martedì 30 marzo 2021

CORONGIU, UNA “VILLA” DI CONFINE

 CORONGIU, UNA “VILLA” DI CONFINE

Sergio Sailis

(Trexenta Storica)


Gli studiosi di storia sarda, e non solo loro, sono sempre rimasti incuriositi dal gran numero di insediamenti umani che nell’Isola, per i più svariati motivi, sono rimasti spopolati nel corso del medioevo con un’incidenza che raggiunge livelli ben superiori rispetto ad altri areali europei. Questi villaggi il più delle volte erano di ridotte dimensioni e composti da poche unità abitative spesso realizzate in prossimità di precedenti insediamenti nuragici, punici o romani e localizzati in modo da risultare più agevole e conveniente lo sfruttamento delle risorse produttive offerte territorio.

Il villaggio di Corongiu era uno di questi piccoli insediamenti rurali della Sardegna medievale; la “villa” dal punto di vista amministrativo era inserita nella curatorìa di Dolia (o Bonavolia) e dal punto di vista ecclesiastico faceva parte della Diocesi omonima.  



La sua precisa localizzazione è rimasta per lungo tempo incerta e pertanto gli studiosi che si sono occupati dell’argomento hanno sempre mantenuto una prudente riserva anche per via delle contrastanti testimonianze documentali. Day  si limitava a indicare la sua appartenenza al distretto di Monastir associandolo a Nurx (o Nuregi) che collocava genericamente tra San Sperate, Monastir e appunto Corongiu; la Terrosu Asole  invece lo poneva in territorio di Donori senza fornire ulteriori informazioni di supporto mentre sia Serra  che Casula  lo situavano genericamente nei pressi di Monastir senza ulteriori specificazioni.

Una più attenta rilettura di alcuni documenti, peraltro già ben noti agli studiosi, e quella di un manoscritto sinora sostanzialmente inedito consentono, pur con le dovute cautele, di ipotizzare la sua localizzazione in modo più puntuale ossia in territorio dell’attuale Pimentel e più precisamente proprio in località “Corongiu” a circa un km a nord-nord/ovest dal centro abitato. 

Se infatti si analizza con più attenzione la famosa “donazione della Trexenta” a suo tempo edita dal Tola,  che notoriamente espone l’elenco dei villaggi trexentesi in ordine geograficamente affidabile, notiamo, come aveva opportunamente evidenziato A. Era (che ebbe modo di riesaminare il manoscritto utilizzato dal Tola per la sua edizione ), che tra la villa di Funtana Sihuni  e quella di Dei  c’era una lacuna nel testo («sa villa de Funtana Sicinj, sa villa de [ … ], sa villa de Dey») e conseguentemente non ci è pervenuto il nome di una villa ricompresa nella donazione.

Sulla scorta di altri documenti però è possibile ipotizzare che il nome del villaggio mancante nel manoscritto sia proprio quello di Corongiu il cui territorio sarebbe quindi racchiuso a sud e a ovest tra i due centri sopra citati; questo giustificherebbe anche il fatto che, nella parte del documento dove vengono ripercorsi (sempre in rigoroso ordine geografico) i confini della curatorìa, il villaggio non è menzionato proprio perché situato all’interno della stessa.

Questa considerazione è supportata dal fatto che un interessante documento, come accennato sostanzialmente inedito, ascrivibile alla metà del ‘300 circa, che riepiloga per singola diocesi le rendite ecclesiastiche della Sardegna da assoggettare alla decima papale, fortunatamente ci informa sull’intitolazione della chiesa del villaggio di Corongiu, della Diocesi di Dolia, la quale era appunto dedicata ai santi Filippo e Giacomo: 


                                     
  
Fig. 1: Stralcio ACA, Real Patrimonio, reg. 2100, fg. 4v,

Episcopatus Doliensis […]. Item ecclesie Sante Elene ville Dei et santorum Philippi et Iacobi de Corongi. XXV libres.  


Nel sud Sardegna le chiese intitolate ai due apostoli contemporaneamente non sono molto frequenti e nella zona compresa nelle curatorìe di Dolia e Trexenta e più in generale nella Diocesi di Dolia forse l’unica esistente (peraltro oggi ridotta a un cumulo di ruderi di scarsa leggibilità) era quella posta nel territorio dell’attuale Pimentel proprio in località “Corongiu” dove, su un preesistente insediamento nuragico, insistono delle vestigia che la tradizione locale, peraltro confermata dalla toponomastica,  ritiene siano pertinenti alla chiesa di San Filippo; questi dati ci consentono quindi di poter qui localizzare il villaggio corroborati anche dall’associazione che nel documento si fa villaggio di Dei che infatti era situato nelle vicinanze poco più a nord in prossimità degli attuali confini tra Pimentel e Samatzai.


Fig. 2: Stralcio I.G.M.: Foglio 548 sezione III – Donori, scala 1:25.000


Questa ipotesi di localizzazione è inoltre suffragata dal fatto che, come vedremo più in dettaglio nel prosieguo, in diversi altri documenti di epoca aragonese il villaggio è spesso attestato unitamente ad altri insediamenti della zona quali Barrala, Fontana Siuni, o Nurx  ecc. ed in alcuni viene specificatamente ascritto alla Trexenta; si tratta dunque di quella fascia territoriale posta ai confini delle due curatorìe giudicali di Dolia e Trexenta che dalla fase finale del XIV sec. rimase spopolata per alcuni secoli per essere ripopolata solo dal Seicento in poi.

Questa zona — che durante il periodo della dominazione pisana nella documentazione d’archivio risulta costantemente inserita nella curatorìa di Dolia — in seguito entrerà nell’orbita della Trexenta per fare parte integrante stabilmente della “encontrada” allorché il procuratore reale Berengario Ça Plana il 22 marzo 1464 dà il proprio assenso alla restituzione delle tre ville spopolate di Barrala, Corongiu e Fontana Sihuni fatta da Antonia d’Erill a favore di Galceran de Besora per il prezzo di 250 lire di moneta cagliaritana. 

La stessa Barrali poc’anzi citata inoltre in diversi documenti è associata ad altri villaggi situati della parte meridionale della Trexenta; in un documento del 12 ottobre 1416 la “villa”, ormai spopolata, per esempio viene concessa in feudo, senza però espliciti obblighi di ripopolamento, a Bartolomeo Pino unitamente alle altre ville spopolate di Villa Campo e Donigala Alba: «villas (vocatam) depopulatas de Barrala (depopulatam) sitam in capite Callari in encontrata de Parte Volla et (quoddam saltum vocatum de Villa de Campo) villam vocatam Donicalalba sitam in curatoria dela Tregenta nec non et quendam saltum vocatum de Villa de Campo situatum in dicta curatoria dela Tregenta presentis insule Sardinie». 

La zona di “Corongiu” si presenta come una piccola vallata costeggiata a est da colline marnose (tra le quali quella nota con il sinistro nome di “Bruncu sa furca” ai confini con Samatzai) e a nord e ad est da emergenze arenarie e granitiche; è attraversata da un torrente perenne anche se di scarsa portata denominato Santu Fibippu che nasce qualche km più a nord e lambisce la zona in esame. 

L’area risulta frequentata sin dal periodo neolitico come testimoniato dalle pregevoli domus de janas di “Corongiu” situate nelle immediate vicinanze mentre a circa 200 m. in linea d’aria è presente l’altro complesso di domus di “S’acqua salida” in località “Pranu Efis” dove si riscontrano anche tracce di insediamenti del periodo nuragico e romano.  


Come accennato, durante il periodo giudicale il villaggio faceva parte del Giudicato di Cagliari e amministrativamente era compreso nella curatorìa di Dolia; purtroppo per questo periodo ci mancano attestazioni scritte  e bisogna attendere la “VI Compositio” pisana del 1320–1322 per ritrovare il villaggio che viene così censito dai toscani: 


Villa Corognu Curatorie Dolie

pro datio suprascripte ville lb. VI s. VI

pro dirictu tabernarum vini suprascripte ville s. X

pro quondam saltu suprascripte ville lb. I s. XIII d. VI

item grani starella XXXVII

et ordei starella XXI


Dai valori sopra esposti, confrontati con altri della stessa curatorìa o di quelle limitrofe, possiamo immaginare che il villaggio doveva avere una consistenza demografica alquanto modesta. La sinteticità del documento inoltre, quasi sicuramente riepilogo di un lavoro più ampio non pervenutoci, non ci consente purtroppo di avanzare ulteriori analisi sulla situazione economica del villaggio se non quella che nel suo territorio l’attività agricola era preponderante con la coltivazione di cereali e vigne e che il Comune toscano possedeva dei terreni demaniali che, come consuetudine, concedeva in affitto alla comunità ricevendone un canone annuale. Non vengono evidenziati, forse perché marginali, dati sull’allevamento di bestiame, sulla coltivazione di orti e neanche su altre indispensabili attività economiche come il commercio o l’artigianato che comunque possiamo ipotizzare sicuramente presenti come in altre realtà isolane.

Il Comune Pisano era entrato in possesso del villaggio unitamente al terzo del giudicato cagliaritano agli inizi del ‘300 a seguito delle disposizioni testamentarie di Mariano II d’Arborea.  I sovrani arborensi infatti, e segnatamente Guglielmo di Capraia, come noto, avevano acquisito il controllo di un terzo del Giudicato di Cagliari a seguito delle operazioni militari del 1257/1258 che portarono al suo smembramento ad opera delle forze congiunte dello stesso Guglielmo, di Giovanni Visconti di Gallura, e di Ugolino e Gherardo della Gherardesca con il fattivo concorso del Comune di Pisa che ritenne per sé la città di Cagliari (Castello Castri) e il circondario. 

Il dominio diretto del Comune di Pisa era però destinato ad essere di breve durata; l’infeudazione bonifaciana del Regno di Sardegna e Corsica del 1297 e la conseguente invasione catalano-aragonese pone infatti fine alla supremazia pisana nell’Isola. Pisa a seguito della pace del 1324 deve rinunciare al possesso dei territori sotto il suo controllo mantenendo, anche se per poco tempo, solo quello di Cagliari e delle sue appendici. 

Con la conquista iberica quindi anche il villaggio di Corongiu, come del resto la maggior parte dei villaggi isolani, deve fare la traumatica esperienza con una nuova istituzione giuridica: il feudalesimo. 

I catalani infatti, ancor prima della conclusione delle operazioni militari per la completa conquista dell’isola, procedettero al frazionamento degli antichi distretti amministrativi giudicali, le curatorìe, concedendo in feudo i vari villaggi sardi a personaggi che in un modo o nell’altro avevano contribuito alla conquista dell’isola in armi o finanziamenti. Così nel 1325 anche Corongiu viene concesso a Guillem Sorell unitamente a Pirri, Cebolla e San Vetrano nel Campidano di Cagliari.  

