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lunedì 6 febbraio 2017

Ortacesus

Immagini della Trexenta ottocentesca: Ortacesus
 
ORTACESUS, villaggio della Sardegna nella provincia di Cagliari e nel mandamento di Guasila, compreso già nel dipartimento della Trecenta del giudicato di Plumino.
La sua situazione geografica è nella latitudine 40°, 32', 30", e nella longitudine occidentale dal meridiano di Cagliari 0°, 2', 30".
Trovasi questo paese nella parte più bassa del bacino della Trecenta attorniato da una estesa palude e prossimo alla sponda sinistra delle acque che discendono dalle terre di Seùni, nate dalle fonti meridionali del monte san Mauro, coperto da’ venti boreali per queste eminenze, da’ levanti per le eminenze della Trecenta orientale, dal maestro e da ponente per le colline di Segariu e di Serrenti. Per tanto il calore è assai intenso nell’estate, e regna quasi sempre a certe ore una forte umidità, e soventi il paese resta involto nella nebbia. È questa la regione che sia più insalubre nella Trecenta.
Il territorio di Ortacesus non è maggiore assai di miglia quattro, tutto nel piano, sul quale spuntano alcune rupi presso il paese, coperte in cima di fichi d’India, e in sul confine con Guasila, nella regione appellata Siocco, una collina coronata d’un nuraghe, domu de Orcu.
Dopo notato quel rivolo, noteremo due fonti, una che dicesi Funtana-bangiu (la fonte del bagno), d’intorno alla quale sono materiali di antica costruzione e si osservano anche alcune caselle; l’altra Sa mitza Siddi, dove per le vestigie che si vedono si suppone sia stato in altri tempi un paese detto Siddi; un’altra presso la chiesa di s. Bartolommeo, e una quarta a piè della detta collina. Nel paese bevesi dai pozzi, che danno acque pesanti e salmastre.
Egli è solamente ne’ fianchi della medesima che si trovano degli alberi, fra’quali moltissimi olivastri. Una parte de’ medesimi è stata ingentilita e apporta bei frutti.
 
Popolazione. Non sono forse sette anni che erano in Ortacesus anime 491, che si distinguevano in maggiori di anni 20, maschi 135, femmine 132; minori 133, femmine 91, e si distribuivano in famiglie 120.
I comuni numeri del movimento erano di nascite 12, morti 8, e di matrimoni 2.
Le malattie ordinarie sono infiammazioni di vario genere e febbri intermittenti nell’estate ed autunno.
Non si ha nel paese che un flebotomo.
Dopo quanto abbiam notato sulla insalubrità di questo sito, donde dovrebbonsi sradicare le abitazioni per traspiantarle sotto un cielo migliore, se un viaggiatore passi sul luogo non potrà non partire meravigliato vedendo che generalmente in aria così malsana godesi di buona salute, osservando uomini robusti e aspetti di forte sanità al contrario di ciò che avviene in altre regioni, di Francia e di Italia, dove le fisionomie intristite e le membra floscie e languide accusano il vizio del cielo.
Vorrei che questo che ho detto del trapiantamento delle abitazioni da luoghi così tristi in siti migliori fosse considerato, e si stabilisse il modo come effettuarlo entro un certo numero di anni.
La proposta può effettuarsi più facilmente che non si crede, massime se il luogo eletto sia non molto distante, perchè le costruzioni a mattoni crudi (làdiri) sono poco costose. I benestanti potrebbero i primi stabilirsi nella nuova situazione designata dal governo, e poi di mano in mano gli sposi potrebbero preparare presso alle prime le loro case, fabbricando secondo un disegno prestabilito. In questo modo senza gran dispendio e incomodo nello spazio al più di 30 anni sorgerebbero le nuove popolazioni, e il posto che hanno le prime sarebbe occupato dall’agricoltura.
Gli ortacesini son buona gente e laboriosa, e quasi tutti dediti all’arte agraria, eccettuati alcuni pecchioni, che diconsi letterati o notai.
Le donne travagliano ne’ loro telai principalmente alla tessitura delle tele.
Alla scuola primaria non concorrono più di sei fanciulli.
 
Agricoltura. Le terre umorose di Ortacesus, quando le piogge non sono troppo frequenti, spiegano la loro virtù in una vegetazione stupenda e danno larghissimi frutti; in caso contrario le radici si guastano e i seminati riescono infelicemente.
Nella seminagione spargonsi solitamente starelli di grano 700, d’orzo 120, di fave, ceci e altri legumi 300.
Se le stagioni procedano favorevolmente alle condizioni di questo suolo non è molto che abbiasi una comune nel grano del ventuplo, nell’orzo del 18, ne’ legumi del 16.
Le spezie ortensi prosperano nel terreno acquidoso, che ho notato intorno alle abitazioni, principalmente i melloni, i cocomeri, le zucche ecc., da’ quali hanno questi coloni un considerevole lucro.
La vigna non è in luogo assai favorevole perchè i grossi grappoli delle viti dieno un mosto, da cui si depuri un vino di molta bontà.
I fruttiferi sono in piccol numero, e gli ortacesini non sanno profittare della bontà del terreno per quegli alberi che amano terreni umidi e regioni calide, specialmente i cedri.
I predi sono tutti cinti di fichi d’India, che giovano coi frutti, che a’ poveri son parte di sussistenza per due mesi, e nuocono per le foglie cadute che si lasciano imputridire e accrescono la malignità dell’aria, giustamente detestata dai passeggieri.

Pastorizia. Pascono nel prato comunale e ne’ poderi, buoi 126, vacche manse 25, giumenti 100.
Si hanno quindi per sella e trasporto cavalli e cavalle 40, e si nutrono 50 majali incirca.
Il bestiame rude pascola nelle terre di riposo e ne’ salti, e i vari branchi avranno poco più di capi 2100, e dirò vacche 150, cavalle 50, pecore 1500, porci 400.
Dalle pecore appena si ha il formaggio sufficiente a’ bisogni del luogo.
Di rado i branchi patiscono per poco alimento e per la bevanda, perchè la terra umida produce erba fresca anche nell’estate, e il rivo, che dicono di Piscina-calenti, volge nella sua corrente acque limpide.
 
Pesca. Nel rivo suddetto trovansi anguille ben grasse e delle trote di ottimo gusto.
 
Commercio. Ortacesus distando sole tre miglia dallo stradone può in tempo asciutto mandar su quello i suoi carri con i sacchi del frumento e degli altri cereali, che sopravanzano alla consumazione delle famiglie, e ricevono in prezzo lire nuove 30 mila; ma in tempo piovoso i buoi e i cavalli devon consumare le loro forze per uscire da’ pantani, donde accade che debban operare le forze di molti uomini per estrarli.
 
