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venerdì 8 luglio 2016

1355 Sarracino di Suelli

1355 Sarracino di Suelli
di Sergio Sailis

Agli inizi del 1355 Pietro IV d’Aragona convoca a Castell de Caller le corti del Regno di Sardegna e Corsica. Pur essendo sostanzialmente cessati i combattimenti conseguenti alla “rivolta” di Mariano l’isola non è però ancora completamente pacificata. Restano attivi infatti alcuni focolai di ribellione con conseguenti scaramucce che continueranno comunque a persistere perlomeno sino al mese di giugno per cui, a tutela degli interessi del regno, il sovrano il 10 marzo emana una serie di 4 norme, le cosiddette Costituzioni, cui se ne aggiungerà una quinta il successivo 30 aprile.
In particolare con la terza costituzione, al fine di prevenire e scoraggiare nuove ribellioni, viene prevista la consegna agli ufficiali regi di ostaggi da parte dei sardi; questi ostaggi generalmente dovevano essere maschi salvo in caso di pericolo esterno e in questa evenienza tutti i figli e le mogli dei sardi dovevano essere condotti in luoghi fortificati previamente individuati come i castelli di Acquafredda, Villa di Chiesa, Gioiosaguardia, Quirra, ecc. per il sud dell’isola.
Probabilmente è relazionato proprio a questa terza costituzione il caso di Sarracino di Suelli il quale, nell’aprile del 1355, si trovava verosimilmente prigioniero nel castello di Quirra assieme ad altre persone alcune delle quali note per essere state parte attiva negli scontri dei mesi precedenti. Con una lettera datata 17 aprile 1355 Pietro IV ordinava appunto al castellano di Quirra, Guglielmo Sala, di far portare a Cagliari alcune persone, tra i quali il nostro Sarracino, e in caso di rifiuto “que serien tenguts per rebelles e inobedientes a la nostra reyal Corona”. Nel documento purtroppo non è esplicitato il motivo della richiesta di trasferimento dei presunti prigionieri a Cagliari; si potrebbe ipotizzare pertanto che lo spostamento si sia reso necessario per raccogliere le loro testimonianze nel processo in corso contro Mariano oppure per portarli in un luogo ritenuto più sicuro da eventuali fughe o dalla loro liberazione da parte degli insorti.

(img ACA Barcellona)
“ Manam vos expressament eus deim que de part nostra manets e requirats Lo Sergio, Gonnardi de Sori, Ançocho Axedo, Johan d'Aceni, Francisco de Coni, Gomita Marras, Gonnarde Jana, Guantino Dola, Barçolo de Comes, Sarracino de Suelli, Guanti Pisano, Sahena de Sena, Pedro Clango, Lopardo Marru, Jordi Santy, Barison Serexi, que encontinent, vista la present, venguen açi a nos sots pena de cors e d'aver. Notifican lurs que si aço fer no volien, que serien tenguts per rebelles e inobedientes a la nostra reyal Corona. Manam encara a vos que vos per res del castell de Quirra no.us partescats. Data en Castell de Caller a XVII d'abril en l'any dela nativitat de nostre senyor MCCCL sinch. Subscripsit Guillelmus.
Matheus Adriani mandato regio facto per nobilem Bernardum de Capraria, consiliarium.
Predicta littera fuit missa Guillelmo de Sala, castellano castri de Quirra. “


Non sappiamo purtroppo la sorte toccata a Sarracino; il suo nome non compare tra i contribuenti di Suelli presenti nella VI Compositio pisana del 1359 ed è quindi probabile che non abbia fatto ritorno a Suelli negli anni successivi o che sia deceduto nel frattempo.  
 


lunedì 11 novembre 2013

Bannati ed esiliati in Trexenta nella seconda metà del '300

BANNATI ED ESILIATI
di Sergio Sailis

Analogamente a quanto avvenuto per Arsocco Lati, reo di essersi macchiato dell’empio crimine di parricidio, dalla Composizione pisana del 1359 rileviamo che il Comune aveva incamerato anche altri beni di proprietà appartenute a persone che si erano rese colpevoli di omicidio o che avevano abbandonato il luogo di residenza per trasferirsi in territorio arborense.
E’ il caso di Barsuolo de Onni e Filippo Turrai entrambi di Seuni. Il primo doveva essere una persona abbastanza facoltosa in quanto proprietario di diversi appezzamenti di terreno e di edifici dei quali uno probabilmente fortificato. Questi beni dopo essere stati incamerati dal Comune vennero, come di consuetudine, concessi in affitto a terzi; tra gli affittuari figura Pietro Dezori, altro abitante di Seuni, che doveva corrispondere annualmente un importo di 2 libre e 14 soldi[1]. E’ interessante notare che nell’elenco dei possedimenti confiscati a Barsuolo de Onni sono elencate le località in cui questi erano situati e la maggior parte dei toponimi sono ancora oggi riconoscibili.


Il secondo invece possedeva delle proprietà all’interno del villaggio in una piazza denominata “Plassa de Murtas” che vennero concesse in affitto Guantino Cambuli di Suelli per le quali il Comune riscuoteva annualmente 13 denari di alfonsini minuti[2].
Un altro caso di un confisca a seguito di omicidio era quello di Guantino De Orru del villaggio di Arigi; anch’egli aveva diversi appezzamenti di terreno e edifici per i quali il Comune incamerava a titolo di affitto una libra e 10 soldi[3].

Altri abitanti della Trexenta invece, forse in occasione della rivolta del Giudice Mariano d’Arborea, decisero di abbandonare i loro possessi e rifugiarsi in territorio giudicale. E’ questo il caso di Petri Polle di Bangiu Donnico che si trasferì poco oltre il vicino confine arborense nel villaggio di Mara Arboree (l’attuale Villamar); anche i suoi beni furono pertanto incamerati e concessi in affitto[4].