Guillem Sorell era un maiorchino approdato nell’isola al seguito dell’Infante Alfonso; inizialmente risiedeva a Bonaria — la cittadella fondata dagli aragonesi in contrapposizione e dirimpetto alla Castel di Castro pisana — dove godeva di una discreta reputazione anche politica. Nel 1325 infatti è uno degli ambasciatori (assieme a Bernat de Muntalegre) che si recheranno a Corte per conto del governatore e degli amministratori di Bonaria per protestare contro l’atteggiamento dei castellani pisani di Castel di Castro che, a loro dire, impedivano l’ingresso alla città; fautore della completa estromissione dei pisani dalla Sardegna nell’occasione espose al sovrano una serie di argomenti per dimostrare che l’intenzione dei toscani non fosse pacifica e che anzi avevano intenzione di proseguire la guerra.  E in effetti da lì a poco ripresero le operazioni militari che si conclusero con la definitiva sconfitta pisana nell’aprile del 1326.

Il possesso di Corongiu da parte del Sorell è però di breve durata; come molti altri feudatari che avevano scarsi e non troppo radicati interessi nell’isola appena un anno dopo infatti, monetizzò la concessione rivendendo i suoi feudi a Ramon Ça Vall.

L’interesse per la Sardegna di Ramon Ça Vall invece era più solido. Era infatti un importante mercante barcellonese che, assieme a suo fratello Bertran, era giunto nell’isola anch’egli al seguito dell’Infante Alfonso del quale era apprezzato collaboratore, consigliere e finanziatore.  Ben presto all’attività mercantile associò importanti cariche pubbliche e nel 1328 lo troviamo come Amministratore delle spese reali in Sardegna e nel 1329 ottenne l’amministrazione delle rendite della dogana. Per i loro servigi alla corona entrambi i fratelli vennero quindi ricompensati con la concessione in feudo di diversi villaggi.  

Ramon era sposato con una certa Caterina dalla quale ebbe due figli: Ramon II e Bertran II (questi nomi sono una costante nell’onomastica di questa famiglia sia nel periodo precedente alla loro presenza in Sardegna che nei secoli successivi) e muore tra il 1343 e il 1344. 

Nella conduzione dei feudi gli succedono quindi i suoi figli  ma Ramon II muore poco dopo, nel 1348,  forse per effetto della peste, e probabilmente Bertan lo seguirà a breve in quanto nello stesso anno i feudi passeranno a Ramon III (Ramonet),  figlio di Ramon II, che, in quanto ancora minorenne, verrà assistito dalla nonna Caterina che a sua volta si avvarrà di persone di fiducia come Arnau Rossinyol il quale nel 1351 per esempio provvedeva a versare il censo feudale per le ville di Cepola, Pirri, Sanvitrano, Gesico, Corongiu (per un importo di 80 fiorini pari a 160 lire alfonsine)  o di B. de Vilar che svolse lo stesso incarico nel 1353. 

La gestione dei feudi (ad iniziare da Ramon I la famiglia infatti come detto in precedenza aveva costituito un discreto patrimonio feudale sia per concessione del sovrano che per acquisto da altri feudatari) però non era una incombenza semplice specialmente in un periodo turbolento caratterizzato dall’inizio della guerra tra Aragona e Arborea pertanto Caterina nel 1355, approfittando della nuova politica di Pietro IV instaurata dopo il Parlamento del 1355 , cederà alla Corona tutti i possedimenti feudali sardi,  compresa Corongiu, e Ramon III, che forse non mise mai piede nell’isola, una volta maggiorenne assumerà delle cariche pubbliche a Barcellona dove diventerà membro del Consiglio dei Cento nel 1366.  

La rivolta di Mariano IV aveva quindi evidenziato la precarietà del sistema difensivo impostato dagli aragonesi. La frammentazione del territorio isolano in tanti piccoli feudi — che nelle intenzioni iniziali serviva a garantire la difesa dell’isola senza troppi oneri per le asfittiche finanze della Corona  e nel contempo ad impedire la concentrazione di grossi feudi in mano a poche famiglie con i conseguenti disordini interni che caratterizzavano i regni iberici — aveva mostrato tutti i propri limiti. Inoltre bisogna considerare che molti dei titolari feudali una volta concluse le operazioni militari erano ripartiti per la penisola o erano periti per cui i feudi sardi risultavano carenti dal punto di vista difensivo. Da qui la necessità di Pietro IV di riorganizzare il Regno di Sardegna e di riacquistare alcuni feudi per concederli ad altri personaggi in grado di difenderli con le armi.

Tra le decisioni prese da Pietro IV nel 1355 vi era inoltre quella di inquadrare militarmente le ville ponendo i castelli al centro dell’organizzazione militare e nominando il sardo Alibrando de Asseni ed i catalani Huguet de Sent Just e Bernat de Ladrera a capitani affidando loro diverse curatorìe. Alibrando de Asseni si doveva occupare delle curatorìe di Sulcis e Sigerro, Huget de Sent Just le curatorìe di Nuraminis, Siurgus e Gerrei mentre Bernat de Ladrera quelle di Campidano, Dolia e Sarrabus; ognuno dei capitani aveva il comando di 100 uomini a cavallo e 200 a piedi. 

Pertanto nello stesso 1355 Pietro IV, dopo aver acquistato i feudi dei Ça Vall, concede Corongiu a Bernat de Ladrera, un militare che aveva rivestito anche l’incarico di Capitano di Iglesias, officio poi revocato in quanto incompatibile con l’essere anche feudatario. 


Nel cosiddetto “Repartimiento de Cerdeña” predisposto nel 1359 la villa di Corongiu risulta ancora in possesso di Bernat de Ladrera unitamente a Simbilia (Campita), Puuli (Galilla), Montecartello (Gallura), Vinyola (Vinyola), Fomennale (Campita), Napot (Sols), Sorpe (Galtali-Gallura), Nuruli Galtali) e Isarle e altri salti. 



Fig. 3: Stralcio ACA, CV, reg. 43, Componiment de Sardenya, fg. 28r


Proprio l’infeudazione al Ladrera è per noi importante al fine di stabilire la sua localizzazione poiché nell’atto il villaggio viene esplicitamente ascritto alla curatorìa di Trexenta;  di per sé l’errata indicazione della curatorìa non sarebbe un caso infrequente ma in questo caso ci consente di stabilire che il villaggio era situato in una posizione di confine tanto da indurre all’errore i funzionari regi.


                                         Fig. 4: Stralcio ACA, R.C., reg. 1028 f. 102r

Il possesso del Ladrera sarà comunque di breve durata in quanto muore nel 1361 per cui i feudi rientrano nuovamente nella disponibilità della Corona. 

Durante la nuova parentesi in cui il villaggio tornò alla Corona era scoppiata nuovamente la guerra tra Aragona e Arborea. Le truppe giudicali di Mariano IV avevano invaso il territorio del Regno di Sardegna e dopo aver portato un infruttuoso assedio a Cagliari sul finire del 1366 si erano acquartierate proprio in Trexenta.  L’acquartieramento di truppe, per quanto amiche o presunte tali, non era mai un fatto ben visto dalla popolazione locale in quanto spesso gli ordini venivano disattesi e si effettuavano azioni di razzie o furti a danno dei residenti. In questo periodo il nostro villaggio probabilmente si avviava verso un inesorabile tracollo demografico che raggiunse il suo apice verso la fine del secolo.  

Nonostante non ne avesse più la disponibilità materiale Pietro IV comunque continuava a elargire infeudazioni; così nel 1367 il villaggio di Corongiu e le altre ville già appartenute a Bernat de Ladrera site nei capi di Cagliari e Gallura vennero infeudate a Guillem de Canelles  anch’esso membro di una famiglia che possedeva altri feudi anche in terra iberica. 

Anche l’esperienza di Guillem de Canelles come feudatario di Corongiu è destinata ad essere di breve durata se già nel 1369 ne risulta in possesso Pere Bardoner cui Pietro IV concesse la signoria di Corongiu nel Dolia e altre ville che erano state in possesso del Lardera come Sorpe in Gallura, Cargeghe nel Figulinas e di Vignola nel Taras; probabilmente però anche questa volta si trattava più che altro di una concessione solo nominale e anche il Bardoner non riuscì ad entrarne materialmente in possesso per via della guerra. 

Nuovamente nel 1373 re Pietro IV infeuda a Ponç de Jardì (Poncio de Jardino) varie ville, tra le quali anche Corongiu che nel documento viene ascritta ancora una volta alla «Encontrada de Tragenta». 

Sono anni critici per i catalani: le guerre prima con Mariano IV poi con i suoi figli Ugone ed Eleonora (e con Brancaleone Doria) e successivamente con Guglielmo di Narbona costringono gli iberici sulla difensiva mantenendo nell’isola il possesso di pochi capisaldi. Per poter liberare Brancaleone Doria dalla prigionia seguita alla presa di potere di Eleonora questa viene costretta a sottoscrivere la pace del 1388 con gli aragonesi e tra i funzionari presenti figura anche il Jardì. 

La situazione per le armi palate si ribalta dopo la battaglia di Sanluri del 30 giugno 1409; la sconfitta di Guglielmo di Narbona infatti consente ai catalani di riprendere il controllo della maggior parte dei territori perduti in precedenza specialmente nel sud dell’Isola mentre nel nord la guerra continuerà ancora sino al 1420 allorché Guglielmo di Narbona si accorda per la cessione dei propri diritti alla Corona aragonese; resteranno comunque focolai di rivolta sino al 1448 con la definitiva capitolazione di Nicolò Doria.

Nel frattempo la nostra Corongiu era rientrata per l’ennesima volta in possesso della Corona che come al solito, proprio a causa della guerra, aveva urgenti necessità finanziarie per cui Alfonso il Magnanimo nel 1432 decide di vendere alcune ville: Senis, Sipola, Corongiu e Barrala. La prima, situata nel Parte Valenza venne ceduta a Pietro Jofre  mentre le ultime due, assieme a Nuraminis, Nuraguens e Borro tutte situate nella curatorìa di Nuraminis e tutte spopolate, vennero concesse in feudo a Roger de Besora il primo marzo 1436 in ricompensa per i suoi servigi in occasione della guerra contro i Doria ed in modo particolare nella presa del castello di Monteleone. 

In questo modo Roger de Besora si ritrovava ad essere confinante con il fratello Jaume che già dal 1421 era entrato in possesso dell’intera Encontrada di Trexenta  e che, come vedremo, in seguito porterà alla ricongiunzione dei due feudi.