Religione. Questo paese che era, come notammo di Orroli, nella giurisdizione del vescovo Doliese, ora è nella diocesi di Cagliari, e si amministra nelle cose spirituali da un prete, che è qualificato rettore ed ha ausiliari altri due sacerdoti.
La chiesa parrocchiale è dedicata a s. Pietro Apostolo.
Nelle chiese minori è a notare, dentro il paese la cappella di s. Lucia v. e m., che in altri tempi fu chiesa principale, fuori del paese la chiesa di s. Antonio abbate rinchiusa nel ricinto del campo santo, in distanza di 300 passi ordinari dall’abitato, e quella di s. Bartolommeo già rovinante, presso alla quale è la sunnotata fonte.
 
Antichità. Delle medesime abbiam fatto cenno più sopra. Forse è vero che là dove vedonsi quegli indizi di abitazioni distrutte erano in altri tempi se non villaggi, almeno corti, cioè grandi poderi di persone principali, ove stanziavano gli schiavi addetti all’agricoltura con le loro famiglie per lavorare a profitto de’ loro padroni. Negli antichi diploma è frequentissima la menzione di siffatte corti, e de’ servi e delle ancelle di tutti i giorni (de cada di), o di alcuni giorni nella settimana. In un antico diploma di donazione del cantone di Trecenta o Tregenta fatta dal giudice Trogodorio, giudice di Cagliari, o Plumino, al suo figlio Salusio di Lacon, è menzione di alcuni de’ luoghi nominati, siccome di ville allora esistenti, e noi ne trascriveremo un tratto perchè si veda la maniera d’infeudazione che usavano i sovrani sardi, e abbiano i lettori un altro saggio del volgare che in quei tempi era usato.
«In nomine P. et F. et SS. Amen. Ego Judigi Trogodori pro voluntadi de donnu Deu potestandu parti de Caralis, pro puru amori ki apo a filiu meu Salusiu de Lacon, de gradu et de certa scientia li fatzu donationi limpia (dal lat. limpida, cioè pura) et irrevocabili inter bios (vivi) dess’Incontrada de Tregenta a issu et a filios suos et heredis suos et generationi sua, dessa dicta Incontrada de Tregenta et de sas villas populadas et kena (senza) populari, et saltos, terminis, vassallos, hominis et feminas, domus rios (rivi), mitzas (sorgenti), funtanas, montis et pasturas, sylvas, molentis (asini che macinano) et alteros pegus (capi) de bestiamini, et totu sos alteros deretos et pertinentias et confinos dessa dicta Incontrada de Tregenta cum totu sa jurisdictioni alta et baxia, civili et criminali… sas quales villas, saltus, terminis, et làcanas (confini) sunt custos: sa villa de Goy majori, sa villa de Sèlegas, sa villa de s. Sadurru, sa villa de Sehuni, sa villa de Sitxi, sa villa de Simieri, sa villa de Arcu, sa villa de Senorbì, sa villa de Segollai, sa villa de Arigi Mangeta, sa villa de Arigi picciu, sa villa de Planomois, sa villa de s. Basili, sa villa de Frius, sa villa de Donnigala alba, sa villa de Alluda, sa villa de Villacampu, sa villa de Bacu de Otgo, sa villa de Fugas de Sitei, sa villa de Baralba, sa villa de Funtana Sinni, sa villa de Sii, sa villa de Dey, sa villa de Lery, sa villa de Siocho (già sunnotata), sa villa de Sebera, sa villa de Surbou, sa villa de Ortachesus, sa villa de Turri, sa villa de Baniu de Sixi, sa villa de Pau, sa villa de Fraus, sa villa de Sacariu, sa villa de s. Justa dessa Negi, sa villa de Goy-esili (oggi Guasila), et totu sas alteras villas, qui siant dintru dess’Incontrada de Tregenta: sa quali Incontrada … … donamus a filiu nostru Salusiu de Lacon et pro amori paternali et pro contemplationi dessu matrimoniu, ki issu fagit de voluntadi nostra cum donna Adalasia; et custa donationi volemus ki siat irrevocabili, et volemus ki siat pro issu et pro tota sa generationi sua de legitimu matrimoniu ecc.».
 




[1] Vittorio ANGIUS, in Dizionario geografico storico-statistico-commerciale degli Stati di S.M. il Re di Sardegna (a cura di Goffredo CASALIS), vol. XIII, Torino 1845, pagg. 565-570.

venerdì 11 ottobre 2013

Francesc II Carroz signore di Arili, Siocco, Donigala Alba e Segolay

Francesc II Carroz signore di Arili, Siocco, Donigala Alba e Segolai
di Antonio Forci*
(Scheda Aliri) (Scheda Sioccu) (Scheda Donigala Alba) (Scheda Segolay)

Francesc II Carroz apparteneva ad una delle più insigni famiglie della nobiltà valenzana, essendo il figlio primogenito dell’ammiraglio Francesco Carroz, signore del castello di Rebollet[1]. I Carroz furono tra i principali protagonisti della spedizione per la conquista del regno di Sardegna, in quanto l’ammiraglio Francesco, oltre ad essere stato nominato comandante della

giovedì 26 settembre 2013

Perico de Llibià signore di Turri

Perico de Llibià signore di Turri
di Antonio Forci*
 
(qui la scheda di Turri)
Perico o Pere [III] de Llibià era figlio del più noto Pere [II] de Llibià, consigliere e stretto collaboratore dell’infante Alfonso, che seguì nella spedizione di conquista della Sardegna. Con carta del 21 giugno 1325 ottenne in feudo secondo il costume d’Italia una rendita annua di 4.000 soldi di genovini sopra i redditi di una o più ville della suddetta isola, col servizio di

lunedì 16 settembre 2013

Guillem Sapera signore di Bangio Donico

Guillem Sapera signore di Bangio Donico
di Antonio Forci*
 scheda di Bangiu Donnico
Guillem Sapera o ça-Pera (Guillelmus de Petra nei documenti in latino) è un personaggio noto per aver preso parte alla spedizione di conquista della Sardegna del 1323-24 tra le fila dell’armata catalano-aragonese.
Narrano le fonti che durante il primo assedio a Castel di Cagliari, alla testa di soli otto cavalieri, si distinse in un temerario assalto alla porta di San Pancrazio, rischiando poi di soccombere dinanzi alla controffensiva dei pisani. Uomo di guerra dunque, verosimilmente cavaliere, al quale nel 1325 fu affidato il comando delle truppe inviate via mare a Porto Torres per sedare la ribellione di Sassari[1].