 



[1] Francesco ARTIZZU, L'Aragona e i territori pisani di Trexenta e Gippi, in Annali delle Facoltà di Lettere, Filosofia e Magistero dell'Università di Cagliari - estratto vol. XXX - 1967, Sassari 1968, pag. 75-76
[2] Francesco ARTIZZU, L'Aragona e i territori pisani di Trexenta e Gippi, in Annali delle Facoltà di Lettere, Filosofia e Magistero dell'Università di Cagliari - estratto vol. XXX - 1967, Sassari 1968, pag. 78
[3] Francesco ARTIZZU, L'Aragona e i territori pisani di Trexenta e Gippi, in Annali delle Facoltà di Lettere, Filosofia e Magistero dell'Università di Cagliari - estratto vol. XXX - 1967, Sassari 1968, pag. 83.
[4] Francesco ARTIZZU, L'Aragona e i territori pisani di Trexenta e Gippi, in Annali delle Facoltà di Lettere, Filosofia e Magistero dell'Università di Cagliari - estratto vol. XXX - 1967, Sassari 1968, pag. 95-96.

giovedì 17 ottobre 2013

Pietro Penna mancato signore di Arili

Pietro Penna mancato signore di Arili
di Antonio Forci*

(scheda su Aliri)
 Pietro Penna, unico personaggio non iberico coinvolto nella prima feudalizzazione della Trexenta, è sufficientemente noto in letteratura per essere stato notaio di Ugone II d’Arborea[1] del quale fu anche ambasciatore presso la corte d’Aragona[2]. Sin dai primissimi tempi della conquista ottenne vari benefici da parte dell’infante Alfonso[3] e nel 1328 fece parte della comitiva che accompagnò a Barcellona il domicello Pietro per essere armato cavaliere da Alfonso IV in occasione dei festeggiamenti per la sua incoronazione[4]. Pare che in quella circostanza abbia

venerdì 11 ottobre 2013

Francesc II Carroz signore di Arili, Siocco, Donigala Alba e Segolay

Francesc II Carroz signore di Arili, Siocco, Donigala Alba e Segolai
di Antonio Forci*
(Scheda Aliri) (Scheda Sioccu) (Scheda Donigala Alba) (Scheda Segolay)

Francesc II Carroz apparteneva ad una delle più insigni famiglie della nobiltà valenzana, essendo il figlio primogenito dell’ammiraglio Francesco Carroz, signore del castello di Rebollet[1]. I Carroz furono tra i principali protagonisti della spedizione per la conquista del regno di Sardegna, in quanto l’ammiraglio Francesco, oltre ad essere stato nominato comandante della

giovedì 3 ottobre 2013

Arnau de Caçà signore di Dei

Arnau de Caçà signore di Dei
di Antonio Forci*

(scheda di Dei)
Arnau de Caçà era un mercante cittadino di Maiorca[1] noto per aver partecipato alla conquista della Sardegna come “patronus” di una cocca[2]. Precedentemente era stato amico personale e fidato consigliere dell’infante Ferdinando, fratello del re Sancio I di Maiorca, del quale fu procuratore in importanti atti diplomatici[3] e che accompagnò in Grecia nella sfortunata campagna di Morea (Acaia) ove detto infante trovò la morte (1316)[4].
In virtù dell’esperienza maturata tra gli almogàvers negli scenari di guerra del

giovedì 26 settembre 2013

Perico de Llibià signore di Turri

Perico de Llibià signore di Turri
di Antonio Forci*
 
(qui la scheda di Turri)
Perico o Pere [III] de Llibià era figlio del più noto Pere [II] de Llibià, consigliere e stretto collaboratore dell’infante Alfonso, che seguì nella spedizione di conquista della Sardegna. Con carta del 21 giugno 1325 ottenne in feudo secondo il costume d’Italia una rendita annua di 4.000 soldi di genovini sopra i redditi di una o più ville della suddetta isola, col servizio di

lunedì 16 settembre 2013

Guillem Sapera signore di Bangio Donico

Guillem Sapera signore di Bangio Donico
di Antonio Forci*
 scheda di Bangiu Donnico
Guillem Sapera o ça-Pera (Guillelmus de Petra nei documenti in latino) è un personaggio noto per aver preso parte alla spedizione di conquista della Sardegna del 1323-24 tra le fila dell’armata catalano-aragonese.
Narrano le fonti che durante il primo assedio a Castel di Cagliari, alla testa di soli otto cavalieri, si distinse in un temerario assalto alla porta di San Pancrazio, rischiando poi di soccombere dinanzi alla controffensiva dei pisani. Uomo di guerra dunque, verosimilmente cavaliere, al quale nel 1325 fu affidato il comando delle truppe inviate via mare a Porto Torres per sedare la ribellione di Sassari[1].

