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martedì 10 gennaio 2017

1256, Prodromi della scomparsa del Giudicato di Cagliari

1256, Prodromi della scomparsa del Giudicato di Cagliari
di Sergio Sailis

 
Tra la fine del 1255 e l’inizio del 1256 il Comune di Pisa invia in Sardegna Ranieri Marsubilia in qualità di ambasciatore. Il 31 dicembre 1255 lo troviamo presso il monastero di S.Maria di Bonarcado dove intima a Guglielmo di Capraia Giudice d’Arborea di fornire a Pisa 25 uomini a cavallo armati ed equipaggiati.
Ordine impartito a Guglielmo di Capraia
 di fornire a Pisa 25 uomini armati
Il successivo 10 gennaio invece Ranieri Marsubilia lo troviamo a Cagliari dove intima ai pisani ivi residenti di fornire tutti gli aiuti di cui necessitavano il castellano e gli Anziani della città. Poiché nei mesi precedenti il cambio di politica di Giovanni Marchese di Massa e Giudice di Cagliari (che si era avvicinato a Genova) aveva destato più di una preoccupazione nel comune toscano, ordinava che tutti i partigiani del Giudice cagliaritano lasciassero Castello di Castro. Lo stesso giorno ed il successivo 12 gennaio inoltre intimava al castellano e agli Anziani della città di impedire agli abitanti del castello di militare in alcun esercito (ovviamente escluso quello pisano) e di proibire che gli stessi si facessero vassalli dei signori di Sardegna.
Queste preoccupazioni derivavano dal fatto che negli anni immediatamente precedenti Pisa era stata in balia delle fazioni contrapposte dei Visconti e dei Donoratico i quali, come noto, erano molto influenti anche in Sardegna. A questo si aggiungeva anche il fatto che Genova mirava ad espandere la propria sfera d’influenza e, come accennato in precedenza, per Cagliari stava stringendo accordi con il Giudice Giovanni (Chiano) di Massa che si concretizzarono il 20 aprile del 1256 con un trattato (ratificato dalle parti il 25 maggio) mediante il quale il Giudice (riassumendo) assumeva la cittadinanza genovese in cambio della cessione di Castel di Castro ai genovesi, di aiuti militari, per i quali si accollava le spese per il primo anno, oltre a varie altre agevolazioni commerciali e logistiche.
Il povero Chiano però da li a qualche mese (tra luglio e ottobre) verrà sconfitto e ucciso dalla coalizione organizzata dal comune pisano ed il Giudicato di Cagliari cesserà di esistere come entità statuale unitaria. Il suo territorio verrà infatti spartito tra i coalizzati (Guglielmo di Capraia giudice d’Arborea, Giovanni Visconti giudice di Gallura, Ugolino e Gherardo della Gherardesca conte di Donoratico e il Comune di Pisa che si terrà Castel di Castro) e, secondo una cronaca medievale, sul suo corpo martoriato Giovanni Visconti nominerà alcuni cavalieri tra i quali lo stesso Gherardo della Gherardesca (S.S.)

giovedì 15 dicembre 2016

La quadripartizione della Sardegna giudicale

La quadripartizione della Sardegna giudicale

di Sergio Sailis

La prima testimonianza scritta relativa alla suddivisione della Sardegna in quattro Giudicati è quasi sicuramente una lettera scritta a Capua il 14 ottobre del 1073[1].


Con questa missiva Papa Gregorio VII si rivolge a Mariano (Giudice di Torres), Orzocco (Giudice d’Arborea), Orzocco (Giudice di Cagliari) e Costantino (Giudice di Gallura) ammonendoli affinché si sottomettano agli insegnamenti della Chiesa cattolica.





img. di Gregorio VII
“GREGORIUS episcopus servus servorum Dei Mariano Turrensi, Orzocco Arborensi, item Orzocco Caralitano, Constantino Callurensi, iudicibus Sardinie, salutem et apostolicam benedictionem.