Roger de Besora, sposatosi con Bartolomea, non avendo figli maschi alla sua morte lasciò come erede sua unica figlia Angelina sotto la tutoria della madre e degli zii. Per la giovane ereditiera venne concordato il matrimonio con Manuel de Ribelles  ma i feudi di Corongiu e Barrali, forse a causa di operazioni finanziarie, finirono in mano ad Antonio de Sena che li utilizzò, con la baronia di Ussana, per costituire la dote di sua figlia Antonia in occasione del suo matrimonio con Francesc d’Erill.

Antonia de Sena, nel frattempo rimasta vedova del suddetto Francesc d’Erill, nel 1464 acconsentì al riscatto dei villaggi disabitati di Corongiu, Barrala e Funtana Siuni da parte di Galceran de Besora;  da questo momento queste ville, benché spopolate, entreranno a dar parte definitivamente dell’Encontrada de Tregenta seguendone le vicende storiche.

Finito il periodo delle guerre con la Corona d’Aragona non cessò però quello delle epidemie e delle carestie pertanto la zona, nonostante la fertilità del suolo, continuò a restare spopolata per un periodo di tempo piuttosto lungo sino al periodo delle rifondazioni Seicentesche. Durante quel secolo infatti, per iniziativa dei signori feudali, in questa zona assistiamo alla fondazione (o rifondazione) di diversi villaggi con gli insediamenti di Donori (1619),  Barrali (1646)  e di Pimentel (1698).  Proprio quest’ultimo sarà destinato ad avere come “fundamentu”, ossia come dotazione territoriale, i territori già appartenuti agli ormai scomparsi villaggi medioevali di Corongiu, Funtana Siuni, forse di Nuraxi nonché probabilmente una parte di quello di Siocco.

Infiniti passaggi di mano quindi per un modesto villaggio di confine tra due curatorìe ma soprattutto pericolosamente vicino alla frontiera tra due entità statuali, quella arborense e quella aragonese, che si sono combattute mortalmente per decenni senza esclusione di colpi.


mercoledì 29 luglio 2020

1347. La battaglia di «Su aidu de turdu»


1347. La battaglia di «Su aidu de turdu» (*)
Sergio Sailis
(Trexenta Storica)
 

(*) articolo pubblicato nella
rivista online Insula Noa n.01/2020
Il 27 agosto 1347 Pietro IV d’Aragona riceve la tragica e per lui sgradita notizia della morte di Guillem de Cervelló, Governatore Generale e Riformatore del Regno di Sardegna e Corsica, e della disfatta delle sue truppe nella località di S’aidu de turdu[1] ad opera dei signori sardo-liguri della famiglia Doria che da diversi mesi erano nuovamente in aperta ribellione nei confronti dell’autorità regia.

Nonostante le prime avvisaglie dell’agitazione doriana fossero evidenti già dall’inizio dell’anno e ben note a Corte, le svariate richieste di aiuti militari da parte del Governatore[2] e della città di Sassari (che si trovava direttamente minacciata) non potevano essere soddisfatte in quanto il Sovrano era quasi contemporaneamente impegnato militarmente in terra iberica.

Sin dal mese di aprile del 1347 infatti nei regni peninsulari della Corona era in atto una grave rivolta di una parte della nobiltà aragonese (la cosiddetta Seconda Unione di Aragona) e di quella valenzana capeggiata (per motivi dinastici) dal fratello Jaume; a queste rivolte interne si aggiunsero, dal mese di giugno dello stesso anno, le concomitanti incursioni nel Rossiglione da parte di Giacomo re di Maiorca. La precaria situazione in terra iberica pertanto impediva al Sovrano di reclutare armati da inviare in Sardegna nonostante le pressanti richieste di soccorso provenienti dall’isola. La situazione delle armi regie anzi, proprio dalla metà del mese di agosto, si era fatta alquanto critica ed il Cerimonioso, praticamente segregato dai nobili rivoltosi nel proprio palazzo di Saragozza, era stato costretto a sottoscrivere i cosiddetti Privilegi dell’Unione ossia una serie di importanti concessioni alla classe nobiliare e conseguenti limitazioni al potere regio.[3] Solo dopo aver riconquistato il controllo della situazione a seguito della vittoriosa battaglia di Épila (nei pressi di Saragozza) del 21 luglio 1348, il Cerimonioso riuscì a revocare queste concessioni e lo fece platealmente dinnanzi alle Corts di Saragozza dello stesso anno[4] tagliando con il suo pugnale il documento precedentemente sottoscritto il che gli valse in seguito l’appellativo di Pere el del Punyalet.

Tornando alle vicende sarde, come noto già dalla fine del xii ma soprattutto nel xiii sec. alcune importanti famiglie della penisola italiana erano riuscite a ritagliarsi notevoli spazi di potere instaurando delle signorie territoriali nei Giudicati sardi ormai sulla via di un lento e progressivo dissolvimento.[5]

Una di queste potenti casate, quella dei genovesi Doria, aveva rilevanti interessi nel nord Sardegna (in particolare nell’ex Giudicato del Logudoro col tempo arrivarono a possedere le curatorìe di Nurra, Nulauro, Ulumetu, Nurcara, Caputabbas, parte di Costavalle, Meilogu, parte di Figulina e Anglona) dove erano riusciti ad imparentarsi con le famiglie giudicali e altri potentati sia locali che peninsulari tra i quali i lunigianesi marchesi di Malaspina anch’essi da tempo radicati nel nord dell’isola dove avevano ampi possedimenti nelle curatorìe di Coros, parte di Figulina, Montes con il castello di Osilo.[6]

Suddivisi in vari rami, spesso in lotta tra di loro, i Doria ancor prima dell’invasione catalano-aragonese avevano accettato di sottomettersi agli iberici. Infatti in previsione dell’intervento militare nell’isola Giacomo II aveva predisposto una fitta ragnatela diplomatica al fine di isolare la potenza pisana e pertanto già dal luglio 1308 aveva concordato un’alleanza con i Doria e con gli altri potentati isolani oltreché con i principali avversari che il Comune aveva nella penisola. In particolare uno dei rami della famiglia doriana, quella capeggiata da Brancaleone e dal figlio Bernabò, in cambio del loro appoggio ebbe riconosciuti i propri possedimenti sotto forma di feudo con il merum e mixtum imperium secondo il Mos Cathalonie, ossia secondo le ampie consuetudini catalane, e con l’impegno a fornire ben 100 cavalli armati per tre mesi l’anno.[7] Una volta iniziate le operazioni militari per la materiale presa di possesso della Sardegna da parte degli iberici l’atto di vassallaggio venne rinnovato in occasione dell’assedio di Iglesias allorché nel confermare i precedenti accordi i due Doria prestarono omaggio di vassallaggio all’infante Alfonso.

Después vinieron al real que tenía el infante sobre aquella villa Bernabé de Oria, hijo de Brancaleón, y otros barones y señores de aquella casa de Oria, a hacer reverencia al infante; y le prestaron homenaje por los lugares y castillos que tenían en aquella isla.[8]

Oltre al riconoscimento a titolo feudale dei propri possessi ebbero inoltre la promessa di ulteriori accrescimenti territoriali[9] ma ben presto, resisi conto che questi impegni non sarebbero stati mantenuti, già a partire dal 1324[10] alternavano periodi di fragile tregua a periodi di aperta ribellione, spesso con l’appoggio diretto o indiretto della Repubblica di Genova.

Alcuni dei feudi doriani in particolare erano situati in posizione strategica rispetto alla strada che collegava Sassari a Cagliari e pertanto nei momenti di crisi rendevano insicure le vie di collegamento dividendo di fatto il Regno di Sardegna e Corsica in due tronconi. Intorno al 1331 infatti Nicolò Doria aveva iniziato a costruire la fortezza di Roccaforte nei pressi di Giave[11] (nella curatorìa di Cabuabbas) in una posizione dominante rispetto al tracciato viario che portava da Cagliari a Sassari; la realizzazione di questa fortezza fu però intrapresa senza la dovuta autorizzazione regia e pertanto nel 1334 il Doria era stato costretto a smantellarla o perlomeno ad interromperne la costruzione che in seguito, una volta occupata dai catalani, venne ripristinata dal governatore Rambau de Corbera e, negli anni successivi, diventerà causa di attrito con Mariano IV d’Arborea che ne rivendicava il possesso.[12]

A seguito delle rivolte degli anni precedenti[13] per proteggere le vie di collegamento gli iberici, su impulso dell’allora governatore Ramon de Cardona, verso il 1333[14] realizzarono una fortificazione a Sorres capoluogo della curatorìa doriana di Meilogu. Ovviamente i Doria, nella fattispecie Damiano, se ne lamentarono dinnanzi al re sostenendo che erano state oltretutto danneggiate cinque loro ville e pertanto nel 1336 il sovrano scrisse al governatore ordinando di distruggere il fortilizio qualora fosse risultato veritiero quanto affermato dal Doria;[15] successivamente il sovrano comunicava la sua decisione anche al Doria tranquillizzandolo sul fatto che avrebbe fatto giustizia tramite il Governatore.[16] Simile rimostranza venne inviata anche da Fabiano Doria che nel 1339 ricevette anche lui risposta analoga.[17] Pietro IV infatti tendeva a temporeggiare perché riteneva la bastida utile per il controllo del territorio e nel frattempo aveva già dato disposizioni ai suoi ufficiali di non procedere alla distruzione della fortificazione revocando il precedente ordine.[18] Nonostante tutto quindi, sebbene fosse una fortificazione a carattere provvisorio certo non paragonabile ad altri castelli sardi ben più strutturati, alcune vestigia della cosiddetta Bastida di Sorres (o meglio quanto ne restava) sopravvissero sin quasi ai giorni nostri e, secondo Casula, venne finita di smantellare agli inizi degli anni cinquanta del secolo scorso.[19]

Causa della nuova rivolta doriana furono ancora una volta i contrasti con gli ufficiali regi, l’insofferenza per le mancate promesse dei sovrani iberici nonché, e forse soprattutto, le manovre di questi per incamerare alla Corona le importanti piazzeforti doriane di Alghero e Castel Genovese (oggi Castelsardo) non trascurando all’uopo di fomentare le sempre vive discordie in seno ai vari rami della potente famiglia ligure.