Pur non essendo di origini nobili – il padre Bonanat Sapera era cittadino di Barcellona[2] – non apparteneva certo ad una famiglia di secondo piano: il fratello, di nome anch’egli Bonanat, era infatti notaio regio e fido guardasigilli dell’infante Alfonso[3], ed egli stesso suo domestico e segretario[4].
Come premio per i servigi prestati alla Corona l’infante gli concesse una rendita di 4000 soldi di genovini annui sopra i redditi di qualsiasi villa del regno di Sardegna, affidando al governatore e agli amministratori generali il compito di individuare la villa o le ville da assegnargli in feudo secondo il costume d’Italia e col servizio di due cavalli armati[5]. La donazione avveniva con la riserva del mero imperio, del laudemio, della fatica dei trenta giorni e del diritto di appello da parte degli abitanti, ed era seguita a distanza di pochi tempo dalla relativa investitura[6].
La scelta degli amministratori cadde sulle ville di Gergei, sita nella curatoria di Siurgus, e su quella di Bangio Donico, sita nella curatoria di Trexenta, precedentemente concessa a Teresa Gombau de Entença alla fine del 1323 senza che la donazione avesse avuto esito effettivo.
Dopo la seconda pace stipulata tra la Corona d’Aragona e Pisa, Guillem Sapera perse la sua villa di Bangio Donico a vantaggio del comune toscano essendogli per ciò riconosciuto un non meglio specificato diritto a titolo di indennizzo senza apparente riduzione del servizio militare, oltre alla promessa di rientrarne in possesso qualora i pisani l’avessero perduta o ceduta alla Corona[7].
Quando il primo agosto 1327 l’infante Alfonso, nell’ambito di un accordo con i feudatari del regno di Sardegna che non detenevano il mero imperio, gli riconobbe la metà del denaro ricavato dall’esazione delle machizie nella sua villa di Gergei, tale diritto fu esteso anche alla villa di Bangio Donico nel caso in cui la Corona l’avesse in qualche modo recuperata[8].
Da documenti posteriori si evince che Guillem Sapera aveva donato sin dal 1325 al fratello Bonanat la rendita di 4.000 soldi di genovini annui concessagli in feudo dall’infante Alfonso, mantenendone tuttavia l’usufrutto[9] e continuando ad amministrare la villa di Gergei da effettivo feudatario tanto da prestare giuramento di fedeltà al nuovo re Pietro IV nel 1336[10].
Non conosciamo la data della sua morte: di certo era ancora in vita nel 1340 quando operava come tutore del nipote Bonanat, figlio omonimo del defunto fratello[11].
 
* Antonio FORCI, Feudi e feudatari in Trexenta (Sardegna meridionale) agli esordi della dominazione catalano-aragonese (1324-1326), in “Sardinia. A Mediterranean Crossroads. 12th Annual Mediterranean Studies Congress (Cagliari, 27-30 maggio 2009)” a cura di Olivetta Schena e Luciano Gallinari, ora in “RiMe. Rivista dell’Istituto di Storia dell’Europa Mediterranea”, n. 4, giugno 2010, Cagliari 2010.
 
 


[1] Cfr. Antonio ARRIBAS PALAU, La conquista de Cerdeña por Jaime II de Aragón, Barcelona, 1952, pp. 248, 294; Marco TANGHERONI, È utile studiare i documenti di cancelleria ? Un interessante esempio sardo, in Luisa D’ARIENZO (ed.), Sardegna, Mediterraneo e Atlantico cit., vol. II, p. 274.
[2] ACA, Real Cancillería, reg. 403, f. 152r (1325 maggio 24). Il personaggio è da identificare probabilmente col Bonanat Sapera morto nel 1308 e il cui sepolcro, esistente presso il museo provinciale di Barcellona, reca come blasone araldico una pera d’oro in campo rosso: cfr. Alberto y Arturo GARCIA CARRAFFA, El solar catalan, valenciano y balear cit., tomo IV, p. 156.
[3] Cfr. Marco TANGHERONI, È utile studiare i documenti di cancelleria? cit., pp. 272- 274.
[4] Cfr. Cécile CRABOT, Noblesse urbaine et féodalilté: les citoyens catalanoaragonais feudataires en Sardaigne, in “Anuario de Estudios Medievales”, 32/2, 2002, pp. 818-819.
[5] ACA, Real Cancillería, reg. 398, ff. 121r-122v (1325 aprile 28, Valencia).
[6] ACA, Real Cancillería, reg. 398, f. 128v (1325 maggio 4, Valencia).
[7] ACA, Real Cancillería, reg. 403, ff. 29v-30v (1326 dicembre 30, Teruel). Riguardo al generico diritto che il Sapera aveva sulla perduta villa di Bangio Donico  potrebbe trattarsi, come in casi analoghi, di nuove rendite fino a ristabilire la cifra assegnata nella donazione.
[8] ACA, Real Cancillería, reg. 403, f. 192r (1327 agosto 1, Morella).
[9] ACA, Real Cancillería, reg. 403, ff. 151r -154r (1327 agosto 5, Morella).
[10] Cfr. Giuseppe SPIGA, Feudi e feudatari nel regnum Sardiniae et Corsicae fra il 1336 e il 1338, in Atti del XIV Congresso di Storia della Corona d’Aragona (Sassari-Alghero, 19-24 maggio 1990), vol. II/2, Carlo Delfino editore, Sassari, 1995, p. 874.
[11] Cfr. Marco TANGHERONI, È utile studiare i documenti di cancelleria? cit., p. 270 e ss.

venerdì 30 agosto 2013

Diego Zapata signore di Ortacesus

Diego Zapata signore di Ortacesus
di Antonio Forci*
 
Diego Zapata discendeva da antica famiglia aragonese legata agli ambienti di corte sin dalla prima metà del secolo XII[1]. Secondo alcuni autori, tra cui l’erudito Gregorio Garcia Ciprés, noto genealogista e araldista vissuto a cavallo dei secoli XIX-XX, gli Zapata sarebbero originari del paese di Uncastillo (Saragozza). Alcuni membri del casato, per essersi segnalati nelle guerre di Reconquista al seguito dei re d’Aragona, furono premiati con feudi a Calatayud e nel regno di Valenza[2]; altri ancora, nel corso della seconda metà del secolo XIV, si trasferirono in Castiglia[3]. Si formarono così rami distinti per quanto discendenti da un ceppo comune, riflessi nella varietà dei blasoni riconducibili al casato. Ne diamo alcuni: di rosso con cinque scarpe (zapatos) d’argento scaccate d’oro e di nero ai margini; di rosso con tre scarpe d’argento scaccate d’oro e d’argento ai margini e bordura di rosso caricata di otto scudetti d’oro con banda nera; di rosso con tre o cinque scarpe scaccate d’oro e di nero e bordura identica alla precedente; d’argento con tre scarpe di nero poste in triangolo maggiore e bordura di verde caricata di otto scudetti d’oro con banda rossa[4].