Pur non essendo di origini nobili – il padre Bonanat Sapera era cittadino di Barcellona[2] – non apparteneva certo ad una famiglia di secondo piano: il fratello, di nome anch’egli Bonanat, era infatti notaio regio e fido guardasigilli dell’infante Alfonso[3], ed egli stesso suo domestico e segretario[4].
Come premio per i servigi prestati alla Corona l’infante gli concesse una rendita di 4000 soldi di genovini annui sopra i redditi di qualsiasi villa del regno di Sardegna, affidando al governatore e agli amministratori generali il compito di individuare la villa o le ville da assegnargli in feudo secondo il costume d’Italia e col servizio di due cavalli armati[5]. La donazione avveniva con la riserva del mero imperio, del laudemio, della fatica dei trenta giorni e del diritto di appello da parte degli abitanti, ed era seguita a distanza di pochi tempo dalla relativa investitura[6].
La scelta degli amministratori cadde sulle ville di Gergei, sita nella curatoria di Siurgus, e su quella di Bangio Donico, sita nella curatoria di Trexenta, precedentemente concessa a Teresa Gombau de Entença alla fine del 1323 senza che la donazione avesse avuto esito effettivo.
Dopo la seconda pace stipulata tra la Corona d’Aragona e Pisa, Guillem Sapera perse la sua villa di Bangio Donico a vantaggio del comune toscano essendogli per ciò riconosciuto un non meglio specificato diritto a titolo di indennizzo senza apparente riduzione del servizio militare, oltre alla promessa di rientrarne in possesso qualora i pisani l’avessero perduta o ceduta alla Corona[7].
Quando il primo agosto 1327 l’infante Alfonso, nell’ambito di un accordo con i feudatari del regno di Sardegna che non detenevano il mero imperio, gli riconobbe la metà del denaro ricavato dall’esazione delle machizie nella sua villa di Gergei, tale diritto fu esteso anche alla villa di Bangio Donico nel caso in cui la Corona l’avesse in qualche modo recuperata[8].
Da documenti posteriori si evince che Guillem Sapera aveva donato sin dal 1325 al fratello Bonanat la rendita di 4.000 soldi di genovini annui concessagli in feudo dall’infante Alfonso, mantenendone tuttavia l’usufrutto[9] e continuando ad amministrare la villa di Gergei da effettivo feudatario tanto da prestare giuramento di fedeltà al nuovo re Pietro IV nel 1336[10].
Non conosciamo la data della sua morte: di certo era ancora in vita nel 1340 quando operava come tutore del nipote Bonanat, figlio omonimo del defunto fratello[11].
 
* Antonio FORCI, Feudi e feudatari in Trexenta (Sardegna meridionale) agli esordi della dominazione catalano-aragonese (1324-1326), in “Sardinia. A Mediterranean Crossroads. 12th Annual Mediterranean Studies Congress (Cagliari, 27-30 maggio 2009)” a cura di Olivetta Schena e Luciano Gallinari, ora in “RiMe. Rivista dell’Istituto di Storia dell’Europa Mediterranea”, n. 4, giugno 2010, Cagliari 2010.
 
 


[1] Cfr. Antonio ARRIBAS PALAU, La conquista de Cerdeña por Jaime II de Aragón, Barcelona, 1952, pp. 248, 294; Marco TANGHERONI, È utile studiare i documenti di cancelleria ? Un interessante esempio sardo, in Luisa D’ARIENZO (ed.), Sardegna, Mediterraneo e Atlantico cit., vol. II, p. 274.
[2] ACA, Real Cancillería, reg. 403, f. 152r (1325 maggio 24). Il personaggio è da identificare probabilmente col Bonanat Sapera morto nel 1308 e il cui sepolcro, esistente presso il museo provinciale di Barcellona, reca come blasone araldico una pera d’oro in campo rosso: cfr. Alberto y Arturo GARCIA CARRAFFA, El solar catalan, valenciano y balear cit., tomo IV, p. 156.
[3] Cfr. Marco TANGHERONI, È utile studiare i documenti di cancelleria? cit., pp. 272- 274.
[4] Cfr. Cécile CRABOT, Noblesse urbaine et féodalilté: les citoyens catalanoaragonais feudataires en Sardaigne, in “Anuario de Estudios Medievales”, 32/2, 2002, pp. 818-819.
[5] ACA, Real Cancillería, reg. 398, ff. 121r-122v (1325 aprile 28, Valencia).
[6] ACA, Real Cancillería, reg. 398, f. 128v (1325 maggio 4, Valencia).
[7] ACA, Real Cancillería, reg. 403, ff. 29v-30v (1326 dicembre 30, Teruel). Riguardo al generico diritto che il Sapera aveva sulla perduta villa di Bangio Donico  potrebbe trattarsi, come in casi analoghi, di nuove rendite fino a ristabilire la cifra assegnata nella donazione.
[8] ACA, Real Cancillería, reg. 403, f. 192r (1327 agosto 1, Morella).
[9] ACA, Real Cancillería, reg. 403, ff. 151r -154r (1327 agosto 5, Morella).
[10] Cfr. Giuseppe SPIGA, Feudi e feudatari nel regnum Sardiniae et Corsicae fra il 1336 e il 1338, in Atti del XIV Congresso di Storia della Corona d’Aragona (Sassari-Alghero, 19-24 maggio 1990), vol. II/2, Carlo Delfino editore, Sassari, 1995, p. 874.
[11] Cfr. Marco TANGHERONI, È utile studiare i documenti di cancelleria? cit., p. 270 e ss.

venerdì 30 agosto 2013

Diego Zapata signore di Ortacesus

Diego Zapata signore di Ortacesus
di Antonio Forci*
 
Diego Zapata discendeva da antica famiglia aragonese legata agli ambienti di corte sin dalla prima metà del secolo XII[1]. Secondo alcuni autori, tra cui l’erudito Gregorio Garcia Ciprés, noto genealogista e araldista vissuto a cavallo dei secoli XIX-XX, gli Zapata sarebbero originari del paese di Uncastillo (Saragozza). Alcuni membri del casato, per essersi segnalati nelle guerre di Reconquista al seguito dei re d’Aragona, furono premiati con feudi a Calatayud e nel regno di Valenza[2]; altri ancora, nel corso della seconda metà del secolo XIV, si trasferirono in Castiglia[3]. Si formarono così rami distinti per quanto discendenti da un ceppo comune, riflessi nella varietà dei blasoni riconducibili al casato. Ne diamo alcuni: di rosso con cinque scarpe (zapatos) d’argento scaccate d’oro e di nero ai margini; di rosso con tre scarpe d’argento scaccate d’oro e d’argento ai margini e bordura di rosso caricata di otto scudetti d’oro con banda nera; di rosso con tre o cinque scarpe scaccate d’oro e di nero e bordura identica alla precedente; d’argento con tre scarpe di nero poste in triangolo maggiore e bordura di verde caricata di otto scudetti d’oro con banda rossa[4].