In modo particolare la nuova agitazione dei Doria era dovuta alle manovre della Corona volte a confiscare il castello di Monteleone (con relative pertinenze) e le curatorìe di Cabuabbas e Nurcara motivandola con il mancato rispetto degli obblighi feudali da parte dei Doria contro i quali venne istruito un processo da parte del Governatore Cervelló,[20] il quale il 9 gennaio 1347 emana la sentenza contro i signori liguri;[21] probabilmente fu quindi questa una delle principali cause scatenanti la nuova ribellione doriana che, insofferenti dei soprusi perpetrati a loro danno dagli ufficiali regi (il cui operato negativo è quasi una costante nelle insurrezioni sarde emerse peraltro anche in occasione del Parlamento del 1355 e riconosciute dallo stesso Pietro IV),[22] appianando momentaneamente le consuete rivalità familiari reagirono unitariamente con incursioni armate in territorio regnicolo.

La situazione in breve tempo si deteriora sempre più, il 25 marzo 1347 Guillem de Cervelló pertanto, in previsione di operazioni belliche di una certa rilevanza e del pericolo incombente su Sassari proibisce di esportare da questa città grano, orzo, farina e biscotto.[23] Infatti i Doria stavano mobilitandosi raccogliendo somme da destinare al reclutamento, sulla piazza di Milano, di 200 uomini a cavallo per quattro mesi.[24] In previsione di un attacco quindi il successivo mese di aprile il Governatore ordina che tutti gli uomini di età compresa tra i 14 ed i 60 anni di tenersi pronti con le armi per i seguenti 15 giorni[25] e impone di lasciare la città a coloro che risiedono a Sassari da oltre tre mesi senza che abbiano ancora prestato giuramento;[26] è evidente l’intenzione del Governatore di garantire all’interno della città esclusivamente la presenza persone di provata fedeltà. Il 25 maggio ordina che tutti i fanti ed i cavalieri la prima domenica di giugno si rechino a Sassari per la rassegna di armi e cavalli e nel contempo proibisce l’esportazione di cavalli dal distretto cittadino.[27] Il 26 di giugno ordina un’altra rassegna militare da tenersi sempre a Sassari nella piazza de Cort de Regne.[28] Il 5 luglio obbliga gli abitanti del vicariato di Sassari e della baronia di Osilo di conferire le granaglie in Sassari vietando loro di vendere o immagazzinare orzo e grano pena una multa nonché il sequestro dei carri e dei buoi utilizzati per il trasporto.[29]
Emblema dei Cervelló

Nel frattempo il Governatore aveva anche inviato Berenguer de Rayadell ambasciatore presso Mariano d’Arborea (da pochissimo subentrato al trono giudicale a seguito del decesso del fratello Pietro) al fine di chiedere aiuti contro i genovesi che, secondo alcune notizie circolate, stavano armando una flotta di galere e preparando l’esercito per attaccare il regno e il 10 luglio ricevette i risultati dell’ambasceria.[30] Sempre nello stesso periodo il suo luogotenente Jaume d’Aragó inoltre ordina a tutti gli abitanti dell’isola di prepararsi con le armi a combattere contro i genovesi che hanno allestito una flotta di galere ed un esercito di fanti e cavalieri.[31]

Dalla relazione stilata dal de Rayadell emerse infatti che Tomaso Malaspina si apprestava a comandare un esercito composto da 500 a 1.000 balestrieri, 2.000 empavesats e tra i 100 e i 400 cavalieri che avrebbero dovuto dirigersi da Genova verso la Corsica e la Sardegna a bordo di 20-25 galee.[32] Una decina di giorni dopo, il 21 luglio, proibisce ancora una volta di esportare dalla città di Sassari formaggio, carne salata e altri alimenti[33] mentre il giorno successivo ottiene rassicurazioni da Mariano d’Arborea circa il suo impegno per la difesa comune contro i genovesi.[34]

Nel frattempo il Cerimonioso, nonostante le citate difficoltà, riuscì ad approntare qualche modesto rinforzo e il 23 di luglio, secondo il ben informato Zurita, un contingente di armati guidati da Huguet de Cervelló, nipote di Guillem, partì da Barcellona alla volta della Sardegna:

Y embarcáronse en la playa de Barcelona en cuatro naves que llamaban cochas y en tres leños un sábado a 23 de julio deste año, y arribaron con buen tiempo en Cerdeña.[35]

Si trattava complessivamente di 72 cavalli armati,[36] era il massimo che la Corona in quel momento poteva offrire e pertanto il 2 agosto il Governatore proibisce a tutti gli abitanti di Sassari e dei suoi sobborghi di uscire dal territorio della città o dalla baronia di Osilo senza la debita licenza[37] mentre il 5 agosto ordina nuovamente a tutti gli abitanti dell’isola di tenersi pronti con le armi al primo comando del sovrano;[38] con il successivo ordine del 7 agosto ordina anche a tutti i corsi e sardi abitanti in Sassari e sobborghi, tra i 15 e 60 anni, di tenere pronte le armi per seguire l’indomani la bandiera del sovrano e lo stesso sono tenuti a fare tutti i catalani, aragonesi, spagnoli e navarresi,[39] era insomma una sorta di mobilitazione generale. Probabilmente in questo periodo i Doria avevano già preso e distrutto la Bastida di Sorres.[40]

Frattanto conscio che le truppe a disposizione non erano comunque sufficienti per fronteggiare i doriani il Cervelló aveva inviato il proprio figlio Guerau a Cagliari per portare rinforzi dal meridione dell’isola;[41] Guerau sulla via del ritorno, avvertito della concentrazione di truppe doriane in assetto di guerra, stazionò qualche tempo a Macomer, nel sicuro territorio arborense, con la compagnia di 300 balestrieri prelevati dal capoluogo sardo. 

Y don Guerao se puso con ellos en una villa del estado del juez de Arborea que se decía Mazumera sin recibir ningún daño de los contrarios, que hacían ayuntamiento de sus gentes para no dejar pasar a don Guerao con aquella compañía de ballesteros a juntarse con su padre.[42]

Guillem de Cervelló ben conoscendo i movimenti delle truppe doriane decise quindi di andare incontro al figlio con il quale si ricongiunse a Bonorva anch’essa in territorio arborense (nella curatorìa di Costa de Addes).

Pero luego que tuvo dello noticia Mariano juez de Arborea y conde de Gociano -que era en aquella sazón fiel al rey y favorecía a sus oficiales- envió a avisar a don Guerao, y aconsejóle que procurase de pasar cautamente, de suerte que no recibiese daño, porque le tomaban los pasos y caminos. Habida esta nueva, avisó dello don Guerao a su padre, y sin que lo entendiese el juez de Arborea salió don Guillén de Cervellón de Sácer con las mejores compañías de gente de caballo y de pie, y fuese a poner en una villa del juez de Arborea que se decía Bonorba, a donde se juntaron los de Cáller con la gente que iba de Sécer que el gobernador había mandado llamar.[43]

Ai Doria vennero inviati dei messaggeri per consentire il pacifico transito delle truppe catalano-aragonesi e questi acconsentirono a condizione che non venissero danneggiati villaggi e la popolazione avvertendo che comunque sarebbero rimasti nelle vicinanze per eventualmente difendere i loro possedimenti. Mariano intuendo il pericolo latente inviò in ogni caso un contingente di 300 cavalieri di supporto e invitò il Governatore a non muoversi in attesa dell’arrivo di ulteriori rinforzi che gli stava mandando. Incurante degli avvertimenti di Mariano e soprattutto senza attendere l’arrivo degli armati da questi promessi, il Cervelló, confidando in una tregua valida per tutto il mese di agosto, decise comunque di rientrare a Sassari attraversando di conseguenza nuovamente i territori doriani.

Tradizionalmente gli studiosi identificano con Aidu de turdu («locum vocatum sena dicu de turdu, terrarum baronum de Auria» nelle fonti catalane citate nella nota precedente) una località in territorio di Bonorva[44] nelle vicinanze dell’odierna S.S. 131 in località Ponte mulinu a circa 3 km O-NO dal centro abitato. Sono invece di diverso avviso Casula che lo localizza nell’attuale territorio di Torralba[45] e Belli il quale, nel ricostruire il tracciato viario della romana Turris-Karales, sulla base di alcuni miliari nonché di elementi topografici e documentali propone la localizzazione a N-NE di Bonnanaro e Torralba e più precisamente tra Poggio Tulde (ritenuto corruzione di «turdu») e il vicino M. Austidu.[46] Tale tesi è stata recentemente accolta da Deriu-Chessa i quali, oltre a considerare e approfondire gli elementi apportati dal Belli, analizzano la ripartizione feudale del territorio all’epoca dello scontro, e respingono pertanto la vecchia ipotesi bonorvese accogliendo quella torralbese ritenuta più logica anche perché, come abbiamo detto precedentemente, nei documenti viene specificato esplicitamente che era in territorio dei Doria.[47]


Tornando agli accadimenti, arrivata al passo di Aidu de turdu l’avanguardia iberica, composta da più di 400 uomini sardi e mercenari italiani, riuscì a passare indisturbata; a questo punto Guerau de Cervelló, forse imbaldanzito dalla facilità con cui era transitata il primo contingente o travisando l’atteggiamento apparentemente remissivo e poco battagliero dei sardo-liguri, si lanciò su di essi con uno squadrone di cavalleria seguito appresso dal fratello Monic (in realtà il vero nome era Ramon Alemany)[48] con un altro squadrone. La reazione dei sardo-liguri fu immediata con un fitto lancio di frecce e dardi e con l’abbattimento dei cavalli per mezzo di lance –atto che, nella cavalleria  medievale, era considerato deprecabile e privo di onore– dopodiché i cavalieri, una volta atterrati, venivano inesorabilmente uccisi dai fanti.

Pero siguiendo don Guerao de Cervellón hijo del gobernador con otro escuadrón, pareciéndole que la gente de pie de los contrarios era muy vil, con algunas compañías de caballo arremetió para ellos, y siguió tras él con otra parte de la caballería otro hermano suyo que se llamaba Mónico de Cervellón; y trabóse entre ellos muy recia batalla: y los contrarios arrojaban tanta muchedumbre de astas y dardos y varas enastadas de que ellos usaban, que hirieron los caballos y los rompieron, de manera que cayendo por tierra los Caballeros los mataban muy fieramente; y luego se pusieron en huída los sardos e italianos que iban en la avanguardia.[49]

Nello scontro quindi oltre a vari esponenti di primo piano dell’esercito iberico trovarono la morte anche l’irruento Guerau, il fratello Monic, il cugino Huguet ed in seguito, probabilmente anche se non a causa di ferite ma per il caldo e la sete patita durante la fuga, anche il padre Guillem.