I discendenti del ramo di Valenza furono successivamente signori di Provencio, del Real, di Pedralba e Monserrat, ottenendo dal re Filippo II il titolo di Conti del Real.
Dal ramo di Calatayud discendono illustri personaggi quali Giovanni Zapata, justicia d’Aragona nell’anno 1289, padre di quel Miguel Pérez Zapata signore di Cadrete († c. 1358), che fu valente capitano sotto i re Alfonso IV e Pietro IV.
Nonostante molti autori abbiano trattato degli Zapata in opere di genealogia e araldica non vi sono riferimenti a questo Diego della prima metà del secolo XIV, per cui non è possibile stabilire una parentela col citato Miguel Pérez Zapata (†c. 1358), elencato dallo Zurita tra i partecipanti alla spedizione per la conquista della Sardegna assieme al figlio Rodrigo[5]. Le uniche notizie desumibili dalla letteratura danno Diego Zapata discendente dal ramo valenzano della famiglia, senza che si possa appurare l’esistenza o meno di un legame genealogico con i successivi Zapata residenti, da nobili, nel castello di Cagliari e che tanta parte ebbero nella storia cittadina del secolo XVI[6].
Tuttavia il nome Diego non è di origine valenzana essendo documentato per la prima volta da quel ramo degli Zapata che, fin dal secolo XII, si muove nell’areale circostante la città di Calahorra (La Rioja Baja), zona cuscinetto tra la Navarra e la Castiglia, prossima ai confini settentrionali dell’Aragona[7].
Nella cosiddetta ‘Guerra de los dos Pedros’ che oppose i re Pietro IV d’Aragona e Pietro I di Castiglia (1356-1369), un cavaliere di nome Diego Zapata figura alcaide del castello aragonese di Los Fayos (Saragozza)[8] quando l’omonimo giunto in Sardegna nel 1323 era già morto da diversi anni.
Per definire la condizione sociale di questo lignaggio in epoca basso medievale sono stati utilizzati a seconda degli autori una varietà di termini quali bassa nobiltà, aristocrazia locale, cavalieri locali. A quest’ultima categoria sembrerebbe appartenere il Diego Zapata che seguì l’infante Alfonso nella spedizione di conquista della Sardegna e che compare nei registri di cancelleria della serie Sardiniae col titolo di miles[9].
In ricompensa dei servigi prestati alla Corona detto infante gli concesse in feudo secondo il costume d’Italia e col servizio di due cavalli armati 4.000 soldi di genovini annui sopra i redditi di qualsiasi villa del regno di Sardegna, riservando per sé il mero imperio, il laudemio, la fatica di trenta giorni e il diritto di appello da parte degli abitanti. Contemporaneamento affidò a Pere de Llibià e Arnau de Caçà, amministratori generali dei redditi nell’isola, il compito di individuare la villa o le ville da assegnargli in feudo, le cui rendite non eccedessero i 4000 soldi annui[10]. A questa donazione fece seguito l’investitura delle ville di Ortacesus e Quirra, site rispettivamente nelle curatorie di Trexenta e Sarrabus[11].
Dopo il secondo trattato di pace stipulato tra Aragona e Pisa (25 aprile 1326)[12] Diego Zapata perse la sua villa di Ortacesus a vantaggio del comune toscano, essendogli riconosciuto il diritto a rientrarne in possesso qualora la Corona l’avesse in qualche modo recuperata[13].
Nel corso della sua breve esperienza di feudatario del regno di Sardegna entrò in contrasto col castellano di Quirra al quale non forniva quanto avrebbe dovuto per il mantenimento del castello[14] e risulta deceduto alla data del 10 marzo 1332 quando il re Alfonso IV ingiunse al suo erede (non nominato) di prestare il servizio militare nella guerra contro i genovesi con un cavallo armato e uno alforrato[15].
Da fonte letteraria apprendiamo che gli succedette il figlio Garcia, il cui nome, come quello del padre, è ben attestato tra gli Zapata del ramo riojano. Garcia Zapata morì pochi anni dopo il padre e i suoi discendenti non riuscirono a conservare il feudo che passò sotto il controllo del conte di Quirra[16].

* Antonio FORCI, Feudi e feudatari in Trexenta (Sardegna meridionale) agli esordi della dominazione catalano-aragonese (1324-1326), in “Sardinia. A Mediterranean Crossroads. 12th Annual Mediterranean Studies Congress (Cagliari, 27-30 maggio 2009)” a cura di Olivetta Schena e Luciano Gallinari, ora in “RiMe. Rivista dell’Istituto di Storia dell’Europa Mediterranea”, n. 4, giugno 2010, Cagliari 2010.
 


