1202, triplice omicidio di ecclesiastici
turritani
(di Sergio Sailis)
Gli anni a cavallo tra i secoli
XII e XIII in Sardegna sono senza dubbio densi di avvenimenti di rilievo: ad
agitare le acque già di per se abbastanza mosse (sia per le abituali turbolenze
dei Giudici sardi che per le ingerenze sempre più invadenti dei Comuni di
Genova e Pisa) è anche un nuovo attore: il Giudice di Cagliari Guglielmo, Marchese
di Massa.
Dopo aver preso il potere nel
giudicato cagliaritano infatti il Marchese, nell’intento di ritagliarsi una propria
supremazia personale sull’intera isola, in alleanza con Pisa (della quale era
cittadino) o perlomeno con una determinata fazione di cittadini pisani, in
rapida successione rivolge le proprie attenzioni agli altri giudicati: Torres,
Arborea e Gallura tutti orientati verso una politica filogenovese.
Il primo giudicato ad essere
coinvolto è il giudicato di Torres che viene invaso da Guglielmo al commando
delle sue truppe e di contingenti pisani e dopo poco tempo occupa lo strategico
castello di Goceano.
In questa temperie le lotte per
il predominio nell’isola tra Genova e Pisa e i loro alleati locali portano
quindi ad uno stato di instabilità e anche il clero isolano si schiera con le
diverse fazioni in lotta a seconda dei vari orientamenti politici rimanendone inevitabilmente
e direttamente coinvolto anche per via dell’intensa attività dell’arcivescovo
pisano Ubaldo che ripetutamente manifesta le proprie inclinazioni a prediligere
una politica decisamente orientata verso gli interessi della propria città
spesso anche in contrasto con le indicazioni papali.
Probabilmente proprio a causa di
queste lotte di potere nel 1202 accade un grave fatto di sangue: vengono
infatti uccisi il vescovo di Ploaghe, l’abbate di Tergu e il vicario del priore
di Camaldoli in Sardegna, verosimilmente l’abbate di Saccargia che in altri
documenti viene ricordato con questo titolo.
La notizia la si apprende da una
lettera del 10 marzo 1203 inviata da papa Innocenzo III agli arcivescovi e
vescovi dell’isola che vengono aspramente rimproverati per non aver preso alcun
provvedimento nei confronti dei responsabili dell’eccidio che evidentemente,
per quanto non nominati nella missiva, dovevano essere conosciuti in loco ma
nessuno dei presuli aveva osato o voluto intervenire preferendo restare in
silenzio “tamquam canes muti non valentes
latrare nichil in eos sicut dicitur statuistis” forse per timore o
accondiscendenza.
I motivi e i responsabili del
triplice omicidio purtroppo non ci sono noti nel dettaglio; stando al testo
della lettera di Innocenzo III probabilmente ne sono estranei, o perlomeno non
sono coinvolti in modo diretto, i Giudici sardi (e quindi anche Guglielmo di
Massa) in quanto il Papa richiede ai prelati di intimare agli stessi di non
dare ricetto ai colpevoli presso i loro giudicati e anche nella corrispondenza
successiva non sono oggetto di accuse specifiche in tal senso pur non mancando
altri biasimi.
Gli assassini dovevano però
essere personaggi abbastanza influenti in grado di intimorire o comunque influenzare
e condizionare il comportamento omissivo dei presuli sardi; stante la carenza
di notizie sono state avanzate dagli studiosi diverse ipotesi sulla loro
presunta identità e sui possibili moventi: potrebbe essersi trattato di un
semplice episodio di delinquenza comune (non molto credibile vista l’importanza
e la notorietà delle vittime) oppure un omicidio maturato nello stesso ambito
ecclesiastico, circostanza peraltro non infrequente nel periodo medievale con
diversi casi anche in ambito sardo. Considerando però che all’epoca nel
giudicato turritano erano probabilmente ancora presenti i contingenti pisani che
già in precedenza avevano collaborato con Guglielmo nel tentativo di scacciare
i genovesi potrebbe essere verosimile un loro coinvolgimento nel misfatto magari
proprio con il concorso di personaggi legati all’ambito ecclesiastico
considerata l’attività dell’arcivescovo Ubaldo e le sue manovre per imporre in
Sardegna la supremazia dell’arcivescovato pisano.
Nessun commento:
Posta un commento