Et idem gubernator, quondam, cum aliis equitibus et peditibus retrocedens, ad terras dicti iudicis redire e recurrere curavit et, dum in esidem maneret et esset in nemore in quo aquam non poterat intervenire, idem gubernator, propter calore set sitim, in minibus ali quorum scutifferorum suorum, ab hac luce migravi.[50]

L’avanguardia composta da sardi e italiani (probabilmente mercenari al soldo del Giudice o degli stessi catalani) venne dunque messa in fuga e gli altri superstiti dell’armata si rifugiarono in territorio arborense attraversando, come sostiene Deriu, la zona oggi nota come Campo di Santa Lucia per trovare rifugio nel castello del Goceano dove il Cervelló fu seppellito per ordine di Mariano; i corpi dei caduti sul posto della battaglia invece non poterono essere recuperati in quanto rimasti in territorio nemico:

Sepultan a don Guillén de Cervellón, y no se pueden haber los cuerpos de sus hijos ni de otros ricos hombres y caballeros muertos en esta villa. El cual, sabiendo el destrozo del ejército del rey, mandó ir por el cuerpo de don Guillén y llevarlo al castillo de Gociano, a donde fue sepultado; y no pudo cobrar los cuerpos de los hijos y de Hugueto de Cervellón sobrino de don Guillén y de otros ricos hombres y caballeros que murieron en la batalla, porque quedaron dentro en la tierra de los enemigos.[51]

Purtroppo le fonti documentali non indicano la data precisa dello scontro sappiamo però che il 20 agosto Pietro IV informava i consiglieri e probiviri di Sassari che non poteva inviare i rinforzi richiesti e che pertanto dovevano provvedere da soli alla difesa della città mentre già il 26-27 agosto veniva informato della sconfitta subita dalle sue truppe. Da confrontare però questa data con una lettera datata 28 agosto 1347 con la quale Pietro IV scriveva al governatore Guillem de Cervelló in merito alle proteste di Benedetto, abate di San Michele di Plaiano, che richiedeva la restituzione dei beni del monastero che il Marchese di Malaspina aveva indebitamente occupato tempo addietro e successivamente pervenute alla curia regia[52] evidentemente la missiva era stata predisposta prima della tragica notizia; nella stessa data infatti il sovrano scriveva agli uomini in Sardegna di avere ricevuto la triste notizia e li esortava ad avere coraggio e resistere ai rivoltosi.[53]

Nonostante le successive accuse di tradimento e di connivenza con i Doria,[54] in questa occasione emerge chiaramente come Mariano IV in più di un’occasione sconsigliò il Cervelló dall’attraversare le terre doriane perché era stato informato dei movimenti delle truppe e anche dopo la battaglia fece raccogliere le spoglie dei Cervelló per tumularli nel castello del Goceano che era di sua proprietà, come ci informa il Vico:

Cuando el Juez supo el desastrado suceso de esta guerra, envió por los cuerpos del gobernador y de sus hijos, y solo pudo cobrar el del gobernador, que le hizo llevar al castillo de Gociano, donde está enterrado.[55]

Il resto dell’esercito scampato all’eccidio invece, al comando di Gombau de Ribelles (tristemente noto in Trexenta per aver ucciso alcuni abitanti del villaggio di Arili),[56] ormai in rotta, dopo qualche giorno si rifugiò all’interno delle mura di Sassari collaborando alla sua difesa assieme ad altri contingenti fatti arrivare via mare da Cagliari.[57]

Il passato pericolo per la città di Sassari fu decretato solo il 12 settembre del 1347,[58] ma era un fatto temporaneo in quanto dopo lo scontro di Su aidu de turdu anche le truppe doriane si diressero verso la città per stringerla d’assedio come conferma lo stesso Pietro IV in una lettera alla città di Tarragona;[59] solo nei primi nel gennaio del 1348, dopo cinque mesi e mezzo, dovettero ritirarsi probabilmente a causa dell’arrivo della peste, del risoluto intervento del nuovo governatore Riambau de Corbera in carica dall’ottobre 1348,[60] e soprattutto degli Arborea schierati a fianco dei catalano-aragonesi tant’è che il sovrano nell’aprile del 1348 con una lettera ringraziava Mariano e Giovanni per l’aiuto prestato.[61]

La liberazione della città ancora una volta era provvisoria perché la guerra riprese e qualche mese dopo Sassari fu nuovamente assediata per altri otto mesi sino a quando nel 1349, ancora una volta con la collaborazione (non certamente disinteressata)[62] del giudice d’Arborea, vennero intavolate nuove trattative di pace con i Doria e i Malaspina concernenti anche il castello di Osilo[63] antico possedimento malaspiniano da qualche anno passato in mano catalano-aragonese.

La guerra in atto in Sardegna e la cocente sconfitta subita ebbero delle notevoli ripercussioni politiche, militari e patrimoniali sulla Corona che dovette vendere rendite, diritti, etc. per far fronte alle spese militari nell’isola.[64]

Come accennato in precedenza la notizia della disfatta delle armi catalano-aragonesi raggiunse Pietro IV a Saragozza proprio durante lo svolgimento delle Corts; il 27 di agosto il sovrano nominò immediatamente una commissione di cinque persone incaricate di apprestare i soccorsi da inviare in Sardegna[65] dandole nel contempo procura a vendere in perpetuo o temporaneamente «villas, castra, feuda, censualia, iurisdicciones, potestates vel alia iura spectancia» in qualsiasi modo con potere di definirne i prezzi, autorizzava inoltre la contrazione di debiti in nome della Corona (e infatti nel successivo mese di settembre venne contratto un prestito di 100.000 soldi barcellonesi), li autorizzava a negoziare la difesa dell’isola con coloro che avevano possessi in Sardegna e infine li incaricava di reclutare un’armata di fanti e cavalieri contrattandone gli stipendi (ammontanti giornalmente a 6 soldi per i cavalli armati, 4 soldi per i cavalli alforrati e un soldo per i fanti).[66] Verso la metà di ottobre fervevano i preparativi per la spedizione anche perché Francesc de Santcliment, che era stato inviato nell’isola, stimava che per soffocare la rivolta occorrevano circa trecento cavalieri e 2.000 serventi. A questi si dovevano aggiungere altri 100 jinetes (cavalieri) e 500 balestrieri reclutati da Riambau de Corbera (il quale aveva peraltro anticipato 50.000 soldi per il pagamento degli stipendi) per una spesa complessiva valutata in 15.000 o 20.000 libbre.[67]

Procedette inoltre alla cessione di alcuni feudi in Sardegna e il 18 novembre ricevette dal barcellonese Ramon Desvall (o Ça Vall) 40.000 soldi barcellonesi per la vendita di Mandas, Escolca e Nurri (situate nella storica curatorìa di Siurgus ma oggi da alcuni considerate parte della Trexenta) che vennero utilizzati per pagare gli stipendi ai soldati; l’impegno finanziario del Desvall non era indifferente in quanto è stato calcolato corrispondente a circa il 20% delle somme occorrenti per l’intera campagna militare. Il mese successivo inoltre la Corona cedeva a Ramon d’Ermenter le ville di Baratuli, Baniargia e Sebellesi nella curatorìa del Sigerro per 2.000 soldi. Alla fine di dicembre vendeva anche le ville Sicci e Troodor nella curatorìa di Bonavolia a Francesc de Santcliment per 10.000 s.b.

Oltre alla cessione di villaggi in Sardegna il re procedette inoltre alla vendita di alcuni castelli nel Principato e infatti a metà dicembre cede il castello di Torelló a Pere de Melany al prezzo di 30.000 s.b. e qualche giorno dopo il castello di Bages a Guillem de Cirera per 7.000 s.b.[68] Così come il summenzionato Desvall ottenne anche le rendite di Besalú e parte di quelle di Figueres.[69]

La guerra con i Doria dunque necessitava di un considerevole impegno finanziario per il quale non potevano bastare le sole entrate ordinarie e pertanto le operazioni vennero in parte finanziate con il ricorso al debito[70] oltre che con altri introiti di carattere straordinario. Una delle misure prese da Pietro IV fu quindi quella di imporre a tutti i feudatari in Sardegna una contribuzione straordinaria parametrata al 20% degli uomini atti alle armi o in alternativa pagare 4 libre di alfonsini minuti per ogni uomo che non partecipava materialmente alle operazioni militari.[71] Per quanto riguarda la Trexenta nell’elenco è presente la sola villa di Barrali (Baralla, all’epoca nella curatoria di Dolia) all’epoca infeudata a Pere de Sitges il quale per 15 uomini atti alle armi conteggiati al 20% doveva corrispondere 12 lire; il resto della curatorìa invece non è inserito nell’elenco in quanto in mano a Pisa, la quale, in base agli accordi di pace del 1326 non era tenuta a fornire armati.[72] Sono invece presenti altre ville del circondario alcune attualmente considerate in Trexenta quali Mandas e Nurri (in feudo a Francesch dez Corral) che per 125 uomini erano accreditate di 100 lire, Gesico, Corongiu, Furtei e Baratuli per complessivi 140 uomini e quindi 112 lire che erano in feudo ai fratelli Ramon e Bertran Desvall mentre al cugino Nicolau per Samassi e Baralla corrispondeva 48 lire per il 20% di 60 uomini. Francesch Resta per i villaggi di Donicaller, Surgos, Resolli, Gerni, Suiroy, Plata, Arseni, Stobor, Colent e Turrui corrispondeva 88 lire per 110 uomini. Contrariamente a quanto ipotizzato da alcuni autori, nell’introduzione di questa misura non si deve intravedere una diversa abilità alle armi da parte dell’elemento sardo ma una semplice tassa. Infatti, anche dove i feudatari erano in grado di presentare i propri uomini la Corona preferiva incassare le somme e spenderle come meglio preferiva reclutando armati di professione specializzati. Anzi era questa una prassi utilizzata anche in Catalogna come per esempio nel 1368 quando le Corts autorizzarono le richieste del sovrano di convertire la mobilitazione generale con il versamento di una determinata somma di denaro (2 soldi di diaria giornaliera per coloro che erano tenuti a fornire 5 serventi o meno) nella misura corrispondente a un combattente ogni 15 fuochi; questo perché il sovrano in quella occasione preferiva utilizzare quanto ricavato monetariamente per stipendiare uomini a cavallo ritenuti più efficaci e qualitativamente superiori rispetto ad un esercito composto da uomini (a volte mal equipaggiati) come quello che scaturiva da una mobilitazione generale.[73]