[1] Cfr. Endika DE MOGROBEJO (ed.), Diccionario hispanoamericano de heráldica, onomástica y genealogía, vol. XIV, Editorial Mogrobejo-Zabala, Bilbao 1999, s.v. Zapata; Gran Enciclopedia Aragonesa, Zaragoza, 2000 (II ediz.), vol. XVI, s.v. Zapata, linaje de los.
[2] Cfr. Gregorio GARCÍA CIPRÉS, Datos curiosos para la historia del apellido Zapata, in “Linajes de Aragón”, VII, 4, 1916, pp. 73-78; Onofre ESQUERDO, Nobiliario valenciano cit., tomo I, pp. 253-274; José HINOJOSA MONTALVO, Diccionario de historia medieval del Reino de Valencia, tomo IV, Valencia, 2002, s. v. Zapata, pp. 457-459.
[3] Cfr. Alonso LOPEZ DE HARO, Nobiliario genealogico de los reyes i titulos de España, parte segunda, Madrid, 1622, pp. 220-228.
[4] Cfr. Alonso LOPEZ DE HARO, Nobiliario genealogico de los reyes i titulos de España, parte segunda, Madrid 1622, pp. 220-228; Gregorio GARCÍA CIPRÉS, Datos curiosos para la historia del apellido Zapata, in “Linajes de Aragón”, VII, 4, 1916, pp. 73-78; GEA, s.v. Zapata, linaje de los; Endika DE MOGROBEJO (ed.), Diccionario hispanoamericano de heráldica, onomástica y genealogía, vol. XIV, s.v. Zapata.
[5] Cfr. Jéronimo ZURITA, Anales de Aragón cit., libro VI, cap. XLIII.
[6] Cfr. Francesco FLORIS, Feudi e feudatari in Sardegna, cit, vol. II, pp. 420-421.
[7] Cfr. Tomás SAENZ DE HARO, Los Zapata (1148-1340). Un ejemplo de aristocrazia local en la Rioja Baja durante la edad media, in José Ignacio DE LA IGLESIA DUARTE (coord.). Los espacios de poder en la España medieval, XII semana de Estudios Medievales (Nájera, 30 de julio al 3 de agosto de 2001), Instituto de Estudios Riojanos, Logroño, 2002, pp. 556, 569, 573-574.
[8] Cfr. Jéronimo ZURITA, Anales de Aragón cit., libro IX, cap. X.
[9] ACA, Real Cancillería, reg. 403, f. 116r (1327 luglio 27, Morella).
[10] ACA, Real Cancillería, reg. 398, f. 119v-121r (1325 aprile 16, Valenza).
[11] Cfr. Francesco FLORIS, Feudi e feudatari in Sardegna cit., vol. II, p. 420.
[12] Cfr. Pasquale TOLA, Codex Diplomaticus Sardiniae cit., tomo I, Parte seconda, sec. XIV, doc. XXXII, pp. 677-681; ACA, Real Cancillería, reg. 400, ff. 205r-212r.
[13] ACA, Real Cancillería, reg. 403, f. 110v-111v (1327 luglio 23, Morella).
[14] Cfr. Francesco FLORIS, Feudi e feudatari in Sardegna cit., vol. II, p. 420; Id., Dizionario delle famiglie nobili della Sardegna, Edizioni della Torre, Cagliari, 2009, vol. 2 (N-Z), p. 356, s. v. Zapata.
[15] ACA, Real Cancillería, reg. 513, f. 94r.
[16] Cfr. Francesco FLORIS, Feudi e feudatari in Sardegna cit., vol. II, p. 420; Id., Dizionario delle famiglie nobili, op. cit, vol. 2 (N-Z), p. 356, s. v. Zapata.

mercoledì 7 agosto 2013

La sconfitta di Guglielmo di Massa al fiume Frigido

La sconfitta di Guglielmo di Massa (Salusio IV Giudice di Cagliari)

di Sergio Sailis

Nel gennaio 1213 si ebbe l’epilogo della ormai pluriennale lotta tra Guglielmo Marchese di Massa appartenente al ceppo degli Obertenghi[1] (nonché Giudice di Cagliari con il titolo dinastico di Salusio IV e d’Arborea), e la fazione dei Visconti per il predominio politico nel Comune di Pisa e in Sardegna.

Nell’isola infatti il Marchese, dopo aver preso il potere nel giudicato di Cagliari nel 1187[2], qualche anno dopo nel 1195[3] o 1196[4] invade quello di Arborea e nel 1198-1200 quello di Gallura assieme a Comita di Torres[5]; la politica di Guglielmo quindi era volta al controllo totale dell’isola che perseguiva sia con l’uso delle armi che con mirate politiche matrimoniali che tenevano conto sia delle problematiche sarde che di quelle di più ampio respiro internazionale e intessendo una fitta rete di alleanze imperniate sulla benevolenza di Papa Innocenzo III. In prime nozze si sposò con Adelasia Malaspina e in seconde nozze con Guisiana (figlia di Guido Guerra III dei Conti Guidi importante feudatario toscano); lo stesso avvenne per le sue figlie, Benedetta (maritata con Barisone d’Arborea), Agnese (andata in moglie prima a Mariano II di Torres e, alla morte di questi, a Ranieri della Gherardesca di Bolgheri della famiglia Donoratico) e Preziosa (maritata con Ugo Ponç de Bas d’Arborea).

I Visconti per contrastare l’influenza politica che Guglielmo aveva assunto a Pisa (in quanto uno dei maggiori esponenti del partito anti-visconteo) cercano di colpire il Marchese direttamente al cuore dei suoi interessi e portano lo scontro direttamente in Sardegna così la Gallura nel 1207 entra nella loro orbita con il contestato matrimonio tra Lamberto Visconti e l’erede al trono giudicale, Elena di Gallura, scompaginando i piani dei vari attori in gioco ossia principalmente il papa Innocenzo III (che era quasi riuscito ad imporre il matrimonio con il proprio parente Trasamondo de Segni) e, nonostante avessero ormai desistito a causa delle pressioni papali, lo stesso Giudice cagliaritano (che dopo aver invaso il giudicato gallurese intendeva far sposare Elena con il proprio cognato Guglielmo Malaspina) e il Giudice di Torres Comita (che aveva invece avanzato la candidatura del proprio fratello Ittocorre).