I discendenti del ramo di Valenza furono successivamente signori di Provencio, del Real, di Pedralba e Monserrat, ottenendo dal re Filippo II il titolo di Conti del Real.
Dal ramo di Calatayud discendono illustri personaggi quali Giovanni Zapata, justicia d’Aragona nell’anno 1289, padre di quel Miguel Pérez Zapata signore di Cadrete († c. 1358), che fu valente capitano sotto i re Alfonso IV e Pietro IV.
Nonostante molti autori abbiano trattato degli Zapata in opere di genealogia e araldica non vi sono riferimenti a questo Diego della prima metà del secolo XIV, per cui non è possibile stabilire una parentela col citato Miguel Pérez Zapata (†c. 1358), elencato dallo Zurita tra i partecipanti alla spedizione per la conquista della Sardegna assieme al figlio Rodrigo[5]. Le uniche notizie desumibili dalla letteratura danno Diego Zapata discendente dal ramo valenzano della famiglia, senza che si possa appurare l’esistenza o meno di un legame genealogico con i successivi Zapata residenti, da nobili, nel castello di Cagliari e che tanta parte ebbero nella storia cittadina del secolo XVI[6].
Tuttavia il nome Diego non è di origine valenzana essendo documentato per la prima volta da quel ramo degli Zapata che, fin dal secolo XII, si muove nell’areale circostante la città di Calahorra (La Rioja Baja), zona cuscinetto tra la Navarra e la Castiglia, prossima ai confini settentrionali dell’Aragona[7].
Nella cosiddetta ‘Guerra de los dos Pedros’ che oppose i re Pietro IV d’Aragona e Pietro I di Castiglia (1356-1369), un cavaliere di nome Diego Zapata figura alcaide del castello aragonese di Los Fayos (Saragozza)[8] quando l’omonimo giunto in Sardegna nel 1323 era già morto da diversi anni.
Per definire la condizione sociale di questo lignaggio in epoca basso medievale sono stati utilizzati a seconda degli autori una varietà di termini quali bassa nobiltà, aristocrazia locale, cavalieri locali. A quest’ultima categoria sembrerebbe appartenere il Diego Zapata che seguì l’infante Alfonso nella spedizione di conquista della Sardegna e che compare nei registri di cancelleria della serie Sardiniae col titolo di miles[9].
In ricompensa dei servigi prestati alla Corona detto infante gli concesse in feudo secondo il costume d’Italia e col servizio di due cavalli armati 4.000 soldi di genovini annui sopra i redditi di qualsiasi villa del regno di Sardegna, riservando per sé il mero imperio, il laudemio, la fatica di trenta giorni e il diritto di appello da parte degli abitanti. Contemporaneamento affidò a Pere de Llibià e Arnau de Caçà, amministratori generali dei redditi nell’isola, il compito di individuare la villa o le ville da assegnargli in feudo, le cui rendite non eccedessero i 4000 soldi annui[10]. A questa donazione fece seguito l’investitura delle ville di Ortacesus e Quirra, site rispettivamente nelle curatorie di Trexenta e Sarrabus[11].
Dopo il secondo trattato di pace stipulato tra Aragona e Pisa (25 aprile 1326)[12] Diego Zapata perse la sua villa di Ortacesus a vantaggio del comune toscano, essendogli riconosciuto il diritto a rientrarne in possesso qualora la Corona l’avesse in qualche modo recuperata[13].
Nel corso della sua breve esperienza di feudatario del regno di Sardegna entrò in contrasto col castellano di Quirra al quale non forniva quanto avrebbe dovuto per il mantenimento del castello[14] e risulta deceduto alla data del 10 marzo 1332 quando il re Alfonso IV ingiunse al suo erede (non nominato) di prestare il servizio militare nella guerra contro i genovesi con un cavallo armato e uno alforrato[15].
Da fonte letteraria apprendiamo che gli succedette il figlio Garcia, il cui nome, come quello del padre, è ben attestato tra gli Zapata del ramo riojano. Garcia Zapata morì pochi anni dopo il padre e i suoi discendenti non riuscirono a conservare il feudo che passò sotto il controllo del conte di Quirra[16].

* Antonio FORCI, Feudi e feudatari in Trexenta (Sardegna meridionale) agli esordi della dominazione catalano-aragonese (1324-1326), in “Sardinia. A Mediterranean Crossroads. 12th Annual Mediterranean Studies Congress (Cagliari, 27-30 maggio 2009)” a cura di Olivetta Schena e Luciano Gallinari, ora in “RiMe. Rivista dell’Istituto di Storia dell’Europa Mediterranea”, n. 4, giugno 2010, Cagliari 2010.
 


[1] Cfr. Endika DE MOGROBEJO (ed.), Diccionario hispanoamericano de heráldica, onomástica y genealogía, vol. XIV, Editorial Mogrobejo-Zabala, Bilbao 1999, s.v. Zapata; Gran Enciclopedia Aragonesa, Zaragoza, 2000 (II ediz.), vol. XVI, s.v. Zapata, linaje de los.
[2] Cfr. Gregorio GARCÍA CIPRÉS, Datos curiosos para la historia del apellido Zapata, in “Linajes de Aragón”, VII, 4, 1916, pp. 73-78; Onofre ESQUERDO, Nobiliario valenciano cit., tomo I, pp. 253-274; José HINOJOSA MONTALVO, Diccionario de historia medieval del Reino de Valencia, tomo IV, Valencia, 2002, s. v. Zapata, pp. 457-459.
[3] Cfr. Alonso LOPEZ DE HARO, Nobiliario genealogico de los reyes i titulos de España, parte segunda, Madrid, 1622, pp. 220-228.
[4] Cfr. Alonso LOPEZ DE HARO, Nobiliario genealogico de los reyes i titulos de España, parte segunda, Madrid 1622, pp. 220-228; Gregorio GARCÍA CIPRÉS, Datos curiosos para la historia del apellido Zapata, in “Linajes de Aragón”, VII, 4, 1916, pp. 73-78; GEA, s.v. Zapata, linaje de los; Endika DE MOGROBEJO (ed.), Diccionario hispanoamericano de heráldica, onomástica y genealogía, vol. XIV, s.v. Zapata.
[5] Cfr. Jéronimo ZURITA, Anales de Aragón cit., libro VI, cap. XLIII.
[6] Cfr. Francesco FLORIS, Feudi e feudatari in Sardegna, cit, vol. II, pp. 420-421.
[7] Cfr. Tomás SAENZ DE HARO, Los Zapata (1148-1340). Un ejemplo de aristocrazia local en la Rioja Baja durante la edad media, in José Ignacio DE LA IGLESIA DUARTE (coord.). Los espacios de poder en la España medieval, XII semana de Estudios Medievales (Nájera, 30 de julio al 3 de agosto de 2001), Instituto de Estudios Riojanos, Logroño, 2002, pp. 556, 569, 573-574.
[8] Cfr. Jéronimo ZURITA, Anales de Aragón cit., libro IX, cap. X.
[9] ACA, Real Cancillería, reg. 403, f. 116r (1327 luglio 27, Morella).
[10] ACA, Real Cancillería, reg. 398, f. 119v-121r (1325 aprile 16, Valenza).
[11] Cfr. Francesco FLORIS, Feudi e feudatari in Sardegna cit., vol. II, p. 420.
[12] Cfr. Pasquale TOLA, Codex Diplomaticus Sardiniae cit., tomo I, Parte seconda, sec. XIV, doc. XXXII, pp. 677-681; ACA, Real Cancillería, reg. 400, ff. 205r-212r.
[13] ACA, Real Cancillería, reg. 403, f. 110v-111v (1327 luglio 23, Morella).
[14] Cfr. Francesco FLORIS, Feudi e feudatari in Sardegna cit., vol. II, p. 420; Id., Dizionario delle famiglie nobili della Sardegna, Edizioni della Torre, Cagliari, 2009, vol. 2 (N-Z), p. 356, s. v. Zapata.
[15] ACA, Real Cancillería, reg. 513, f. 94r.
[16] Cfr. Francesco FLORIS, Feudi e feudatari in Sardegna cit., vol. II, p. 420; Id., Dizionario delle famiglie nobili, op. cit, vol. 2 (N-Z), p. 356, s. v. Zapata.

