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martedì 10 aprile 2018

1284, richiesta intercessione a Mariano II d'Arborea da parte di Pietro III il Grande

1284, richiesta intercessione a Mariano II d'Arborea da parte di Pietro III il Grande
di Sergio Sailis

Accadeva il 10 aprile 1284. Quando il bonifaciano “Regno di Sardegna e Corsica” era ancora da divenire, i rapporti commerciali e diplomatici tra Pisa e Aragona erano improntati ad una reciproca collaborazione sia nelle acque del Mediterraneo che sulla terraferma; questi rapporti amichevoli risalivano all’epoca della spedizione su Maiorca con i trattati sottoscritti dal conte Raimondo Berengario III nel 1113, confermati da re Giacomo I nel 1233 e successivamente da re Pietro III il Grande nel 1263 e poi il 26 giugno 1277 (dove peraltro, reiterando i precedenti privilegi ai pisani, il sovrano chiedeva fosse riservato ai barcellonesi e ai suoi sudditi uguale trattamento sia a Pisa che in Sardegna ed in modo particolare a Cagliari).

Nonostante questi accordi però non erano infrequenti vicendevoli atti di pirateria. Uno di questi si verificò proprio nelle acque di Cagliari dove i pisani catturarono due galee catalane provenienti dalla Sicilia uccidendo diversi uomini e catturandone degli altri che vennero imprigionati a Cagliari. Successivamente gli stessi pisani effettuarono altri attacchi nell’isola di Maiorca e catturarono altri vascelli e merci appartenenti a sudditi di Pietro III.

Forse il fatto è poco noto ma per dirimere la questione con il comune toscano il sovrano aragonese richiese l’intervento di un’importante figura del medioevo sardo: Mariano II d’Arborea. Pietro il Grande infatti (richiamando antichi legami di sangue con la casata dei Bas) il 10 aprile 1284 scriveva al sovrano arborense “viro nobili dompno Mariano, iudici Arboree, dilecto affini suo” esternando la sua meraviglia per questi atti ostili da parte pisana e nel contempo chiedeva appunto l’intervento del Giudice per liberare le due galere, le merci e i prigionieri catturati a Cagliari.

Questa richiesta aragonese evidenzia, se mai ce ne fosse bisogno, la centralità politica assunta da Mariano II in quel periodo (tra l’altro fornì dei contingenti armati anche allo stesso Pietro); grazie alle sue disponibilità finanziarie e alla sua intraprendenza era infatti diventato un protagonista indiscusso delle vicende sarde (ma anche a Pisa, dove possedeva molti beni, si era creato una cerchia di potenti e influenti amicizie) contrastando efficacemente nell’isola sia l’espansionismo genovese che l’attività di Ugolino della Gherardesca (e dei suoi figli) e dei Visconti in rotta con il comune toscano.

venerdì 23 giugno 2017

1335, Portu de Sila e Portu Maiore

1335, Portu de Sila e Portu Maiore
(di Sergio Sailis)

E poi capita che il Tola, l’illustre studioso ottocentesco, cui ovviamente hanno fatto riferimento generazioni di storici isolani, nel trascrivere un documento – probabilmente utilizzando una copia scorretta - riporti alcuni toponimi trexentesi in un modo alquanto singolare: si tratta delle ville di “Portu de Sila” (Guasila), “Portu Maiore” (Guamaggiore), “Gelega” (Selegas) e “Gegaria” (Segariu). Volendo di proposito tralasciare i commenti sulle lettere iniziali degli ultimi due villaggi, risulta alquanto più problematica la presenza della parola “Portu” nei primi due toponimi in quanto sarebbe l’unica attestazione nota al posto del tradizionale “Goy” e varianti.

Spinto dalla curiosità (essendo i villaggi al centro della Sardegna e lontano da corsi d’acqua navigabili) uno si mette quindi a studiare la possibile derivazione di questa insolita variante risalendo anche agli usi che del vocabolo “portus” si faceva nell’antica Roma e arrivando persino ad una che potrebbe sembrare una soluzione plausibile. E poi cosa scopre?

Scopre che finalmente rintraccia il documento originale riportato dallo studioso e che nello stesso la parola “Portu” semplicemente non esiste mentre invece è riportato il più classico, ben noto e solito lemma “Goy”.

Non che il tempo passato a studiare le possibili implicazioni del termine sia stato tempo sprecato in quanto non si finisce mai di conoscere ma, bonariamente e ironicamente mi viene da dire alla maniera sardesca: “Oh Tola, ma bai a ...................”.

Lasciando ora gli argomenti semiseri e tornando al documento in esame, o meglio la serie di documenti, questi sono l’esito di alcune proteste che Bando Bonconti e Puccio della Vacca (rispettivamente vicario e camerario del Comune pisano per le Curatorie di Gippi e Trexenta) rivolgono nel maggio del 1335 al Governatore generale del Regno di Sardegna e Corsica, Ramon de Cardona, e le risposte inviate da quest’ultimo.

A seguito delle rivolte dei Doria nel nord Sardegna infatti il Governatore aveva imposto una serie di tributi (per la compartecipazione alle spese di guerra) anche alla Curatoria di Gippi e ai quattro villaggi prima citati appartenenti alla Curatoria di Trexenta, curatorie che il Comune pisano amministrava in feudo a seguito della pace del 1326.

Una delle clausole della pace e della conseguente infeudazione prevedeva espressamente che il Comune fosse esentato da qualsiasi tipo di tributo per cui le richieste aragonesi erano prive di fondamento giuridico ed un’evidente prevaricazione sui diritti di Pisa. Da qui le rimostranze degli ufficiali pisani e una serie di risposte e contro repliche con il Governatore ma alla fine ovviamente prevale sempre chi ha maggior potere contrattuale: anche per le due curatorie ancora in mano a Pisa si dovranno pagare i contributi richiesti perché le casse reali sono desolatamente vuote. Con buona pace del Diritto!

lunedì 22 maggio 2017

1313, la Sardegna nel bilancio di Pisa

1313, la Sardegna nel bilancio di Pisa
(di Sergio Sailis)


Ma economicamente quanto era importante la Sardegna per Pisa?

Nella tabella che segue sono esposte le entrate e le uscite del bilancio del Comune per l'anno 1313. Come si vede la Sardegna incide per oltre il 40% delle entrate del Comune e le uscite (relative agli stipendi di 25 cavalieri e 120 fanti per il Giudicato di Cagliari e di 25 cavalieri e 55 fanti per il Giudicato di Gallura) erano decisamente basse. Il contrario di quanto avverrà successivamente nel periodo catalano-aragonese durante il quale le rendite erano in massima parte appannaggio dei feudatari mentre la Corona dovrà sopportare enormi spese per mantenere l'imponente impianto burocratico e, soprattutto, le continue spese militari.
Rielaborazione tabella dello scrivente su dati Doenniges 1839 / Violante 1980.

Dalla tabella precedente si può quindi intuire il perché Pisa, qualche anno dopo, non lesinò l'impiego di ingenti risorse umane e finanziarie per difendere l'isola dai catalano-aragonesi.