Nel frattempo anche nel comune di Pisa si assiste ad una situazione di stallo istituzionale; le due fazioni che si contendevano il potere non erano in grado di prevalere l’una sull’altra né di procedere alla nomina delle cariche comunali per cui Guglielmo di Massa (sul quale incombevano peraltro dei pretestuosi procedimenti giudiziari intentati sia da privati che dal Comune per dei prestiti contratti in precedenza probabilmente per far fronte alle spese per la conquista del Giudicato di Cagliari) forse meditò che l’unica opzione ormai possibile fosse uno scontro armato e risolutivo[6].

Gli avvenimenti ci sono noti attraverso alcuni documenti, uno contemporaneo agli avvenimenti ed un altro posteriore di circa due secoli.
Il primo è il così detto “Ritmo Volgare Lucchese del 1213” (scritto parte in latino e parte in volgare) qui trascritto nella versione del De Bartholomaeis[7]:

“In nomine Domini, Amen. In M.CC.XIIJ, existentibus consulibus Rustichello di Pogio et Albertino Sofreducii et sociis maioribus, per Crucis triumfum fuit sconfictus Marchio Guilielmus Sardus cum flore peditum et militum Civitatis Pisane et districtus, et peditum et militum Pistoriensium, et comitis Guidonis Guerre, et totius comitatus Lunensis et maxime Massa del Marchese, et quasi omnes nobiles Val d' Ere et di Val d'Arno et di Val d'Elsa et di Val d'Ebola et comitatus Volterre, a Civitate Luca et Rosso et Mediolombardo da Castello Aghinolfi, cum Rosso tantum estantibus nobilibus Gotifredo et Ubaldo Eldissi, Pisanis civibus, et filio Aldibrandi Bemboni et alio eorum militibus et filio Berlinghieri de Travalda et nobili nostro confolanerio Uguicionello de Monte Calvori, castellano abatis Sestensis.



Que sconficta fuit i[n] medio ianuario iusta Massam del Marchese uno miliario, albergariam faciente Luca al Fregioro. In qua sconficta captus fuit Rugerius comitis Guidonis filius cognatus Marchionis predicti, comes Gerardus di Pian di Porto, Lanfrancus Lazari de Pistorio, Mussus de Pistorio et Guittoncinus Sighiboldi, et alii .vj. de nobilioribus dicti Pistorii ; et omnes Luce missi in captuna. Item .v. de nobilioribus dicte Masse. Rossus vero et Mezolombardus habuerunt Graccum de Sala et .xij. de nobilioribus dictae Masse in eorum captuna. Et ultra .L. fuerunt alii qui malo more fuerunt tramanganati. Inter quos filius Gerardini Ghiandonis, qui cum esset a Marchionis parte, per Rolandum Ceci fu abatuto et Orlando ebb’ el cavallo. Similiter Guidarellus Barletti fa dal Marchese et [fu] abatuto.

Ma si fu tramanganato Guido Franchi che batté ne la nostra Moneta et or no fu sopra;

Ma come perdetero lor distrieri / cosi fussero rimasi prescioni / per li nostri cavallieri! / Altressì no fu sopra /Gualterotto Castagnacci / el Ronsinello Pagani; / ma per saramento fur distrecti / et ritornaro dai Christiani; / ma loro arme e lor cavalli / lassare dai Pagani. / In quello stesse rio segno / fu Orlandin da Sogromigno / che fu Guido et Guidarello. / Pegio non fu lo Garfagnino, / quei che non fu paladino, / filiolo di Guido Garfagnino. / Prese a torto confalone, / ka Luca l trasse di prescione; / e perciò quel mal portoe. / Mei lo portò Uguicionello, / quei che già no i fu Gainello, / ka Lucca aitò, la sua cittade, / in cui castello ten Christianitade. / Ebbevi l Vescovo un suo frate / che no diede delle spade; / fece sì come nimico; / di Lucca non fu unque amico; / perciò sempre fu mendico. / Stiano a mente, ben lo dico: / che a Lluca sempre sia schifato / e a Lucca sempre sia odiato; / aver di Lucca non i sia dato; / tolto i sia quel che a pilliato, / ka di Lucca l'à 'nvolato : / tutto fu dello sacrato! / Di lui e li altri sia vendetta! / Di ciò Lucca non s'afretta! / Veggio ch' end' arà disnore, / si no i punisce cum suo honore. / Punisca in prima li cittadini / ka metta mano ai contadini! / Dell' un faccia tal vendetta, / l'altro a casa non l'aspetta. / Alti altri affar ogn'on ten [ov]ra, / che già Lucca non s'[a]opra.”

Il secondo cronista che riporta della battaglia invece è il lucchese Sercambi (vissuto a cavallo tra il ‘300 e il ‘400) nella sua Cronica data alle stampe dal Bongi e che attinge da fonti diverse rispetto alla precedente[8]:

“XXX. COME LI CHAVALIERI DI LUCHA COMBACTÈONO CON MARCHEZI DA MASSA.

