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giovedì 6 luglio 2017

1328, Pietro d’Arborea armato cavaliere

1328, Pietro d’Arborea viene armato cavaliere
di Sergio Sailis
 

La domenica di Pasqua del 3 aprile 1328 nella Cattedrale di Saragozza, con grande sfarzo e con un gran numero di invitati, veniva incoronato il nuovo Re d’Aragona: Alfonso detto il Benigno.

Appena pochi anni prima, quando era ancora Infante, Alfonso era stato il protagonista della conquista armata del Regno di Sardegna e Corsica da parte dei catalano-aragonesi con l’importante sostegno di Ugone d’Arborea con il quale la casa regnante manteneva ottimi rapporti.

Il cronista Ramon Muntaner, testimone oculare dei fatti, riporta che alla cerimonia di incoronazione (descritta con dovizia di particolari) parteciparono l’arcivescovo di Saragozza, Pedro Lopez de Luna, Juan de Aragon, arcivescovo di Toledo, Guido Cattaneo, arcivescovo d’Arborea, Jemeno de Luna, arcivescovo di Tarragona, Ramon Gastò, vescovo di Valencia, Arnau Sescomes, vescovo di Lerida, Gaston de Moncada, vescovo di Huesca, e tutti gli altri rappresentanti delle istituzioni ecclesiastiche dei territori della Corona compresi quelli dei vari ordini militari; per la solenne occasione nella città affluirono inoltre i rappresentanti dei regni circonvicini e la nobiltà dei vari territori della Corona con numeroso seguito di cavalieri. Inoltre, sempre il Muntaner, mette in evidenza come parteciparono oltre al già citato arcivescovo d’Arborea anche “lo fill del iutge Darborea [...] e dos nabots del dit iutge Darborea” ossia Pietro, il primogenito di Ugone, e altri due nipoti.

img ACA
Pietro infatti, imbarcato a bordo di tre galere, si era recato a Saragozza assieme a Guido Cattaneo, arcivescovo d’Arborea (che peraltro partecipò attivamente alle cerimonie religiose per l’incoronazione), ad altri nobili sardi (tra i quali come detto due nipoti del Giudice Ugone) e al Governatore del Regno di Sardegna e Corsica ossia Bernat de Boixadors; la rappresentanza sarda aveva lo scopo di rinsaldare i legami politici tra i due stati e di stima reciproca tra i due sovrani.

Tornando alla cerimonia di incoronazione, come consuetudine dopo la messa il novello sovrano procedeva all’investitura di una dozzina di cavalieri scelti tra il fior fiore dell’alta nobiltà tra i quali, il visconte di Cardona, il conte di Pallars, il signore di Hìjar e, per quanto qui ci interessa, il principe giudicale Pietro d’Arborea.

manoscritto Cronica di Muntaner
Il Muntaner riporta che re Alfonso in primo luogo armò cavaliere Jacme de Xirica dandogli facoltà di armare a sua volta altri 20 cavalieri, subito dopo (a testimonianza dei profondi legami che al tempo legavano la Corona con la casata degli Arborea e dell’importanza che a questa veniva tributata) “lo dit senyor rey feu cavaller lo noble fill del Jutge Darborea” dando anche a lui la facoltà di armare a sua volta altri 20 cavalieri che avevano feudi in Sardegna, 10 catalani e 10 aragonesi, non appena fosse rientrato nell’isola in quanto non si era fatto in tempo a predisporre i necessari preparativi. Dopo di che (e dai nomi dei personaggi, alcuni dei quali imparentati con la casa reale, si vede anche l’importanza riservata a Pietro d’Arborea) seguì l’armatura degli altri “richs homens”: quali Ramon Folch, visconte di Cardona, Llope de Luna, Roger conte di Pallars, Nalfonso Ferrandis signore di Dixer, G. Danglesola, Ioan Ximenis Darocha, Berenguer Danglesola, Pere Corneyll, Guillem de Cervello, e Not de Moncada. Anche a questi nobili venne concesso di armare a loro volta altri cavalieri e così vennero armati via via gli altri membri dell’alta nobiltà giù sino a quelli della nobiltà minore.

Esattamente 7 anni dopo, il 5 aprile del 1335, moriva Ugone, Giudice d’Arborea e fondamentale alleato di Giacomo II d’Aragona durante le fasi della conquista iberica della Sardegna, fedeltà che confermava esplicitamente anche in punto di morte.

Lasciava una prole numerosa: ben sette figli legittimi: oltre al citato Pietro, Mariano, Giovanni, Nicola, Francesco, Bonaventura e Maria e altri tre illegittimi Lorenzo, Angiolesa e Preziosa.

Ugone dettava il suo testamento il giorno precedente alla morte alla presenza del canonico arborense Filippo Manneli, ai due medici che lo assistettero negli ultimi giorni di vita, Gratia Orlandi e Tomasio de Cinamo di Napoli, e ad altri notabili arborensi.

img ACA
Al trono giudicale pertanto, secondo le sue disposizioni, gli succederà Pietro che continuerà a condurre l’Arborea secondo la politica filo-aragonese instaurata dal padre.