Vobis et omnibus, qui Christum venerantur, cognitum est, quod Romana ecclesia universalis mater sit omnium christianorurn. Que licet ex consideratione officii sui omnium gentium saluti debeat invigilare, specialem tamen et quodammodo privatam vobis sollicitudinem oportet eam impendere. Verum quia neglegentia antecessorum nostrorum caritas illa friguit, que antiquis temporibus inter Romanam ecclesiam et gentem vestram fuit, in tantum a nobis plus quam gentes, que sunt in fine mundi, vos extraneos fecistis, ut Christiana religio inter vos ad maximum detrimentum devenit. Unde multum vobis necessarium est, ut de salute animarum vestrarum studiosius amodo cogitetis et matrem vestram Romanam ecclesiam sicut legitimi filii recognoscatis et eam devotionem, quam antiqui parentes vestri sibi impenderunt, vos quoque impendatis. Nostri autem desiderii est non solum de liberatione animarum vestrarum curam velle habere, sed etiam de salvatione patrie vestre sollicitius invigilare. Unde si verba nostra, sicut decet, devoti receperitis, gloriam et honorem in presenti et in futura vita obtinebitis. Quodsi aliter, quod non speramus, feceritis et ad sonum exhortationis nostre aurem debite obedientie non inclinaveritis, non nostre incurie sed veste poteritis culpe imputare, si quid periculi patrie vestre contigerit. Cetera, que de salute et honore vestro tractamus, magna ex parte confratri nostro Constantino Turrensi archiepiscopo vobis referenda commisimus. At cum legatus noster, quem Deo annuente in proximo mittere disponimus, ad vos venerit, voluntatem nostram pleniter vobis significabit et, quod glorie et honori vestro condecet, apertius enarrabit. Data Capue II. ldus Octobris, Indictione XII.”




[1] Erich CASPAR, Das register Gregors VII, Epistolae Selectae in usum scholarum ex Monumentis Germaniae Historicis, tomus II, fasciculus I, Gregorii VII registrum lib. I-IV, Berlino 1920, pag. 46-47. Cfr. Olivetta SCHENA-Sergio TOGNETTI, La Sardegna medievale nel contesto italiano e mediterraneo (secc. XI-XV), Storia medioevale, Strumenti e sussidi, n. 5, Milano 2011, pag. 31.

giovedì 5 maggio 2016

1412, il fallito colpo di mano su Alghero

1412, il fallito colpo di mano su Alghero
di Sergio Sailis
Una serie di versi scritti in catalano (dei quali ne riportiamo alcuni passi nella versione a cura di M.A. Roca Mussons) ci narrano di un tragico fatto d’armi accaduto 604 anni orsono la notte tra il 5 e il 6 maggio 1412. Guglielmo Visconte di Narbona e Giudice d’Arborea infatti, alla testa di un contingente composto da francesi e sassaresi, approfittando delle tenebre tenta un colpo di mano su Alghero, munito baluardo catalano-aragonese. Gli aggressori riescono a scalare le mura e penetrare all’interno della città ma l’audace impresa fallisce a causa della pronta ed energica reazione dei difensori catalani e degli abitanti (comprese le donne) che costringono gli assalitori alla fuga facendo loro subire numerose perdite tra morti e prigionieri.

O visconte de narbona / Be haveu mala Raho / devos escalar la terra / del molt alt Rey de Arago.

Escalada la aveu sens falla / mes lo Alguer be hos ha costat / los millors homes de armes / los llurs caps y han dexiat / ab molta ballestraria / y vergadas ab baldo / Dient Muiranlos françesos / que nos hanfet la traiçio / del molt alt Rey de Arago.


O Visconte di Narbona / avete proprio torto / di scalare voi la terra / dell' Altissimo Re di Aragona.

L'avete scalata senza torcia / ma Alghero molto vi è costata / i migliori uomini d'arme / v'hanno lasciato le loro teste / per la molta balestreria / e vergate di ferro / dicendo muoiano i francesi / che hanno fatto tradimento / all' Altissimo Re di Aragona.



(img. da Froissart relativa alla Guerra dei Cent’Anni 
dove Guglielmo di Narbona in seguito agli avvenimenti 
sardi riuscirà a ritagliarsi uno spazio importante sino a trovare 
la morte in battaglia)

Tra i personaggi di spicco catturati dai catalani durante il fallito assalto figura il “bastart de Saboya” ossia Umberto di Savoia (cugino Amedeo VII di Savoia il famoso Conte Rosso) che, nonostante la sua condizione sociale, subirà prima una disonorevole impiccagione - alla stregua di un ladro comune - e successivamente verrà decollato in una piazza della città.