L' anno di .MCCXIII. fu la bactagla alla marina tra 'I marcheze Sardo e Orlando Truffe da Chastello Aghinolfi dall' una parte, e Bonifatio Rosso dall' altra parte. E il dicto marcheze mandò per Toschana e per Lombardia per chavalieri & pedoni, tanto che fecie grande exercito di Pisani, Fiorentini, Pistoresi, Valdarnesi et molti di Versigla, e 'l conte Guido e 'I figluolo & alquanti Porcharesi e alquanti Soffredinghi. Furono in numero di .V.c chavalieri. E com molti pedoni & arcieri. E allora guastaron lo chastello Aghinolfi e Monte Tignoso. Allora Bonifatio Rosso si sentio gravato dal marcheze, venne a Luccha elli e la mogle, e chiese aiuto, onde li Consoli di Luccha, ciò fu Alberto Soffreducci e Guillelmo Maluzi e Rustichello di Poggio & Bonagiunta Lamfredi e Gulliermo Chastagnaci, avuto loro comsilio, concedeono che qualunqua volesse andare in aiuto del dicto Bonifatio possa andare.

Allora v' andoe gente di Luccha, e fu loro capitano mess. Goctifredi Mosto di Pisa, & puoseno il campo in nel borgo di Branchagliano, e poi mutònno il campo al Frigido. E saputo il marcheze da Massa che i cavalieri di Luccha non erano .CC., di che elli prese comsiglio e diliberò di combattere, e l'altro die fu la bactagla e fu sconfìcto il marcheze Sardo da Massa e fu preso molta della sua gente, e fu preso lo buon chavalieri mess. Forte Pellari e Uberto Manchone e Albertino Consolo e Bernardo Maccha, e Uberto Fronde e Aldibrando Bozza e 'I figluolo del conte, e 'l figluolo di Lazzari de' Lazzari di Pistoia, con molti altri in numero di .LX. e de' Lucchesi funno presi .VIII.”

E’ nota anche un’altra cronaca tarda che però ci è di scarsa utilità per comprendere gli avvenimenti in quanto riprende la precitata cronaca del Sercambi ma che comunque riportiamo per completezza d'informazione[9]:

“Sardus, id regulo nomen, Massae Lunensi imperitabat. Is Aginulphum, Rolando Truffae in perduellionis poenam a Lucensi populo ademptum, ac Bonifacio Russo, ob egregiam in proelio ad Buram flumen navatam reipublicae operam traditum, armis aggressus, collectis ex Gallia Cisalpina Etruriaque universa copiis, magnum peditum ballistariorumque numerum sub signis coegit. Praeter validam quingentorum equitum manum e flore Tusciae nobilitatis: inter quos Porcarienses et Suffreducii Lucensium exules, privatum dolorem, patriae clade ultum ibant. lamque Aginulpho Ignosoque uno impetu captis direptisque, victor Sardus discebat, cum Russus implorata Lucensium fide bellum instauravit. Quippe Robertus Soffreducius, Gulielmus Malugius, Rustichellus Podius, Buonagiunta Lanfredus et Guglielmus Castanacius qui tunc consulatum Lucae gerebant, egregium rati, si clientem ac supplicem defendissent, vitato populi nomine, quem implicari tunc bello minime expediebat, edixere nemini privato fraudi futurum, qui suis consiliis, opibusque Russum iuvisset: modo ne quod Lucensis populi vexillum aut nomen praeferretur. Certatim in eam expeditionem nomina dedere. Profectique duce Gaufrido Mosca pisano exule, primo ad Vicum Brancalianuni, deinde ad amnem Frigidum castra locavere. Sardus maiore suorum numero confisus, cum Lucensem equitatum ducentos non excedere comperisset, pugnam minime detractavit. Sed quod numero decorat, virtute suppletum, tantisque animis viribusque a Lucensibus pugnatum, ut hostes passim fusi fugative terga verterent. Ad sexaginta e primoribus capti; inter quos Fortes Pellarius equestris ordinis, Ubertus Mancho, Albertinus Consul, Bernardus Manchus aliique clari viri; cum e Lucensibus octo tantum in hostium potestatem venissent.”

L’insieme di questi resoconti ci consente di comprendere la variegata, e a tratti confusa, composizione dei due eserciti contrapposti nei quali, almeno ufficialmente, non sono però presenti ne Comune di Pisa e ne quello di Lucca.

L’occasione per la resa dei conti si ebbe nel 1212 quando Guglielmo di Massa dopo aver raccolto le sue truppe si porta al castello di Aghinolfi di Montignoso (importante fortificazione di origine longobarda sita circa 4 km a sud est di Massa posta in posizione dominante sulla via francigena) che viene distrutto; i feudatari, i fratelli Bonifacio Rosso e Mezzolombardo, si rivolsero pertanto a Lucca chiedendo (e ottenendo) aiuti militari anche se, come accennato, senza il coinvolgimento ufficiale del Comune.

L’esercito lucchese in un primo momento si accampò nei pressi di Brancagliano (nei pressi di Pietrasanta) e a metà di gennaio del 1213 entrò in contatto con le truppe di Guglielmo nei pressi del fiume Frigido a circa un miglio da Massa.

Da una parte dunque il Giudice Guglielmo (nelle cui file militavano circa 500 cavalieri oltre a fanti e arcieri) con i pisani, i pistoiesi, i massesi, fuoriusciti lucchesi, il suocero conte Guido Guerra dei conti Guidi (con suo figlio Ruggero che viene fatto prigioniero) e altri combattenti da varie zone della Toscana e nord Italia oltre a Orlando (o Rolando) di Truffa fratello dei castellani di Aghinolfi e con questi in dissidio proprio a causa del Castello di Aghinolfi in precedenza sottratogli proprio grazie all’intervento di Lucca. Nelle cronache non sono segnalati combattenti provenienti dai possedimenti sardi ma non sarebbe strano che abbiano partecipato alcuni dei più fedeli “majorales” isolani come d’altronde alcuni erano presenti qualche decennio dopo al seguito di Re Enzo nelle campagne militari nella penisola. Dall’altra parte, al comando di Gottifredo Musto Visconti, erano raccolti i lucchesi, i castellani di Aghinolfi, i fuoriusciti pisani e vari castellani toscani complessivamente circa 200 cavalieri oltre a fanti e arcieri.