Per reperire risorse finanziarie da destinare a crociate o ad altri impegni militari oppure a particolari situazioni di difficoltà economica la Corona aragonese inoltre ricorreva spesso all’aiuto del pontefice al quale chiedeva la concessione delle decime o l’esenzione dal pagamento del censo o altre sovvenzioni. Anche nel caso della Sardegna i sovrani avevano richiesto ripetutamente tali sostegni ad iniziare da Giacomo II. Lo studioso spagnolo Sánchez Martínez ha a più riprese analizzato in modo approfondito le finanze statali della Corona e in un suo contributo si è soffermato su alcune di queste decime ossia quella biennale del 1349, la triennale del 1351 e quella del 1354, anch’essa biennale, richieste da Pietro IV proprio per la Sardegna e concesse da Clemente VI e da Innocenzo VI.[74]

ACA MR reg. 1178
La prima di queste in particolare venne richiesta l’anno successivo alla sconfitta di Aidu de turdu e dei fatti conseguenti compreso l’assedio di Sassari; la situazione militare inoltre era fortemente aggravata dal concomitante diffondersi di una grave epidemia, la famosa peste negra. Pietro IV, tramite i propri inviati Galceran de Bellpuig e Lope de Gurrea, chiese l’aiuto finanziario a papa Clemente VI; di tale ambasceria ci sono pervenute le istruzioni fornite dal sovrano ai due procuratori nel novembre 1348 dove, per giustificare le sue richieste, mette in evidenza lo stato di desolazione in cui versava l’isola a seguito di tali avvenimenti.[75] Il pontefice il 4 giugno 1349 gli concede pertanto la decima biennale in tutti i territori della Corona nominando collettori per i territori iberici l’arcivescovo di Tarragona e i vescovi di Valencia e Tortosa. La decima verrà quindi riscossa in diverse rate il 24 giugno 1350, 2 febbraio 1351, 24 giugno 1351 e 2 febbraio 1352.[76] Negli archivi barcellonesi si sono in parte conservati i registri con annotate le riscossioni di queste decime e, per quelle concesse nel 1349, che qui ci interessano in modo particolare, abbiamo un certo dettaglio relativamente alle diocesi di Barcellona,[77] Lerida,[78] Tarragona,[79] Urgell[80] e Vic.[81]

Per quanto riguarda invece il Regno di Sardegna e Corsica, collettore per la raccolta delle decime nell’isola venne nominato l’arcivescovo di Cagliari Pietro Çescomes. Della sua attività di raccolta fondi per questa imposizione purtroppo non ci rimane molta documentazione; sicuramente però durante il suo incarico come base per la riscossione delle decime vennero utilizzati degli estimi noti in letteratura per via di un quinterno intitolato Taxationis benefficiorum Regni Sardiniae nel quale vengono elencati, distintamente per diocesi, i benefici da sottoporre a tassazione.[82]

Alcuni documenti custoditi nell’Archivio di Stato di Pisa[83] trascritti da Silvia Seruis sono riconducibili all’esazione di queste decime;[84] il 24 dicembre 1350 infatti viene riportato che Pietro Çescomes in qualità di «archiepiscopus callaritanus, collettor decimarum papalium biennarum convertendarum in subsidium domini nostri regis Aragonum deputatus ad hec» dispone che l’opera di Santa Maria di Pisa versi 5 libbre, 18 soldi e 9 denari di alfonsini minuti per gli immobili posseduti nel castello di Cagliari quale prima annualità della decima da versarsi entro il successivo mese di febbraio. Negli altri due documenti (datati rispettivamente 10 e 12 marzo 1351, il secondo dei quali oggi risulta scomparso e si si trova solo in copia a Cagliari) il citato canonico Graziani «canonicus kallaritanus subcollettor decimarum papalium biennarum» riscuoteva e quietanzava, per conto dell’arcivescovo cagliaritano Pietro Çescomes, la prima annata della decima (5 libbre) dovuta dall’Opera di Santa Maria di Pisa per i possessi cagliaritani. In tutti e tre i documenti a rappresentare l’Opera per i beni posseduti a Castro Calleri era il mercante Simone Manca che in quel periodo operava stabilmente a Cagliari in rappresentanza dell’istituto pisano.[85]

Resta tuttavia da chiarire meglio il diverso importo da riscuotere indicato sul documento del 1350 nonché l’incongruenza presente nei due documenti del marzo 1351 in quanto entrambi attestano il pagamento di 5 libbre e sempre per il primo anno di esazione della decima. Facendo il paragone con le scadenze delle decime iberiche dove il pagamento della prima rata era prevista per il 2 febbraio del 1350 (versamento prorogato poi al 24 giugno per meri motivi organizzativi) mentre le altre rate erano previste per il 2 febbraio 1351, 24 giugno 1351 e 2 febbraio 1352,[86] sembrerebbe che la seconda di queste scadenze sia in linea con la data in cui il Graziani attesta di aver riscosso gli importi da Simone Manca per conto dell’Opera.

Quelle sopra elencate saranno solo alcune delle misure che nel 1355 porteranno Pietro il Cerimonioso alla riorganizzazione del Regno di Sardegna e Corsica in seguito alla rivolta di Mariano IV d’Arborea che rischiò di avere conseguenze ben più pericolose rispetto all’insurrezione doriana. 