Enlo Bastart de Saboya / no hos y Cal pus esperar / que Gia mes CastelIs ni viIas / no veureu pus escalar / puix que en lo Alguer sens falla / pengiat lo han Com un lIadro / y tolta li han la testa / lo endema dela açensio.


Nel Bastardo di Savoia / non dovete più sperare / che mai non scalerà più / né castelli né ville / poi che in Alghero con disonore / l'hanno impiccato come un ladro / e gli hanno tagliato la testa / l'indomani dell'Ascensione.


Finisce così tragicamente e ingloriosamente l’avventura sarda di un esponente (seppur non di primo piano) della famiglia Savoia la quale, curiosità del destino, circa trecento anni dopo cingerà la corona del Regno di Sardegna.

lunedì 13 aprile 2015

Mariano IV d’Arborea Conte del Goceano

Mariano IV d’Arborea Conte del Goceano
di Sergio Sailis

 Il 6 ottobre del 1339 Pietro IV d’Aragona insignisce Mariano IV d’Arborea della dignità comitale di Conte del Goceano[1].


A.C.A., Real Cancelleria, Carte Reali, Pietro III, n. 0923

Questo territorio era comunque già sotto il controllo arborense da diversi decenni; i Giudici infatti ne disponevano a loro piacimento ed era già stato in precedenza destinato da Ugone II a Mariano in qualità di figlio cadetto. Questa volontà era stata del resto confermata nel testamento dello stesso Ugone[2] del 4 aprile 1335 (1336 secondo lo stile pisano) dove appunto si legge:

"Item confirmamus approbamus et ex certa scientia retificamus omnia privilegia facta et concessa per nos egregio Mariano de Arborea dillecto filio nostro dominique Ucciani et Marmille de dicti castris curatoriis eorum et villis omnibus et de omnibus aliis que subì quocumque titolo concessimus prout et sicut in Mariani privilegiis et per nos ei concessi et cum omnibus juribus et pertinentiis eorum plenius et lacius continetur."

Ciononostante quando il 15 luglio 1347, proprio dal Castello di Goceano, Mariano IV, in qualità di “Iudex Arboree, Comes Gociani et Vicecomes de Basso”, rilascia la procura a Arnau Ballester e a Galceran Marguet affinchè in suo nome e conto prestassero giuramento di fedeltà e vassallaggio dinnanzi a Pietro IV lo faceva: “… pro Judicatu Arboree et allis terris Ciuituibus Castris locis et villis quem et quas in Insula Sardinie predicti pater et frater sui tenebant in feudum sub annuo servitio seu censu trium milium folrenorum a supradicto domino Rege et a predecessoribus suis …”[3]
trascrizione a cura di Josefina Mateu Ibars, María Dolores Mateu Ibars,
in Colectánea paleográfica de la Corona de Aragón I, pag. 741
I due sovrani, entrambi cresciuti ed educati alla corte barcellonese, da qui a una quindicina d’anni diventeranno acerrimi nemici e i due stati si combatteranno per lunghi decenni che porteranno la Sardegna alla definitiva sconfitta ed all’incorporazione nella Corona d’Aragona che a sua volta finirà per essere fagocitata dalla nascente potenza spagnola.

L’inasprimento dei rapporti comportò conseguentemente anche il rigetto da parte arborense di una sottomissione feudale nei confronti del Re d’Aragona accettata dai precedenti Giudici[4] tant’è che dopo la morte di Mariano il marito di Eleonora, Brancaleone Doria, nel 1392 nel rifiutare la supremazia del re affermava che: “(la senyoria) no la tenim ne havem hauda ne del rey ne de regina, e no som tenguts a rey ne a regina, axi com eren los dits barons de Sicilia, abans de la dita senyoria e domini obtenim per madona Elionor, nostra muller, que és jutgessa d'Arborea e filla e succehidora per son pare en lo jutgat d'Arborea, la qual Casa d'Arborea ha D anys que ha hauda senyoria en la present illa”.
 