lunedì 3 giugno 2013

Pere de Montpaò signore di Senorbì, Simieri e Sèbera

Pere de Montpaó signore di Senorbì, Simieri e Sèbera

(schede dei villaggi Simieri, Sebera)

di Antonio Forci *
 
Pere de Montpaó (Petrus de Monte Pavone o Montepavone in latino), cavaliere, alguazir e consigliere reale, discendeva da una famiglia della medio-piccola nobiltà catalana che alcuni studiosi ritengono originaria della Francia[1]. Questa ipotesi si basa sulla effettiva attestazione del toponimo e del cognome in distinte aree del territorio occitano (Aveyron, Dorgogne, Aude, Bouches-du-Rhône), sin dal secoli XI-XII[2], ma non meno significative per diffusione e antichità paiono le testimonianze toponomastiche offerte dalle attuali province catalane di Barcellona, Lerida e Tarragona in riferimento a monti (Anoia, Segarra), fiumi (Baix Penedès) e abitati (Conca de Barberà, Baix Penedès, Segarra)[3]. Esiste anche un castello di Montpaó in provincia di Lerida nei pressi del paese di Sant Pere dels Arquells (Ribera d’Ondara, Segarra), poco a sud di Cervera[4]. Detto castello era in origine relazionato ad un omonimo abitato oggi scomparso che a buon titolo può essere considerato il reale luogo di origine del lignaggio[5].