[1] Maria Mercè Costa i Paretas, «El noble Jaume d’Aragó, fill bastard de Jaume II», in Estudis d’història medieval, vol. 1, Barcellona 1969, p. 12.
[2] Il Cervelló il 20 gennaio 1347 informava il sovrano della preoccupante situazione di Sassari e dintorni. Analoghe missive vennero inviate ad altri vari esponenti a corte sia da parte del governatore che da parte di altri ufficiali regi di stanza in Sardegna. Cfr. Laura Galoppini, Ricchezza e potere nella Sassari aragonese, Pisa 1989, pp. 34 e ss.
[3] Santiago Simón Ballesteros, «El acuerdo secreto firmado entre el rey Pedro IV y el noble aragones Lope de Luna durante la segunda Union (1347-1348)», in Aragón en la Edad Media, n. XXII (2011), pp. 247-269. Cfr. Santiago Simón Ballesteros, «Por no caer en “captividat perpetua e vinamos a condicion d’esclavos”: la radicalización del movimiento unionista en 1348», rivista online e-Spania, 14 (2012).
[4] S.J. Hilario Marin, «Un texto interesante del “Privilegium generale Aragonum”» in Argensola: Revista de Ciencias Sociales del Instituto de Estudios Altoaragoneses, n. 5 (1951), p. 17.
[5] Francesco Cesare Casula, «La Sardegna dopo la Meloria», in AA.VV., Genova, Pisa e il Mediterraneo tra Due e Trecento. Per il VII centenario della battaglia della Meloria, Genova, 24-27 ottobre 1984, in Atti della Società Ligure di Storia Patria, nuova serie, XXIV/2 (1984), Genova 1984, pp. 501-514. Per quanto riguarda l’ex Giudicato di Torres o Logudoro che qui ci interessa in modo particolare Cfr. da ultimo Franco G.R. Campus, «Incastellamento e poteri locali di origine ligure in Sardegna. L’area della Sardegna settentrionale», in Genova. Una "porta" del Mediterraneo (a cura di L. Gallinari), Genova 2005, pp. 367-412.
[6] Francesco Cesare Casula, «Profilo storico della Sardegna catalano-aragonese», in Medioevo saggi e rassegne, n. 7, Pisa 1983, p. 10 e riproposto in Francesco Cesare Casula, Sardegna catalano aragonese - profilo storico, Roma 1984. Cfr. Francesco Cesare Casula, «I trattati diplomatici sardo-aragonesi del 1323-1326», in AA.VV., Sardegna, Mediterraneo e Atlantico tra medioevo e età moderna, Studi storici in onore di Alberto Boscolo, La Sardegna, (a cura di Luisa D’Arienzo), vol. I, Roma 1993, p. 207. Cfr. Gian Giacomo Ortu, La Sardegna dei Giudici, Nuoro 2005, p. 251. Cfr. Alessandro Soddu, «I Doria, signori di Monteleone», in Monteleone Rocca Doria, (a cura di Marco Milanese), Muros 2005, pp. 59-60. Cfr. Alessandro Soddu, «Corona d’Aragona e Malaspina nella Sardegna del Trecento», in Sardegna catalana, (a cura di A. M. Oliva e O. Schena), Barcellona 2014, pp. 87-103.
[7] Sandro Petrucci, Cagliari nel Trecento. Politica, istituzioni, economia e società. Dalla conquista aragonese alla guerra tra Arborea ed Aragona (1323-1365), Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Sassari, Facoltà di Lettere e Filosofia, Dipartimento di Teorie e Ricerche dei Sistemi culturali, Dottorato europeo di ricerca in antropologia, storia medioevale, filologia e letterature del Mediterraneo occidentale in relazione alla Sardegna, Ciclo XX, Sassari 2005-2006, p. 69. Cfr. Gian Giacomo Ortu, La Sardegna dei Giudici, op.cit., p. 252. Cfr. Francesco Cesare Casula, I trattati diplomatici sardo-aragonesi del 1323-1326, op.cit., p. 215. Cfr. Alessandro Soddu, I Doria, signori di Monteleone, op.cit., pp. 59-60.
[8] Jeronimo Zurita, Anales de Aragón, (edición de Ángel Canellas López. Edición electrónica de José Javier Iso (coord.), María Isabel Yagüe y Pilar Rivero), Zaragoza 2003, vol. III, libro VI, cap. XLV.
[9] Brancaleone e Bernabò Doria infatti nel sottomettersi al sovrano oltre che mantenere i loro possedimenti nel Logudoro miravano ad ampliarli nonché a recuperare i castelli di Goceano e Monteacuto passati in mano arborense. Cfr. Maria Eugenia Cadeddu, «I privilegi reali nel Regno di Sardegna e Corsica all’epoca di Giacomo II e dell’Infante Alfonso d’Aragona. Strategie politiche e militari», in Los cimentos del Estado en la Edad Media, (a cura di Juan Antonio Barrio Barrio), Alicante 2004, p. 164.
[10] A seguito di questa sommossa avvenuta a Sassari, Vinciguerra Doria venne fatto giustiziare da Berenguer Carroç. Cfr. Angelo Aldo Castellaccio, «Politica, economia e società a Sassari nei primi anni della dominazione aragonese» in Aspetti di storia italo – catalana, Sassari 1983, p. 79.
[11] Giovanni Deriu, «Fonti per la storia della villa di Giave durante i sec. XII-XV», in Salvatore Chessa – Giovanni Deriu, Ricerche su Giave, Cargeghe 2008, pag. 68 e segg. Cfr. Alberto Della Marmora, Itinerario dell’isola di Sardegna, vol. III (ristampa edizione 1860 a cura di Maria Grazia Longhi), Nuoro 1997, p. 15. Cfr. Sandro Petrucci, Cagliari nel Trecento …, op.cit., p. 1013.
[12] Sandro Petrucci, Cagliari nel Trecento …, op.cit., p. 1155
[13] Sul clima di estrema insicurezza e pericolosità nelle campagne e nelle strade del nord Sardegna negli anni precedenti l’episodio di “Su aidu de turdu” ed in particolare sulle incursioni che i doriani facevano partendo dal castello di Roccaforte. Cfr. Angelo Aldo Castellaccio, Politica, economia e società a Sassari ..., op.cit., pp. 75-99.
[14] In quell’anno la fortificazione doveva già essere stata realizzata o era in avanzata fase di realizzazione in quanto il Cardona vi fece portare prigionieri Berenguer de Cruïlles e Gombau de Ribelles perché coinvolti, assieme a Jaume de Carroç, in atti di insubordinazione e oltraggio nei confronti del veguer di Sassari, Ramon de Montpaò, per il quale venne istruito un processo a carico dello stesso Carroç. Cfr. Maria Mercé Costa, «Jaume Carròs i el Veguer de Sàsser», in Archivio Storico Sardo. n. XXXV (1986), p. 97. Sull’episodio vedasi anche Maria Bonaria Urban, «L’istituto del Veguer e l’ amministrazione della città di Cagliari. Alcune note preliminari» in El món urbà a la Corona d’Aragó del 1137 als decrets de nova planta, XVII Congrés d’Història de la Corona d’Aragó (coord. per Salvador Claramunt Rodríguez) vol. 3, Barcellona 2003, pag. 1042, n. 96. Il primo castellano o alcaide della bastida fu Bort Ça-Cirera che, nominato dal governatore Ramon de Cardona, venne successivamente riconfermato da Pietro IV alla carica di «alcaydi seu castellani castri sive loci de Sorra siti in insula Sardinie». Cfr. Archivo de la Corona de Aragón, di seguito A.C.A., R.C., reg. 516, ff. 174v-175r. (1333 settembre 1, Lerida). Circa due mesi dopo al Ça-Cirera subentrò Ferdinando de Ruffis vedasi A.C.A., R.C., reg. 516, ff. 221v-212r (1333 ottobre 27, Saragozza).
[15] «Supplicatum extitit nobis pro parte nobilis Danyani de Auria quod cum nobilis Raimundus de Cardona, quondam gubernator dicti regni, construxerit infra loca ipsius que habere asserit in insula Sardinie quandam bastidam apud locum de Sorra, cuius occasione quinque ville quas prefatus Danyanus asserit suas esse destructe existunt et que bastida est nobis valde dampnosa dirui facere dignaremur eandem». A.C.A., R.C., reg. 1006, f. 113v (1336 ottobre 15, Valenza). Cfr. Sandro Petrucci, Cagliari nel Trecento …, op.cit., p 1081. Nel documento non sono menzionate le ville distrutte ma da altre fonti sappiamo che all’epoca Damiano Doria nella zona possedeva le ville di Ardena, Ruda, Vanare, Siligo, Querquedo, Gonanor Mecdo, Gonanor Manno, Gruta, Turalba e Saylo tutte site nel Meilogu. Cfr. Giuseppe Meloni, Insediamento umano nella Sardegna settentrionale. Possedimenti dei Doria alla metà del XIV secolo, in La Corona d’Aragona in Italia (secc.XIII-XVIII), Atti del XIV Congresso della Corona d’Aragona, Sassari-Alghero, vol.II, tomo II, Sassari 1995, p. 578.
[16] A.C.A., R.C., reg. 1007, f. 211v (1337 maggio 3, Saragozza).
[17] A.C.A., R.C., reg. f. 274v (1339 marzo 15, Valenza).
[18] A.C.A., R.C., reg. 1008, f. 55r-v (1338 gennaio 9, Gandia).
[19] Lo storico in un suo volume riproduce una foto del 1951 nella quale sono ripresi alcuni operai intenti a demolire quello che sembra un terrapieno o i resti di una costruzione identificata come la bastida. Cfr. Francesco Cesare Casula, La Sardegna aragonese, vol. 1, Sassari 1990, fig. IX.
[20] In un primo momento era stata presa in considerazione l’idea di acquisire a titolo oneroso il castello di Monteleone e la curatorìa di Nurcara ma successivamente questa ipotesi venne accantonata optando per la confisca tout court di questi possedimenti giudicata meno costosa. Cfr. Alessandro Soddu, Incastellamento in Sardegna. L’esempio di Monteleone, Raleigh (USA) 2013, pp. 60-64.
[21] Alessandro Soddu, I Malaspina e la Sardegna ..., op.cit., p. 312.
[22] Giuseppe Meloni, Il Parlamento di Pietro IV d’Aragona (1355), collana: Acta Curiarum Regni Sardiniae, vol. 2, Firenze 1993, pp. 242-249.
[23] Archivio di Stato di Cagliari, di seguito A.S.C., Antico Archivio Regio, Editti ed ordini, C1, c. 17r, (1347 marzo 25, Sassari).
[24] Alessandro Soddu, Incastellamento in Sardegna ... op.cit., p. 63.
[25] A.S.C., Antico Archivio Regio, Editti ed ordini, C1, c. 16r, (1347 aprile, Sassari).
[26] A.S.C., Antico Archivio Regio, Editti ed ordini, C1, c. 16v, (1347 aprile, Sassari).
[27] A.S.C., Antico Archivio Regio, Editti ed ordini, C1, c. 21r, (1347 maggio 25, Sassari) e A.S.C., Antico Archivio Regio, Editti ed ordini, C1, cc. 21v-22r, (1347 maggio 25, Sassari).
[28] A.S.C., Antico Archivio Regio, Editti ed ordini, C1, c. 30r-30v, (1347 giugno 26, Sassari).
[29] A.S.C., Antico Archivio Regio, Editti ed ordini, C1, c. 26r-26v, (1347 luglio 05, Sassari).
[30] A.S.C., Antico Archivio Regio, Editti ed ordini, C1, cc. 28r-29r, (1347 luglio 10, Castello del Goceano, Burgos).
[31] A.S.C., Antico Archivio Regio, Editti ed ordini, C1, c. 29r, (1347 luglio 10, Sassari).
[32] Francesco Loddo Canepa, «Alcuni nuovi documenti del secolo XIV sulla Sardegna aragonese», in AA.VV., Atti del VI Congresso Internazionale di Studi Sardi (Cagliari 2-8 maggio 1955), vol. 1 - Storia, Cagliari 1962, pp. 279-281. Cfr. Alessandro Soddu, I Malaspina e la Sardegna …, op.cit., p. 314, doc. 441.
[33] A.S.C., Antico Archivio Regio, Editti ed ordini, C1, c. 27v, (1347 luglio 21, Sassari).
[34] A.S.C., Antico Archivio Regio, Editti ed ordini, C1, c. 30r, (1347 luglio 22, Castello del Goceano, Burgos).
[35] Jeronimo Zurita, Anales de d’Aragón …, op.cit., vol. IV- libro VIII, cap. XVI. cfr. Francesco De Vico, Historia general de la Isla y Reyno de Sardena 5 parte, (ristampa edizione Barcellona 1639 a cura di Francesco Manconi), Cagliari 2004, p. 181.