[1] A.C.A., Real Cancelleria, Carte Reali, Pietro III, n. 0923
[2] Pasquale TOLA, Codex diplomaticus Sardiniae tomo I p.2, (ristampa anastatica Torino 1861), Roma 1984, sec. XIV, doc. XLVIII, pag. 703.
[3] A.C.A., Real Cancelleria, Carte Reali, Pietro III, n. 1407.
[4] Concessione in feudo, da parte dell’infante Alfonso, del Giudicato d’Arborea a Ugone II del 5 luglio 1323 durante l’assedio di Iglesias in Pasquale TOLA, Codex diplomaticus Sardiniae tomo I p.2, (ristampa anastatica Torino 1861), Roma 1984, doc. XXI, pagg. 669-671 e ibidem doc. XL, pagg. 690-691 per la successiva riconferma del 1 maggio 1328 per mezzo di Pietro, primogenito di Mariano, in qualità di procuratore.




 

 

lunedì 22 luglio 2013

Trattato di pace del 1206 tra i Giudicati di Cagliari e d'Arborea

Trattato di pace del 1206 tra il Giudicato di Cagliari e quello di Arborea
di Sergio Sailis
 
Nel 1206 tra Guglielmo di Massa e Ugo I di Bas-Serra di Arborea viene sottoscritto un accordo in base al quale una parte del territorio arborense viene incorporato nel Giudicato di Cagliari . In particolare, per la zona che ci interessa in questa sede, i confini tra i due giudicati in questo documento vengono fissati qualche km più a nord di Villamar nei pressi di ”Sancta Maria de Sinnas de Maara” da identificarsi con la chiesa di Santa Maria di Monserrat nei pressi del Riu Mannu  mentre secondo la “Donazione della Trexenta” più o meno coeva (1218 o 1219 secondo lo stile pisano) passavano in prossimità degli attuali limiti territoriali degli odierni comuni di Guasila e Villamar appoggiandosi all’alveo del torrente Lanessi.
Da mettere in evidenza inoltre che tra i testimoni oltre a vari vescovi isolani e vari altri personaggi sardi, pisani e catalani sono presenti anche, tra i “liurus de Kalaris” diversi notabili con interessi particolari e cariche di prestigio “quale per esempio Curatore della Trexenta) che risultano attori o testimoni (quasi sempre indicati con il titolo di Donnu) in numerosi documenti dello stesso periodo editi dal Solmi tra le carte volgari dell’Archivio arcivescovile di Cagliari .
Il testo del trattato in esame è il seguente:
In Nomine domini nostri Iesu Christi, Amen.
Ego Guilielmu Marchesu de Massa, per isa gratia de Deu Iudigi de Kalaris, clamandu-mi Iudigi Salusi, cun boluntadi de Deus et de totu sus sanctos et sanctas Dei Amen, et cun boluntadi de mugleri mia donna Guisiana et de figlias mias, donnigella Benedicta, et donnigella Agnesa.
Et Ego Hugo per isa gratia de Deus Visconte de Bassu et Iuigui de Arborea, cum boluntadi de Deus et de totu sus sanctos et sanctas Dei Amen, et cum boluntadi de mugleri mia donna Preciosa de Lacon, faguimus cartas impari de sas sinnas et confinis de Kalaris et de Arborei. Repartirus inpari et segarus, Ego Guilielmu Marchesu de Massa et Iudigui de Kalaris, et Ego Hugo Visconte de Bassu et Iudigui de Arborei, cum boluntadi de sus Archiebiscobus et Piscobus et liurus d’ambus logus, po gi stint impari et in beni ambus logus Kalaris et Arborei. Tenerus sinnos dava Puçu d’Idalu et calarus cum sinnas derectu ad Oiastru Solus, et calarus deretu a sa Corte dessa Pedra Recta in Monte Tufadu; ressit derectu a Tupa de Piga, et calaus daretu a Pedras [.......] de Genna de Pirastru, et calaus daretu a Gutur d’Argada, et calarus inuvi inter sa Binia et Nurechi, et calarus totui s’orroia inter Su ’e Turri et Sancta Maria de Sinnas de Maara; et benerus inter muru de Donnigallu et issa domestia de Baniu de Baressa ilassando-lla a manu destra intru de Arbarei; et essit totui s’erriu derectu ad Sanctu Iorgi de Sinnas, et bennirus