Da una lettera del 13 aprile inviata da Pietro ad Alfonso il Benigno (con la quale il giudice comunicava di aver preso possesso del trono giudicale secondo le disposizioni testamentarie paterne e raccomandava al sovrano i suoi due fratelli minori Mariano e Giovanni che al momento si trovavano alla sua corte) sappiamo che i funerali di Ugone si svolsero il 6 aprile; nella successiva risposta del 24 maggio (nell’immagine ACA) il sovrano iberico esprimeva le sue condoglianze per la scomparsa di Ugone e rassicurava il novello Giudice sulla situazione dei suoi sue fratelli presso la sua corte.

martedì 14 marzo 2017

1355 l'emancipazione di Ugone d'Arborea.

1355 l'emancipazione di Ugone d'Arborea.
(Sergio Sailis)

“.... nos in Dei nomine et benedictione paterna ex certa nostra scientia, observatis modis et solemnitatibus consuetis, emancipamus, eximimus et penitus relexamus a iugo nostre patriae potestatis omni scilicet modo, iure, ratione, causa et forma quibus melius et efficacius possumus et debemus.”
(img ACA Barcellona)
 
Era il 14 marzo 1355: alla presenza del notaio regio Marchus de Vita e dei testimoni Renaldo de Berardo di Marsiglia, “magistro” Iacopo, Geraldo... de Flaçano, Petro de Acene, Barçolo Cathone e Petruccio de Moguro, il Giudice arborense Mariano IV “Dei gratia, iudex Arboree, comes Gociani et vicecomes de Basso” dichiara solennemente maggiorenne e emancipato il suo “nobilis et dilecti primogeniti nostri Hugonis de Arborea” il quale dopo esattamente 20 anni raccoglierà la pesante eredità paterna proseguendo le lotte contro i catalano-aragonesi sino al suo assassinio nel 1383 assieme alla povera figlioletta Benedetta ad opera, come scrisse Pietro IV d'Aragona, “per los seus sards d’Oristany”.

lunedì 16 maggio 2016

1378, l’ambasciata angioina a Oristano

1378, l’ambasciata angioina a Oristano
di Sergio Sailis
Nei giorni 30 e 31 agosto del 1378 a Oristano era presente un’ambasciata del duca Luigi d’Angiò fratello del re di Francia Carlo V (rimasta famosa, non solo in Sardegna, per la sua conclusione) con il compito di rinnovare gli accordi di alleanza sottoscritti l’anno precedente con Ugone e inoltre per proporre al giudice arborense di suggellare l’alleanza con un matrimonio come si desume dalla procura rilasciata ai delegati Migon de Rochefort e Guillaume Gaian:
"… matrimonium futurum inter dominum Ludovicum, eorumdem dominorum ducis et ducisse filium naturalem et legitimum, unicum et communem, et Benedictam, filiam illustris principis et domini domini Hugonis, judicis Arboree, comitis Gociani et vicecomitis de Basso, nec non etiam ad tractandum, ordinandum, disponendum et concordandum cum dicto domino Hugone, comite et judice Arboree, de dote congrua et competenti filie sue memorate, ejusque dependentiis et circunstanciis, et paciscendum conveniendumque cum eodem de solutione dicte dotis facienda et restitutione ejusdem et aliis predictis. "
(Nell’immagine Ugone mentre riceve l’ambasciata angioina, olio su tela di Giovanni Marghinotti, sec. XIX, Pinacoteca MUS’A - Museo Arte Sassari)
 
La risposta di Ugone – già fortemente irritato per il fatto che i precedenti accordi non erano stati rispettati dai francesi - fu oltremodo piccata e sdegnata accusando il duca di essere un falso e uno spergiuro e bollando la proposta di matrimonio come ridicola. Il piccolo Ludovico infatti aveva all’incirca un anno mentre sua figlia Benedetta era già in età maritale “nam ejus filia est jam ad annos nubiles deducta, et filius dicti domini ducis est anniculus”. Aggiunse inoltre “quod habet guerram de facto, et non in verbis, cum Cathalanis, publicis inimicis suis, et jam per spatium quatuordecim annorum et ultra dictam guerram sine adjutorio alicujus persone de mundo fecit” con espresso riferimento quindi al fatto che ormai da quattordici anni stava conducendo una guerra contro i catalani facendo riferimento solo sui propri mezzi e senza altri aiuti esterni e soprattutto che la guerra la faceva con i fatti e non con le parole. In conclusione i malcapitati e increduli ambasciatori inoltre, in spregio alle normali regole di comportamento diplomatico, si videro intimare di lasciare i territori del Giudice entro lo stesso giorno “dixit dictis ambaxiatoribus quod caperent suam galeam, et quod per totam dictam diem recederent de terra dicti domini judicis, innominiose commeatum eisdem dando”.
Ebbe così fine, peraltro senza essere mai materialmente iniziata, un’alleanza che probabilmente avrebbe potuto avere conseguenze molto diverse per la storia sarda.