[36] Angel Canella López, «Fuentes de Zurita: documentos de la alacena del cronista, relativos a los años 1302-1478», in Cuadernos de historia Jerónimo Zurita, n. 23-24, (1970-1971), pp. 278-279 e p. 331, doc. 6. Il quantitativo maggiore, 16 cavalli armati, venne messo a disposizione da Huguet de Cervelló; seguivano poi 5 cavalli armati forniti da Gombau de Ribelles; e 4 cavalli armati forniti da Jacme de Talarn e altrettanti da Romeu de Corbera; fornirono poi 3 cavalli armati: Berengario Gonz Vicent, Dalmau d’ Avinyo, Rambau d’Ezlor (che essendo malato inviò al proprio posto Jacme Torrella e Barcholomeu Rogaras); 2 cavalli armati: Berenguer d’Erill, Bernard de Villardida, Bernat de Perpia, Bertran de Canet fill d’en Ferran, Geraldo de Cleriana, Guillelmo d’Espuig, Ombert de Riu de Foix, P. d’Ostalrich, Pedro de Ruffas; e 1 cavallo armato: Alfonso de Rando, Bemat Guilera, Berenguer de Rajadell, Bernart Badia, Bernart Peres Puiadas, Borc pa Corc, Francesch de Farnez, Garceran de Podios, Gerau de Adarro, Johan de Ferreres, Ombert Zescorz, P. Baboc, Ramon de Pontons, Ramon de Timor, Ramon Gari, Romeu de Cleriana.
[37] A.S.C., Antico Archivio Regio, Editti ed ordini, C1, c. 30v, (1347 agosto 02, Sassari).
[38] A.S.C., Antico Archivio Regio, Editti ed ordini, C1, c. 31r, (1347 agosto 05, Sassari).
[39] A.S.C., Antico Archivio Regio, Editti ed ordini, C1, c. 31r, (1347 agosto 07, Sassari). Una sintesi dell’attività del Governatore in questi mesi del 1347 la si trova anche in Francesco Loddo Canepa, Alcuni nuovi documenti del secolo XIV ...,  op.cit., pp. 268-271.
[40] Da alcuni documenti successivi tra i quali uno riportante un elenco di feudatari infatti si apprende che i Doria avevano preso e distrutto la bastida e ucciso il governatore; da questi documenti tuttavia non è ben chiaro se tale distruzione sia avvenuta prima della battaglia di “Aidu de turdu” oppure successivamente. A.C.A., R.C., reg. 1016, f. 51v (1347 agosto 28, Saragozza). Cfr. Sandro PETRUCCI, Cagliari nel Trecento …, op.cit., p. 1133. Molto probabilmente però i Doria avevano già distrutto la fortificazione in quanto durante la fuga successiva alla battaglia il Cervelló si diresse nella direzione esattamente opposta.
[41] Maria Mercè Costa, «Oficials de la Corona d’Aragò a Sardenya (segle XIV)», in Archivio Storico Sardo, vol. XXIX - anno 1964, Padova 1964, pp. 327-333. Cfr. Evandro Putzulu, Cervellón, Guglielmo de, in Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 24 (1980).
[42] Jeronimo Zurita, Anales de Aragón …, op.cit., vol. IV- libro VIII, cap. XVI.
[43] Jeronimo Zurita, Anales de Aragón …, op.cit., vol. IV- libro VIII, cap. XVI. Una breve relazione dello scontro la si può trovare anche in diversi documenti di cancelleria (dai quali sicuramente ha attinto lo Zurita) in A.C.A., R.C., reg. 1016 fg. 48v-49r. Cfr. Manuel Sánchez Martínez, Pagar al rey en la Corona de Aragón durante el siglo XIV. Estudios sobre fiscalidad y finanzas reales y urbanas, Barcellona 2003, p. 123.
[44] Meramente a titolo di esempio tra gli altri vedasi Vittorio Angius, in Dizionario geografico storico-statistico-commerciale degli Stati di S.M. il Re di Sardegna (a cura di Goffredo Casalis), vol. II, Torino 1834, pp. 441-442; Cfr. Giuseppe Meloni, «Il Periodo aragonese» in La Provincia di Sassari: ambiente, storia, civiltà, Sassari 1987, p. 106 e anche in Giuseppe Meloni, Il Parlamento di Pietro IV d’Aragona (1355), collana: Acta Curiarum Regni Sardiniae, vol. 2, Firenze 1993, p. 41; Cfr. Francesco Floris, Storia della Sardegna, 1999, p. 250; Cfr. Angelo Aldo Castellaccio, L’amministrazione della giustizia nella Sardegna aragonese, Sassari 2003, p. 61; Cfr. Antonello Mattone, Mariano d’Arborea, in Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 70 (2007); Cfr. Sandro Petrucci, Cagliari nel Trecento ..., op.cit., p. 1148.
[45] Francesco Cesare Casula, Profilo storico della Sardegna ..., op.cit., p. 27.
[46] Emilio Belli, «La viabilità romana nel Logudoro-Meilogu», in Il nuraghe S.Antine nel Logudoro-Meilogu (a cura di A. Moravetti), Sassari 1988, pp. 335-337.
[47] Giovanni Deriu – Salvatore Chessa, Meilogu - tomo II, Cargeghe 2014, pp. 133-135.
[48] Maria Mercè Costa i Paretas, Oficials de la Corona d’Aragó …, op.cit., p. 333. Cfr. anche Proto Arca Sardo, De bello et interitu marchionis Oristanei (a cura di Maria Teresa Laneri), Monastir 2003, p. LII e 12, il quale però confonde i figli di Guglielmo con i nipoti del Cervelló.
[49] Jeronimo Zurita, Anales de Aragón …, op.cit., vol. IV- libro VIII, cap. XVI.
[50] Manuel Sánchez Martínez, «Despues de Aidu de Turdu (1347): las repercusiones de los sucesos de Cerdena en el patrimonio real», in Comunicación del XIV Congresso di Storia della Corona d’Aragona [Sassari-Alghero, 1990], Cagliari 1995, Vol. II. p. 803 riproposto e ampliato in Manuel Sánchez Martínez, Pagar al rey en la Corona de Aragón ..., op.cit.
[51] Jeronimo Zurita, Anales de Aragón …, op.cit., vol. IV- libro VIII, cap. XVI.
[52] Alessandro Soddu, I Malaspina e la Sardegna …, op.cit., pp. 314-315.
[53] Maria Mercè Costa i Paretas, «El noble Jaume d’ Aragó, fill bastard de Jaume II», in Estudis d’història medieval, vol. 1, Barcellona 1969, p. 12.
[54] Sandro Petrucci, Cagliari nel Trecento …, op.cit., pp. 1155-1156.
[55] Francesco De Vico, Historia general …, op.cit., p. 183.
[56] Gombau de Ribelles infatti assieme a Pere Martì de Sarassa, Matteu de Montpalau e Francesc Carròs e altri era rimasto convolto nell’omicidio di alcuni sardi nella villa di Arilis ed in quella di Samassay; per accertare le responsabilità dell’accaduto il veguer di Cagliari, Bertran de Castellet, nel 1346 inviò in questi villaggi alcuni funzionari ed esperti in diritto. Cfr. Sandro Petrucci, Cagliari nel Trecento …, op.cit., pp. 706, 1087 e 1136
[57] Jeronimo Zurita, Anales de Aragón …, op.cit., vol. IV- libro VIII, cap. XVI.
[58] A.S.C., Antico Archivio Regio, Editti ed ordini, C1, c. 32v, (1347 settembre 12, Sassari).
[59] Isabel Companys i Farrerons, Cataleg de la Collecciò de Pergamins de l’Ajuntament de Terragona dipositats a l’Arxiu Historic de Terragona, Tarragona 2009, p. 115.
[60] Sandro Petrucci, Cagliari nel Trecento …, op.cit., p. 1222.
[61] A.C.A., R.C., reg. 1017, f. 150r (1348, aprile 11). Cfr. Sandro Petrucci, Cagliari nel Trecento …, op.cit., pp. 1148-1149. Cfr. Katrine Melis, I castelli litoranei del giudicato di Gallura, riflessioni sulla territorialità, Scuola di Dottorato, Università degli Studi di Sassari, Scienze dei sistemi culturali, Storia degli stati medioevali mediterranei, Dipartimento di Storia, Ciclo XXII, Sassari 2009-2010, pp. 191-192.
[62] Il Governatore infatti concesse a Mariano la curatorìa di Monteleone in cambio della conquista di Alghero e delle altre terre doriane ma la concessione non concretizzò per mancanza dell’autorizzazione regia. Cfr. Alessandro Soddu, Incastellamento in Sardegna ..., op.cit., p. 64.
[63] Alessandro Soddu, I Malaspina e la Sardegna …, op.cit., p. 318 e ss. doc. 449- 452-453-454-455-456-461.
[64] Manuel Sánchez Martínez, Despues de Aidu de Turdu ..., op.cit..
[65] Ivi, p. 790.
[66] Ivi, p. 804.
[67] Ivi, p. 791.
[68] Ibid., op. cit., pp. 793-794.
[69] Manuel Sánchez Martínez, «Una aproximación a la estructura del dominio real en Cataluña a mediados del siglo XV: el "capbreu o memorial de les rendes e drets reyals" de 1440-1444», in Estudios sobre renta, fiscalidad y finanzas en la Cataluña bajomedieval, Volume 27 di Anuario de estudios medievales: Anejo, anno 1993, p. 398
[70] A.C.A., R.P., M.R., reg. 2076, Cfr. Fabrizio Alias, Rendita e fiscalità nel Regno di Sardegna (prima metà del Trecento), Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Sassari, Facoltà di Lettere e Filosofia, Dipartimento di Teorie e Ricerche dei Sistemi Culturali, Dottorato di Ricerca in Antropologia, Storia Medioevale, Filologia e Letterature del Mediterraneo Occidentale in Relazione alla Sardegna. Ciclo XXI, Sassari 2008-2009, p. 191.
[71] Ivi, p. 104-106.
[72] Pasquale Tola, Historiae patriae monumenta - tomo X: Codex diplomaticus Sardiniae, tomo I, Torino 1861, doc. XXXII, pp. 677 e ss.
[73] Manuel Sánchez Martínez, «La convocatoria del usatge Princeps namque en 1368 y sus repercusiones en la ciudad de Barcelona», in Barcelona quaderns d’història , N. 4 (2001), pp. 79-107. Cfr. Maria Teresa Ferrer i Mallol, «La organizaciòn militar en Cataluña en la Edad Media», in Revista de Historia Militar, anno XLV, Conquistar y defender. Los recursos militares en la Edad Media Hispanica, n. extra 2001, Madrid 2001, pp. 159-160.
[74] Manuel Sánchez Martínez, «Fiscalidad pontificia y finanzas reales en Cataluna a mediados del s. XIV: Las decimas de 1349, 1351 y 1354», in Estudis castellonencs n. 6 1994-1995, pp. 1277-1296 riproposto anche in Pagar al rey en la Corona de Aragón durante el siglo XIV: estudios sobre fiscalidad y finanzas reales y urbanas, Barcellona 2003.
[75] A.C.A., R.C., reg. 1062 fg. 125r-126v. cfr. Amada Lopez de Meneses, «Documentos acerca la peste negra en lo dominios de la Corona de Aragon», in Estudios de Edad Media de la Corona de Aragon, n. VI, Saragozza 1956, doc. 42 p. 326.
[76] Manuel Sánchez Martínez, Fiscalidad pontificia y finanzas reales ..., op.cit. pp. 1283-1285.
[77] A.C.A., R.P., M.R., reg. 1777 e 1778, registro di Jaime Santcliment e Berenguer Despapiol.
[78] A.C.A., R.P., M.R., reg. 1779 I/II, registro di Guillermo e Jaime de Soler.
[79] A.C.A., R.P., M.R., reg. 1780, registro di Romeu e Guillem Sescomes.
[80] A.C.A., R.P., M.R., reg. 1781, registro di Bernardo Candela e Gisperto Alberich.
[81] A.C.A., R.P., M.R., reg. 1782, registro di Berenguer de Llers e Berenguer Despujol.
[82] A.C.A., R.P., M.R., reg. 2100. Si tratta di un quinterno privo di data posto in fondo al reg. 2100 riportante il rendiconto di Pere Veguer, amministratore regio del Capo di Logudoro. Su questo documento da ultimo cfr. Antonio FORCI, «Le decime papali nella Diocesi di Suelli da una fonte inedita del sec. XIV», in Studi Ogliastrini, n. 12, Dolianova 2015, pp. 91-100 nonché alcuni accenni nel suo contributo sulle Rationes decimarum in questa rivista.
[83] Archivio di Stato di Pisa, di seguito A.S.Pi, Diplomatico, Roncioni, pergg. RON01092 (1350 dicembre 24, Cagliari ) e RON01089 (1351 marzo 10, Cagliari).
[84] Pietro Martini, Storia Ecclesiastica di Sardegna, vol. II, Cagliari 1840, p. 176. Cfr. Silvia Seruis, «Le pergamene relative alla Sardegna nel Diplomatico Roncioni dell’Archivio di Stato di Pisa», in Archivio Storico Sardo, vol. XXXXIV, Cagliari 2005, p. 62 nonché doc. LIX p. 232, doc. LX p. 234 e doc. LXI p. 235. Non rientrando forse nell’ambito del loro studio entrambi gli autori però non collegano questi pagamenti al documento “Taxationis benefficiorum Regni Sardiniae” in argomento.
[85] Per una breve sintesi dell’attività del Manca quale conductor dell’Opera di Santa Maria di Pisa a Cagliari cfr. Bianca Fadda, «Nuovi documenti sulla presenza dell’Opera di Santa Maria di Pisa a Cagliari in epoca catalano-aragonese», in RiMe. Rivista dell’Istituto di Storia dell’Europa Mediterranea, n. 4, giugno 2010, Cagliari 2010, pag. 138-139.
[86] Manuel Sánchez Martínez, «Fiscalidad pontificia y finanzas reales en Cataluna a mediados del s. XIV: Las decimas de 1349, 1351 y 1354», in Estudis castellonencs, n. 6 1994-1995, p. 1284.