Fin dalla prima metà del secolo XII i Montpaó catalani paiono strettamente legati alla valle del Riu Francolí (Conca de Barberà, Tarragona). Qui, tra i centri di Vimbodí, Poblet e L’Espluga de Francolí, si ergeva il poderoso castello di Milmanda donato nel 1148 da Guerau de Granyena ad Arnau de Montpaó[6], noto nelle fonti storiche per aver partecipato nel 1149 alla presa cristiana di Lerida e alla successiva ripartizione dei benefici[7]. Pochi anni dopo, nei limiti di detto castello, sorse il reale monastero di Poblet che divenne luogo di sepoltura del casato[8]. A l’Espluga de Francolí[9] i Montpaó godevano nel corso del secolo XIII di vari diritti e proprietà: nel 1203 Guillem de Montpaó donò al suddetto monastero tre mulini da lui posseduti per concessione dei signori feudali del luogo, i Cervera[10], mentre nel 1270 fu siglato un accordo relativo all’omonimo castello fra il gran commendatore dell’ordine degli ospedalieri in Spagna e il cavaliere Bernardo de Montpaó[11]. Questi nel 1288 fondò due cappellanie nella chiesa di Valls, il cui patronato assegnò all’abate e priore di Poblet[12].
Lo stato della nostra ricerca non consente al momento di ricostruire un preciso quadro genealogico della famiglia Montpaó[13], diversi membri della quale presero parte attiva alla guerra di liberazione del Pais Valencià dai musulmani[14]. In particolare un Pere de Montpaó (†ante 27 dicembre 1265)[15] ricevette da Giacomo I una casa e un campo a Valenza all’epoca della conquista della capitale nel 1238 e anche terre e mulini nel 1247[16].
Un altro Pere de Montpaó, distinto dal precedente, figura nel 1277 comanador del castello templare di Corbins (Segrià, Lerida)[17].
Il nostro Pere de Montpaó era verosimilmente figlio o nipote del citato Bernat de Montpaó[18], consigliere reale e castellano del castello di Valls nonchè signore di Vilallonga e Ribaroja (tutte località dell’attuale provincia di Tarragona) che morì il 30 maggio 1299 e fu seppellito nel chiostro del monastero di Poblet[19]. Figura nota nella seconda metà del secolo XIII, Bernat de Montpaó fu un fedelissimo della casa reale per conto della quale tenne vari anni in custodia il castello di Siurana (Priorat, Tarragona), famoso per essere stato prigione di illustri personaggi[20]. Ebbe anche, sino al 1285, diritti sul castello di Conesa (Conca de Barberà, Tarragona)[21] e ricoprì gli uffici di veguer di Lerida[22] e baiulo «montanearum de Pradis»[23]. Nel 1291, assieme a Berenguer e a Poncet de Montpaó, figura tra i feudatari catalani chiamati a prestare giuramento di fedeltà e omaggio al nuovo re d’Aragona Giacomo II[24], mentre l’anno successivo presenziò con gli stessi alle corti generali di Catalogna tenute a Barcellona[25].
Da una carta del 1293 ricaviamo che questo Bernat era padre di un Perico[26]de Montpaó, cui il re Giacomo II riconosceva il rimborso per la perdita di un ronzino al suo servizio[27]. Lo stesso Perico doveva essere impegnato nel 1297 nella guerra di Murcia se il re d’Aragona ordinava al baiulo di quel regno di rifornirlo di vesti[28].
Non è chiaro se sia lo stesso Pere de Montpaó che nel 1311, in qualità di scudiero, accompagnò l’infante Giovanni d’Aragona ad Avignone per ricevervi la tonsura dalle mani del papa[29], mentre sussistono pochi dubbi sull’identificazione di quest’ultimo col Pedro de Monpahó citato dallo Zurita tra i catalani al seguito dell’infante Alfonso nella spedizione per la conquista della Sardegna del 1323[30].
Le fonti documentarie delineano un personaggio nel quale la casa reale riponeva la massima fiducia tanto che nel 1314, allo scoppio di una violenta pestilenza, il re Giacomo II d’Aragona progettò un eventuale ricovero degli infanti Giovanni e Raimondo Berengario nell’abitazione posseduta da Pere de Montpaó nelle campagne di Valls per farli sfuggire al contagio[31]. Lo stesso Pere risulta poi veguer di Montblanc (Tarragona) nel 1319[32].
Sin dalla prime fasi della campagna sarda operò a stretto contatto dell’infante Alfonso, essendo da questi gratificato con cariche di prestigio: fu infatti veguer dei castelli di Cagliari e Bonaria[33]e luogotenente del governatore generale dell’isola[34].
Contemporaneamente il fratello (?) Ramon fu castellano del Castello di Cagliari[35], podestà di Sassari e capitano del Logudoro[36], reggendo in seguito anch’egli l’ufficio di governatore generale per assenza o morte del titolare[37]. Si pensa che la torre del Castello di Cagliari nota come della Paona, abbia preso il nome da questa famiglia[38] il cui stemma araldico contempla un pavone d’azzurro in campo d’argento[39].
Nel 1324, con carta data a Bonaria l’11 luglio, l’infante Alfonso concesse in feudo a Pere de Montpaó secondo il costume d’Italia e col servizio di due cavalli armati le ville di Senorbì, Simieri e Sèbera, site nella curatoria di Trexenta, riservando per sè il mero e misto imperio, il laudemio, la fatica di trenta giorni e il diritto di appello da parte degli abitanti[40]. Le ville infeudate occupavano un’area lievemente ondulata proprio al centro della conca trexentese, abitata continuativamente sin dall’età prenuragica. Senorbì, l’unica sopravvissuta, aveva all’epoca un’estensione territoriale di gran lunga inferiore all’attuale, esito dall’accorpamento degli antichi centri abitati di Sisini e Arixi (comuni autonomi sino al 1927) e delle ville scomparse di Segolay, Aluda, Donigala Alba e Villa di Campo. La villa medievale confinava ad ovest/nord ovest con quella di Simieri, spopolatasi nel corso del secolo XV, che ha lasciato tracce di sé nei toponimi nuraghe Simieri e Xea Simieri[41]. Una sentenza arbitrale del 1455, relativa alla causa tra il signore della Trexenta Pietro de Sena e l’arcivescovo di Cagliari per il possesso dei salti di Simieri e Cixì, ci dà, in sardo e catalano, i confini della villa corrispondenti ai limiti meridionali dell’attuale comune di Suelli[42]. Non vi era invece continuità territoriale con la villa di Sèbera, localizzata da taluni in agro di Ortacesus alle pendici del colle di Bruncu Lau de Sèbera, ove sussistono i ruderi di una chiesa dedicata a San Bartolomeo[43], da altri invece ad ovest di Guasila, sul versante occidentale del colle di Mont’e Sèbera[44].
Successivamente l’infante ampliò al Montpaó la concessione con l’aggiunta del mero imperio e di altri 2000 soldi di rendita su ville confinanti, sostituendogli inoltre il servizio di due cavalli armati con un censo annuo di 40 fiorini d’oro di Firenze[45].
In seguito alla seconda pace tra Aragona e Pisa (25 aprile 1326) Pere de Montpaó perse le sue ville della Trexenta a vantaggio del comune toscano, ottenendo in risarcimento 6000 soldi di rendita annua sopra i redditi di una o più ville situate nel distretto della città di Sassari o di quelle confiscate ai ribelli della Corona. Di questi 6000 soldi 4000 corrispondevano all’indennizzo per la perdita delle ville trexentesi[46], i restanti erano a rimborso della citata donazione di 2000 soldi che non aveva avuto esito per mancanza di ville da assegnare in feudo[47].
Nel volgere di un anno, a titolo di globale ricompensa, si vide infeudare le ville di Sorso, Tànega, Gennor e Oruspe site nella curatoria di Romangia, ma fu osteggiato da parte dei probi uomini e degli anziani della città di Sassari in virtù dei privilegi di cui la città godeva sui centri del circondario. La donazione gli fu così revocata anche se nel 1328 re Alfonso IV gli concedeva ugualmente di percepire le rendite[48]. Riuscì a prenderne effettivo possesso solo nel 1330[49], dopo che si concluse la terza ribellione di Sassari con l’espulsione degli originari abitanti e il ripopolamento attuato con nuovi pobladors catalano-aragonesi[50]. Ancora dopo un anno tuttavia la legittimità della concessione al Montpaó non appare ancora del tutto chiara, fino alla conferma di re Alfonso nel giugno 1331[51].
Quando nel 1335 vennero mobilitati tutti i feudatari del regno di Sardegna per la guerra contro i Doria Pere de Montpaó deteneva ancora le suddette ville[52] che poi dovette vendere al governatore della Sardegna Ramon de Cardona per fare ritorno in patria[53].
Nel 1339, in qualità di «portarius maior illustris domine regine Aragonis», assistette nella cappella reale di Barcellona all’omaggio prestato da Giacomo III di Maiorca a Pietro IV il Cerimonioso[54]167. È da identificare con uno dei due Pere de Montpaó, padre e figlio, che alla data del 28 luglio 1348 risultano entrambi deceduti e seppelliti con gli antenati nel reale monastero di Poblet[55].
 
 
* Antonio FORCI, Feudi e feudatari in Trexenta (Sardegna meridionale) agli esordi della dominazione catalano-aragonese (1324-1326), in “Sardinia. A Mediterranean Crossroads. 12th Annual Mediterranean Studies Congress (Cagliari, 27-30 maggio 2009)” a cura di Olivetta Schena e Luciano Gallinari, ora in “RiMe. Rivista dell’Istituto di Storia dell’Europa Mediterranea”, n. 4, giugno 2010, Cagliari 2010.
 