totui s’erriu derectu assa Funtana de Sissoni, et benerus derectu ad Cucuru de Stipoi, et calarus serra serra lassando ad manu destra s’erriu intru de Arbarei, et calarus totui s’erriu s’erriu ad serras de Masoni de Iustu, et calarus erriu erriu infini a sa bia ki baet dae Sellori et Sanctu Gavinu, et uvi est sa Pedra Fita ki si clamat Pedra de Miliariu; et calarus sa bia sa bia derectu a Giba de Onidi, et benirus derectu a Pedra Pertunta, et benirus deretu ad Pedras de Regos, lasandu a manu destra intru de Arborei ad Pischina de Moiu, et benirus derectu a su Bruncu de Bialana, et daindi benirus derectu a Giba de Saraginus, et callarus derectu ad Orruina de Castula, et daindi callarus s’orroia s’orroia de Funtana de Colora, et calarus derectu assa Bia de Pedras de Fraus, et callarus a sa Bia dess’Arburi de Uvimali; et dainde callarus sa bia sa bia de Fenuglei de Pedredu de Mau, et esirus derectu a sa Giba de sa Ruina, et benirus derectu a Giba de Muteglu de Binias de Mau, et benirus serra serra de Binias de Mau derectu a sa Genna de Saronai; et callarus derectu ad Funtana d’Ebas, et bennirus derectu ad Genna de Scala, et daindi bennirus derectu assa Sella de sa Pedra Alba et bennirus derectu a Bruncu de sas Luas, et bennirus derectu a Figu Torta, derectu a sa Serra d’Aleci, derectu assu monte de Sanctu Miali de Monte Virdis; et daindi bennirus ad Genna de Falaberxe, et callarus derectu ad Genna de Magu, et bennerus derectu ad ella, lassando Sos Porchilis intru d’Arbarei; et bennirus derectu a Genna de Bia Uscu, derectu a Genna de Maalarius, et daindi bennirus ad Gutur de Gurgolas, et bennirus derectu a Gidili de Crumone, et daindi benirus ad Erba Bona, et benerus derectu ad Tinni, remanendu Sus Porcilis intru de Arborei, et daindi bennirus ad Planu de Suvera derectu ad Cucuru de Simoi, et essirus derectu ad Genna de Candelaçu, et bennirus derectu a sa Scala de Candalaçu, et callarus ad Serra de Suerio, et daindi bennerus ad Genna de Pedras, et essirus derectu a Pauli, et bennerus derectu ad Piçu de Manurechi, derectu ad Planu de Mollici, et daindi bennirus assu Monte de Candelaçu, et callarus derectu ass’Ariola de Candelaçus, et benerus derectu ad Pedra Cuada derectu a sa costa de Monte Niellu, lasando su monte cum sas Funtanas ad manu destra intru d’Arbarei, et benerus derectu ad Serra de Fenu derectu a sa Scala de Bugerru, et clonperus a mari.
Et Ego Guilielmu Marquesu de Massa, per isa gratia de Deus Iudigi de Kalaris, iuro ad sancta Dei Evangelia d’arreere firmas et de mantenne custas sinnas, segundu in co las appo partidas cum donno Hugo Visconte de Bassu et Iudigi d’Arborei, genuru miu, et bogliu qui siant firmas et stabilis usque im perpetuum in co sunt scritas in custa carta, et pognu-ibi sa bulla mia de su Regnu miu de Kalaris.
Et Ego, Hugo, per isa gratia de Deus Visconti de Bassu et Iudigi de Arborei, iuro ad sancta Dei Evangelia d’arreere firmas et de mantenne custas sinnas, segundu in co las appo partidas cum sogru miu Marchesu Guilielmu Iudigi de Kalaris, et bogliu ki siant firmas et stabilis usque in perpetuum in co sunt scritas in custa carta, et pognu-ibi sa bulla mia dessu Regnu miu de Arbarei.
Et ordinamus et iuramus, Ego Guilielmu Marquesu de Massa et Iuigi de Kalaris pro su Regnu miu de Kalaris, et Ego Hugo Visconte de Bassu et Iudigi de Arborei pro su Regnu miu d’Arborei, c’ad faguiri incontra custu ç’esti scritu de supra in ista carta de sas sinnas et confinis d’ambus logus c’amus partidu a boluntadi bona de pari ad pena de pagari decem milia bisantis d’auru massamutinus.
