Viaggiatori ottocenteschi: descrizione
della Trexenta di Alberto della Marmora [1]
“Au
pont de Bangius la scène change, on ne voit plus qu’une espèce de piaine, ou
plutòt un bassin légèrement ondulé dit la Trexenta; il est tout peuplé de
villages: les uns, tels que ceux d’Arixi, de S. Basilio et de Sisini, sont placés
au pied ou sur le versant des collines tertiaires qui bordent ce bassin vers
l’est; du côté opposé on remarque spécialement ceux d’Ortacesus, de Guasila, de
Guamaggiore, de Selegas et de Seuni, tandis que dans le centre de la plaine, la
grande route traverse les gros villages de Senorbì et de Suelli.”
"Dopo aver attraversato Monastir e superato il secondo ponte, a meno di un chilometro di distanza dal villaggio, il nostro viaggiatore dovrà lasciare la strada centrale per prendere a destra quella detta “dell’Ogliastra” o più comunemente “strada di Mandas”: egli vedrà subito sulla destra il grande villaggio di Ussana; poi lascerà, dalla stessa parte, dapprima quello di Donori, poi quello di Barrali, mentre sulla sinistra avvisterà in lontananza quelli di Pimentel e Samatzai.
"Dopo aver attraversato Monastir e superato il secondo ponte, a meno di un chilometro di distanza dal villaggio, il nostro viaggiatore dovrà lasciare la strada centrale per prendere a destra quella detta “dell’Ogliastra” o più comunemente “strada di Mandas”: egli vedrà subito sulla destra il grande villaggio di Ussana; poi lascerà, dalla stessa parte, dapprima quello di Donori, poi quello di Barrali, mentre sulla sinistra avvisterà in lontananza quelli di Pimentel e Samatzai.
Il terreno
fino al ponte di Bangius è un po’ accidentato, soprattutto a est, dove avanza
un contrafforte del monte granitico di Donori che si prolunga fin sopra
Bangius; lo chiamano Monte Uda. Dietro al contrafforte si trova il villaggio di
Sant’Andrea Frius, nei dintorni del quale sono state effettuate ricerche di
minerali piombiferi, senza alcun risultato soddisfacente. Tuttavia il geologo
potrà trarre profitto dalla visita del posto grazie alla varietà dei terreni
che vi si trovano, tra gli altri i depositi terziari conchigliferi.
Nel ponte di
Bangius lo scenario cambia: si vede soltanto una specie di pianura o piuttosto
un bacino leggermente ondulato detto “Trexenta”; è popolato di villaggi: alcuni
come Arixi, San Basilio e Sisini, sono ai piedi o sui versanti delle colline
terziarie che delimitano il bacino a destra; dalla parte opposta si notano
specialmente Ortacesus, Guasila, Guamaggiore, Selegas e Seuni, mentre al centro
della pianura la grande strada attraversa i popolosi villaggi di Senorbì e
Suelli.
Suelli fu un
tempo sede episcopale, a datare da San Giorgio vescovo della Barbagia, al quale
Torgotorio I, giudice di Cagliari, donò questo villaggio per tenere vicino a sé
quel santo prelato.
La seconda moglie di questo
giudice, di nome Nispella, gli donò anche la vicina villa di Simieri; i due
sposi sono quelli di cui si è parlato nel capitolo precedente a proposito della
chiesa di Sant’Antioco, dove sembra sia stato sepolto Torgotorio I.
Nel 1425, sotto
il pontificato di Martino V, il vescovado di Suelli fu unito alla mensa
arcivescovile di Cagliari, alla quale adesso sono annessi tutti i villaggi
della Trexenta; ciò non impedisce che il vecchio titolo di vescovo di Barbagia
passasse nel 1824 al nuovo vescovado di Tortolì. La figura di San Giorgio di
Suelli è molto popolare in tutta l’Isola, soprattutto nella parte montuosa,
detta ancora oggi “Barbagia”. La chiesa parrocchiale di Suelli, dedicata a San
Pietro, è antichissima; si sostiene che la sua costruzione risalga ai tempi in
cui viveva il San Giorgio in questione e cioè prima dell’anno 1113 nel quale
morì. Vicino alla chiesa c’è il santuario dedicato al santo e molto frequentato
dai devoti.
Il bacino
della Trexenta, nonostante la grande fama di fertilità dovuta alle colture
cerealicole, colpisce il viaggiatore per la totale assenza di alberi prodotta
principalmente dalla mancanza d’acqua: difetta anche d’acqua potabile, e quella
che si beve è salmastra oltreché rarissima. Le persone agiate dei paesi la
mandano a prendere molto lontano.
Ho tuttavia
dei dati geologici e stratigrafici sufficienti per credere che delle prove di
scavi artesiani in questi luoghi sarebbero coronate da grande successo. Tutto
il bacino, formato da depositi terziari abbastanza recenti stratificati
regolarmente, si appoggia sui monti di formazione più antica che si elevano
verso est; da questi punti devono senza dubbio provenire delle falde di acque
sotterranee che scorrono nelle parti inferiori del bacino in questione, per cui
è molto probabile che qualche colpo di sonda fortunato e ben diretto faccia
scaturire le acque alla superficie della pianura. È una delle prove di
sondaggio che in Sardegna raccomando in modo speciale.
Superato il
villaggio di Seuni si incontra una salita che porta a un altipiano composto
anch’esso di terreni terziari; si vedono a destra, un po’ in lontananza, i bei
paesi di Siurgus e Donigala, nel punto di giunzione del bacino terziario ai
monti di transizione, mentre verso ovest si vedono sorgere le cime marnose di
Punta Acuzza (“Punta Acuta”) e il Monte Corona sotto il quale si nasconde il
fangoso villaggio di Gesico; poi si arriva, sempre in pianura, a quello di
Mandas.
Mandas è
notevole soltanto per l’estensione dell’abitato e per la numerosa popolazione;
la chiesa non offre un grande interesse, ma è degna d’essere ricordata per gli
ornamenti in marmo locale, di cui è stata dotata a spese e su iniziativa di un
suo rettore, il defunto Federico Gessa. Questo degno ecclesiastico fece
intraprendere da solo lo sfruttamento e la lavorazione di un marmo grigio detto
“bardiglio”, che si trova nel terreno di transizione a qualche minuto di
distanza dal villaggio; ma l’industria decadde alla morte del rettore e non si
riprese più, nonostante l’impegno del fratello, Francesco Gessa, anch’esso
defunto, che per molti anni fu intendente della provincia di Isili, alla quale
appartiene il villaggio. Il ricordo dei due fratelli resterà a lungo impresso
nella memoria delle persone che come me hanno sempre trovato nella loro casa
un’ospitalità cordiale e allo stesso tempo estremamente discreta, condizioni
che difficilmente coesistono."
[1]
Alberto DELLA MARMORA, Itinerario dell'isola di Sardegna, (riedizione originale
Torino 1860 con traduzione a cura di Maria Grazia Longhi), vol. 2, Nuoro 1997,
pagg. 9-12. Titolo originale: Itinéraire de l’Ile de Sardaigne, pour faire
suite au Voyage en cette contrée, tome I-II, Turin, Fréres Bocca, 1860, pagg. 364-367. L'estratto in francese direttamente dalla versione originale a pag. 365.
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