[1] Cfr. Charles-Jean-Marie de TOURTOULON, Les français aux expédicions de Mayorque et de Valence sous Jacques le Conquérant, roi d’Aragon (1229-1238), in “Revue Nobiliaire Historique et Biographique”, n. s., tome II, 1866, p. 228; M. H. Laurent, Le culte de S. Louis d’Anjou à Marseille au XIV siècle, Roma 1954, p. 31.
[2] Un Geraldus de Montpao e il fratello Aicius provenienti dalla Dordogna sono documentati in Paul François Étienne CHOLET (ed.), Cartulaire de l’abbaye de SaintÉtienne (en Saintonge), Niort 1868, charte CCCLXXVII (anni 1083-1098), pp. 158- 159. Sempre in Dordogna un castellum de Montpao è attestato nel 1170: cfr. Alexis J. D. DE GOURGES, Dictionnaire topographique du départiment de la Dordogne comprenant les noms de lieu anciens e modernes, Paris 1873, s. v. Montpont.
[3] Cfr. GEC, vol. 10, Barcelona 1977, p. 265; J. Corominas (dir.), Onomasticon Cataloniae, vol. 5 (L-N), Barcelona 1996, s. v. Montpaó, pp. 269-270; Nomenclàtor oficial de toponímia major de Catalunya, Generalitat de Catalunya-Institut d’Estudis Catalans, Barcelona, 2003, pp. 198, 201, 410, 988. La base etimologica del toponimo è costituita dai sostantivi latini mons-montis (monte), e pavo-pavonis (pavone), nome di un uccello ma anche di persona, per cui Mons Pavonis avrebbe designato in origine semplicemente un’altura proprietà di una persona con questo nome.
[4] Cfr. Nomenclàtor oficial de toponímia major de Catalunya cit., p. 988. Del monumento, ridotto in completa rovina, è data una sommaria descrizione in Joan-Ramon GONZÁLEZ I PÉREZ, Josep-Ignasi RODRÍGUEZ I DUQUE, Daniel RUBIO I RUIZ, Els testimonis arqueològics del telègraf òptic, in Arqueologia de la comunicació. Actes de les IV jornades d’arqueologia industrial de Catalunya (Girona 6, 7 i 8 de noviembre de 1997), Barcelona, 2001, p. 604.
[5] Cfr. Joan COROMINAS (dir.), Onomastocon Cataloniae, vol. 5 cit. p. 370, secondo cui tutti o buona parte dei toponimi Montpaó registrati in Catalogna sono derivati da quello della Segarra.
[6] Cfr. Jaime FINESTRES Y DE MONSALVO, Historia de el real monasterio de Poblet, tomo I, Cervera 1753, pp. 53-56; Pere CATALÀ I ROCA, Comentari marginal, in ID. (dir.), Els castells catalans, vol. IV, Rafael Dalmau Editor, Barcelona 1993 (II ediz.), pp. 399- 400.
[7] Cfr. Antoni VIRGILI, Les conquestes catalanes del segle XII i els repartiments, in E. Guinot, J. Torró (eds.), Repartiments medievals a la Corona d’Aragó (segles XIIXIII), Universitat de València, València, 2007, p. 67.
[8] Cfr. Jaime FINESTRES Y DE MONSALVO, Historia de el real monasterio de Poblet, I cit., p. 321.
[9] Cfr. Agustín ALTISENT, Un poble de la Catalunya Nova els segles XI i XII. L’Espluga de Francolí de 1079 a 1200, in “Anuario de Estudios Medievales”, 3, 1966, pp. 131-213.
[10] Cfr. Carolina BATET COMPANY, L’aigua conquerida. Hidraulisme feudal en terres de conquesta: alguns exempls de la Catalunya Nova i Mallorca, Universitat de València, València, 2006, p. 67-69.
[11] Cfr. Joseph Marie Antoine DELAVILLE LE ROULX, Les archives de l’ordre de l’Hôpital dans la péninsule ibérique, Paris, 1893, p. 96.
[12] Cfr. Jaime FINESTRES Y DE MONSALVO, Historia de el real monasterio de Poblet, tomo III, Cervera, 1756, p. 67.
[13] Interessante il dato prosopografico offerto da Agustín ALTISENT, Un poble de la Catalunya Nova els segles XI i XII. L’Espluga de Francolí cit., pp. 174-175, secondo cui Guillem e Bernat de Montpaó, quest’ultimo padre di un Berenguer, erano figli di Pere Ponç de Segura e fratelli di Guerau de Segura. Questo Guillem de Montpaó è da identificare quasi certamente col personaggio dallo stesso nome, signore di Rocamora, morto nel 1198 e sepolto nel monastero di Poblet: cfr. Jaime FINESTRES Y DE MONSALVO, Historia del real monasterio de Poblet, I cit., p. 321. Da notare che sono vari i membri della famiglia Montpaó a portare i nomi di Pere e Ponç nel corso dei secolo XIII e XIV.
[14] Cfr. Santiago ALBERTÍ, Diccionari biogràfic, vol. III (M-P), Barcelona, 1969, p. 277; Robert I. BURNS, Transition in Crusader Valencia: Years of Triumph, Yars of Wor, 1264-1270, Princeton University Press, 2001, pp. 34-36, 243-244, 281.
[15] Cfr Robert I. BURNS, Transition in Crusader Valencia cit., doc. 657, p. 196.
[16] Cfr. Santiago ALBERTÍ, Diccionari biogràfic, vol. III (M-P), Barcelona, 1969, p. 277, s. v. Montpaó, Pere de; Enric GUINOT, El repartiment feudal de l’Horta de València al segle XIII: jerarquització social i reordinació del paisatge rural, in Enric GUINOT, Josep TORRÓ (eds), Repartiments medievals a la Corona d’Aragó (segles XII-XIII), Valencia, 2007, pp. 180-181.
[17] Cfr. Josep Maria SANS I TRAVÉ, Relacion de la casa del Temple a Barberà amb el monastir de Santes Creus (siglo XIII), “Analecta Sacra Tarraconensia”, 48, 1975, p. 44.
[18] Cfr. Santiago ALBERTÍ, Diccionari biogràfic cit., p. 277, s. v. Monpaó, Bernardo de.
[19] Cfr. Jaime FINESTRES Y DE MONSALVO, Historia del real monasterio de poblet, I cit., p. 321; Joan Francesc CABESTANY, Els enterraments amb sarcòfag del monestir de Poblet (segles XII a XIV), in Necròpolis i sepoltures medievals de Catalunya, «Acta Mediaevalia», annex 1, Pedralbes-Barcelona, 1982, p. 291.