L’esercito del Marchese, nonostante fosse decisamente superiore numericamente, viene però sconfitto dagli avversari; Guglielmo, pur essendosi, sembra, comportato valorosamente sul campo di battaglia, non può far altro che ritirarsi, forse in Sardegna, lasciando mano libera ai suoi avversari che in seguito a Pisa riescono a far nominare un governo di quattro magistrati denominato “rectores pisane civitatis” dei quali uno sicuramente della consorteria dei Visconti.

Guglielmo morirà nel mese di gennaio o di febbraio del 1214 (e comunque sicuramente entro maggio) lasciando il trono giudicale alla figlia Benedetta[10] che di lì a poco sarà anch’essa oggetto delle mire viscontee e costretta a sposare prima il Giudice di Gallura Lamberto (matrimonio poi annullato dal Papa) ed in seguito Ubaldo Visconti nonchè a cedere la collina su cui verrà fondato il “Castellum Castri de Kallari” destinato a diventare il fulcro del potere pisano nell’isola; il suo principale avversario invece, Ubaldo Visconti, tesaurizza la vittoria sul Marchese e, dopo aver assunto la carica di podestà di Siena, nel marzo del 1215 verrà eletto podestà di Pisa[11] sancendo la sconfitta della fazione avversa.



[1] Mauro RONZANI, Guglielmo di Massa in Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 61 (2004).
[2] Guglielmo era figlio di Giorgia de Lacon-Gunale, figlia di Costantino Salusio III Giudice di Cagliari. Nel 1187 con truppe assoldate in Toscana spodestò il Giudice Pietro che fù costretto a riparare in Logudoro.
[3] Maurizio VIRDIS, Il Condaghe di Santa Maria di Bonarcado, Monastir 2002, pag. LVIII. Cfr. Eduardo BLASCO FERRER, Crestomazia sarda dei primi secoli - vol. I, Officina linguistica anno IV - n. 4, Nuoro 2003, pag. 80.
[4] Mauro G. SANNA, Il giudicato di Arborea e la Sardegna tra la fine del XII e gli inizi del XIII secolo. Aspetti storici, pag. 8; a stampa in Chiesa, potere politico e cultura in Sardegna dall'età giudicale al Settecento. Atti del 2° Convegno Internazionale di Studi, Oristano, 7-10 dicembre 2000, a cura di G. MELE, pp. 415-438, Oristano 2005.
[5] Mauro G. SANNA, Il giudicato di Arborea e la Sardegna tra la fine del XII e gli inizi del XIII secolo. Aspetti storici. pag. 10. Cfr. Mauro G. SANNA, La Gallura in epoca medievale: 1. Storia politico-istituzionale della Gallura medievale in La Gallura, una regione diversa in Sardegna: cultura e civiltà del popolo gallurese, San Teodoro 2001 pag. 115. Cfr. Mauro G. SANNA, Innocenzo III e la Sardegna, Monastir 2003, pag. XLVI.
[6] Per una disamina sullo scontro politico in atto nel periodo sia in Sardegna che a Pisa a titolo esemplificativo tra gli altri Cfr. Enrico BESTA, La Sardegna medioevale, (edizione anastatica - Palermo 1908-1909), Bologna 2000. Cfr. Alberto BOSCOLO, Sardegna, Pisa e Genova nel medioevo, Genova 1978. Cfr. Sandro PETRUCCI, Re in Sardegna, a Pisa cittadini, Bologna 1988, e più recentemente Corrado ZEDDA, L'ultima illusione mediterranea. Il Comune di Pisa, il Regno di Gallura e la Sardegna nell'età di Dante, Cagliari 2006, pag. 45 e segg. e, soprattutto per quanto riguarda le vicende di Guglielmo, cfr. Raimondo PINNA, Santa Igia. La città del Giudice Guglielmo, Cagliari 2010. Per i rapporti tra i Giudici sardi ed il papa Innocenzo III cfr. Mauro G. SANNA, Innocenzo III e la Sardegna, Monastir 2003 mentre per gli sviluppi successivi alla morte di Guglielmo cfr. Mauro G. SANNA, Papato e Sardegna durante il pontificato di Onorio III (1216-1227), Raleigh (USA) 2012.
[7] Vincenzo De Bartholomaeis, “Ritmo Volgare Lucchese del 1213”, Città di Castello 1914. Cfr. l’edizione quasi contemporanea di Amedeo Crivellucci, “Una cantilena storica in volgare del principio del sec. XIII” in Studi Storici vol. XII fasc. II, Pavia 1914.
[8] Le Croniche di Giovanni Sercambi Lucchese, a cura di Salvatore BONGI, vol. I, in Fonti per la Storia d’Italia pubblicate dall’Istituto Storico Italiano, Lucca 1892, pag. 15.
[9] Bartolomeo BEVERINI, Annales ab origine Lucensis Urbis, T. I, Lucca 1829 pag. 295
[10] Francesco ARTIZZU, Benedetta di Massa, Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 8 (1966)
[11] Corrado ZEDDA-Raimondo PINNA, Fra Santa Igia e il Castro Novo Montis de Castro. La questione giuridica urbanistica a Cagliari all'inizio del XIII secolo, edizione elettronica in Archivio Storico e Giuridico Sardo di Sassari nuova serie N. 15/2010,  Sassari 2010, pag. 133. cfr. Raimondo PINNA, Santa Igia. La città del Giudice Guglielmo, Cagliari 2010, pag. 115.