Et sunt testes, primus Deus et Sancta Maria mater eius et omnes sanctos et sanctas Dei, et donnu Riçu archibiscobu de Kalaris, et donnu Bernardu archibiscobu d’Arborea, et donnu Guantini piscubu de Oglia, et donnu Mariani piscubu de Sulçis, et donnu Troodori piscubu de Suelli, et donnu Mariani piscubu de Terralba, et donnu Bonacursu piscubu de Sancta Iusta, et donnu Mariani piscubu d’Usellos, et Bonacursu de Gattu et Serranti de Pani e Porru, et Bonacursu Alferi et Romeri Marcuchu, et Rana d’Agnellu et Simone Boco nobilis de sa civittadi de Pisas, et Guilielmu de Sala, et Ramundu de Columbiera et Pier Iohan et Bernardo Bonamigu et Guilfredi Beringeri, nobilis de Cadalonga; et liurus de Kalaris Mariani de Çori Orlandu et Comida de Serra de Frailis, et Mariani de Unali Castai, et Barusone de Serra Passagi, et Torbini de Lacunu Mancosu et Comida de Unali de Genoni, et Barusoni d’Aceni, et Furadu Çurrunpis, et Ioanni de Serra Daluda et Comida d’Arruu de Silvila, et Turbini de la Serra, et Goantini de Siillu et Orçoco de Marognu, et Pedru d’Arcedi; et liurus d’Arbarei, Arçoco de Lacon Sabiu et Gunnari su filiu, et Arçoco de Lacon Arbarichesu, et Barisone de Serra su filiu, et Comida de Lacon Pees, et Comidai de Rana et Guntini de Martis.
Anno Domini Millesimo ducentessimo sexto. Indictione nona, tercio kalendas Novembris.
Ego Ioannes quondam Guantini Pala filius, auctoritate imperiali iudex ordinarius atque notarius et scriba publicus Bandini Pedalis et Bernardi de Passa, consulum Pisanorum partis Arestani, presentia, consensu, decreto et auctoritate de eorum consulum, hoc exemplum scripsi et fideliter exemplavi de originali cuiusdam privilegii auctentici sive bulle, nihil addens vel minuens quod sensum vel intellectum mutet preter punctum litterarum seu silabam quod quidem exemplum diligenter excultavi cum originali supradicto, cum infrascriptis notariis, videlicet Nicolao quondam Alamanni Rubei a Pisis, Hubaldo de Greciano quondam Philippi de Greciano et Simone filio Leonardi aurificis. Privilegium suprascriptum bullatum erat cum duabus bullis plumbeis pendentibus cum cordellis de sirico viridi, in una quarum erat scultus ex uno latere quidam miles [.....] annis super uno equo cum spata in manu, scutu in brachio et elmo in capite, et erant ex dicto latere hec littere, videlicet: Sigillum Ugonis vicecomitis de Bas, Iudicis Arboree; et ex alio latere erat sculta quedam imago unius hominis sedentis super cathedra ad modum regis, cum spata in una manu et corona in capite et in alia manu lilium, et erant ex dicto latere iste similes littere. In alia vero bulla nulla ymago sculta erat, nisi quod ex ambabus lateribus scripte erant littere grece. Et quia sic deinceps exemplum de verbo adhibitum concordare inveni cum originali predicti, me subscripsi et meum signum et nomen apposui. Actum in Arestano [.......] Palati novi Archiepiscopatus Arborensis, presentibus infrascriptis dominis Episcopis, Archipresbitero et Canonicis et notariis, et domino Ganochiulo de Lanfrancis, domino Mariano de Plumbino iudice, domino Falco Candido de Iuste, domino [...20...] de loco Arbaree, et domino Perastine de Iana quondam domini Ioannis, testibus rogatis ad hec Dominice Incarnacionis Anno Millesimo trecentesimo septimo. Indictione quarta, octavo idus Septembris.
Signum.
 
 
 



Per il testo dell'accordo cfr. Arrigo Solmi, Un nuovo documento per la storia di Guglielmo di Cagliari e dell'Arborea, in Archivio Storico Sardo - vol. IV - fasc. 1/2 - anno 1908, Cagliari 1908 e Eduardo BLASCO FERRER, Crestomazia sarda dei primi secoli - vol. I, Officina linguistica anno IV - n. 4, Nuoro 2003, pag. 77