[20] Cfr. Pere CATALÀ I ROCA, Castell de Siurana, in ID. (dir.), Els castells catalans, vol. IV, Barcelona 1993 (II ediz.), pp. 420-422.
[21] Cfr. Joaquim MIRET I SANS, Pere CATALÀ I ROCA, Castell de Conesa, in Pere CATALÀ I ROCA (dir.), Els castells catalans, vol. IV, Barcelona 1993 (II ediz.), pp. 221-222.
[22] Cfr. Andrés GIMENEZ SOLER, El poder judical en la Cotona de Aragón, Barcelona, 1901, pp. 38-39, nota 3.
[23] ACA, Real Cancillería, reg. 264, f. 85r.
[24] Cfr. Memorial Histórico Español: coleccion de documentos, opúscolos y antigüedades que publica la Real Academia de la Historia, t. III, Madrid. 1852, pp. 429-430.
[25] Cfr. Cortes de los antiguos reinos de Aragón y de Valencia y Principado de Cataluña. Cortes de Cataluña, tomo I/I, Madrid, 1896, p. 163.
[26] Diminutivo di Pietro.
[27] ACA, Real Cancillería, reg. 261, f. 74v (1293 giugno 5, Teruel).
[28] ACA, Real Cancillería, reg. 261, f. 112r (1297 ottobre 20, Teruel).
[29] Cfr. Jaime E. MARTINEZ FERRANDO, Jaime II de Aragón. Su vida familiar, Barcelona 1948, vol. II, p. 143.
[30] Cfr. Jerónimo Zurita, Anales de Aragón cit., libro VI, cap. XLIII.
[31] Cfr. Jaime E. MARTINEZ FERRANDO, Jaime II de Aragón cit., vol. I, doc. n° 154, p. 106, vol. II, p. 61.
[32] Cfr. Josep María LLOBET I PORTELLA, Dues lletres de la cort de la vegueria de Montblanc i la resposta a una d’elles (1318-1319), in “Aplec de Treball”, 17, 1999, pp. 10, 13.
[33] ACA, Real Cancillería, reg. 402, f. 146r-v (1326 agosto 12, Fraga).
[34] Cfr. Rafael CONDE Y DELGADO DE MOLINA, Antonio Maria ARAGÓ CABAÑAS, Castell de Càller. Cagliari catalano-aragonese, CNR-Istituto sui rapporti italo-iberici, Cagliari, 1984, p. 246 (indice analitico, s. v. Montpaho).
[35] ACA, Real Cancillería, reg. 401, f. 4r-v (1326 maggio 16, Barcellona).
[36] ACA, Real Cancillería, reg. 401, ff. 5r-6r (1326 maggio 16, Barcellona): cfr. Angelo CASTELLACCIO, Note sull’ufficio del veguer in Sardegna. 1. Sassari, in Luisa D’ARIENZO (ed.), Sardegna, Mediterraneo e Atlantico tra medioevo ed età moderna cit., vol. I, pp. 234-236. Questa evidente anomalia di una medesima persona nominata a capo di due importanti uffici con sedi ai capi opposti dell’isola si risolse pochi mesi dopo, quando Bernardo de Boxados, governatore generale del regno, sostituì Ramon de Montpaó nella custodia del castello e delle torri di Cagliari: ACA, Real Cancillería, reg. 402, f. 149v (1326 agosto 12, Fraga).
[37] Cfr. Luisa D’ARIENZO, Carte reali diplomatiche di Pietro IV il Cerimonioso, re d’Aragona, riguardanti l’Italia, CEDAM, Padova, 1970, p. 9, nota 10.
[38] Cfr. Maria Bonaria URBAN, Cagliari fra Tre e Quattrocento, Edizioni dell’Istituto sui rapporti italo-iberici, Cagliari, 2000, p. 83.
[39] Cfr. José GRAMUNT, Los linajes catalanes de Cerdeña, Barcelona, 1958, p. 112. Lo stemma di Ramon de Montpaó si conserva nel cortile della caserma La Marmora di Sassari, proveniente dal distrutto castello della città: cfr. Daniela ROVINA, L’età medievale, in Sassari. Le origini, Gallizzi, Sassari, 1989, p. 137, fig. 18.
[40] ACA, Real Cancillería, reg. 398, ff. 26r-v, 43v-44v (1324 luglio 11, castello di Bonaria).
[41] Cfr. RAS, Carta tecnica della Sardegna. Foglio n° 458-Senorbì, sezz. A2, B2, ediz. 1970 (scala 1:10.000); IGMI, Carta topografica d’Italia scala 1:25.000. Foglio n° 548 sez. IV-Senorbì, Firenze, 1992.
[42] ASC, Notai di Cagliari, Atti sciolti, b. 254, Stefano Daranda, vol. 3, f. 32r (15 aprile 1455).
[43] Cfr. Daniela ARTIZZU, Indagine in alcuni paesi della Trexenta. Lettura archeologica e topografica, in Rossana MARTORELLI (ed.), Città, territorio, produzione e commerci nella Sardegna medievale. Studi in onore di Letizia Pani Ermini, AM&D Edizioni, Cagliari, 2002, pp. 156-157.
[44] Cfr. Silvestro GHIANI, La Trexenta antica, Amministrazione di Guasila, Guasila 2000, pp. 192-193. Secondo Ghiani la chiesa di San Bartolomeo era parrocchiale del villaggio scomparso di Bangio Donico.
[45] ACA, Real Cancillería, reg. 399, ff. 79r-80r (1325 luglio 3, Daroca); 77v-78v (1325 luglio 7, Daroca).
[46] ACA, Real Cancillería, reg. 401, f. 66r-v (1326 luglio 12, Lerida); reg. 402, f. 158rv (1326 agosto 31, Saragozza).
[47] ACA, Real Cancillería, reg. 403, ff. 102v-104r (1327 giugno 3, Barcellona).
[48] ACA, Real Cancillería, reg. 508, f. 58r-v (1328, maggio 13 Saragozza).
[49] ACA, Real Cancillería, reg. 509, ff. 104r-105v (1330 gennaio 13, Valenza).
[50] Cfr. Angelo CASTELLACCIO, Note sull’ufficio del veguer in Sardegna. 1. Sassari cit., p. 235.
[51] ACA, Real Cancillería, reg. 511, ff. 78v-79r (1331 gennaio 21, Valenza); ff. 134v-136r (1331 giugno 10, Barcellona).
[52] ACA, Real Cancillería, reg. 518, f. 173v (sine data ma post 21 maggio 1335).
[53] In realtà non sono note le modalità con cui Ramon de Cardona entrò in possesso delle ville appartenute a Pere de Montpaó: cfr. Maria Teresa FERRER I MALLOL, Ramon de Cardona, militar y diplomático al servicio de cuatro reinos cit., p. 1450.
[54] Cfr. Antoni DE BOFARULL (ed.), Crónica del rey de Aragon D. Pedro IV el Cerimonios ó del Punyalet, Barcelona, 1850, pp. 407-411.
[55] Cfr. Jaime FINESTRES Y DE MONSALVO, Historia del real monasterio de poblet, I cit., p. 321.