, in distanza di un quarto d’ora, sono visibili gli avanzi
dell’antico Sennoru, nome ancora rimasto al luogo, dove scavandosi, si
trovarono camere intere, e cisterne, che furono demolite per servirsi delle
pietre e dei mattoni. Quindi nella stessa direzione, in distanza d’un’ora, a
piè del monte Sèbera, nel distretto di s. Anastasia, veggonsi rovine, che
potrebbero essere dell’antica Sebera; come son pure vedute nella regione di
Siocco; finalmente presso la chiesa d’Itria sono le reliquie di Ei, o Dei. Tra
questi avanzi accade spesso di trovare grandi pile di pietra, ossa umane,
lampadi sepolcrali, brocche, scodelle, e presso l’ultima nominata si trovano
pure piccole monete di rame e d’oro. Niente si sa sul tempo e sulla causa della
distruzione di tanti paesi: restò appena tradizione sopra il paese Dey, il
quale dicesi disertato per una pestilenza. Questi paesi, Sebera, Siocco e Dey
trovansi tra molti altri notati nella carta di donazione della Trecenta fatta
da Torgotorio di Cagliari al suo figlio Salusio di Lacon, un cui frammento
abbiamo riportato nell’art. Giudicati sotto il titolo: Linguaggio Sardo nel
tempo dei Giudici.
Norachi. Quelli, che trovansi in questo territorio, sono appellati
Lionessì, Domu dess’Orcu, Nuragi de Sioccu, Nuraddei, e Corrogas. I più sono in
gran parte distrutti.
[1] Vittorio
ANGIUS, in Dizionario geografico storico-statistico-commerciale degli Stati di
S.M. il Re di Sardegna (a cura di Goffredo CASALIS), vol. VIII, Torino 1841,
pagg. 287-292.
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