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martedì 6 febbraio 2018

1218, riconferma all’arcivescovo pisano dei diritti sulla Sardegna

1218, riconferma all’arcivescovo pisano dei diritti sulla Sardegna
(Sergio Sailis)

 Ascò o Vitale, oggi mi sento buono e generoso e ti ridò i diritti sulla Sardegna però i tuoi concittadini devono comportarsi bene con la Santa Sede.
Accadeva ottocento anni orsono, tondi tondi, il 5 febbraio 1218. Papa Onorio III informa il capitolo, il clero e il popolo pisano della sua decisione di riconfermare i diritti di legazia e il primato sulla Corsica e sulle province sarde di Torres, Arborea e Cagliari all’arcivescovo pisano Vitale.

(img ASPi)
 
Lo stesso giorno scrive anche agli arcivescovi e vescovi sardi, ai Giudici di Torres e Gallura e ai nobili sardi informandoli della sua decisione e ordinando loro di prestare al presule pisano gli onori che gli competono.
In effetti tre giorni dopo Onorio procederà ufficialmente al rinnovo di questi privilegi, concessi dai predecessori di Onorio III, e che erano stati sospesi a seguito di quanto successo poco tempo prima in Sardegna ossia il matrimonio di Lamberto Visconti con Elena di Gallura (che aveva di fatto compromesso le mire matrimoniali di Trasamondo de Segni cugino di papa Innocenzo III) e l’invasione del Giudicato di Kalari (sempre ad opera di Ubaldo e Lamberto Visconti) ai danni degli eredi di Guglielmo di Massa pregiudicando così la politica papale tendente a stabilire il controllo e la sovranità sull'intera isola.
La nomina di Vitale, risalente all’anno precedente, era stata voluta dal Papa in quanto ritenuto persona a lui fedele e particolarmente utile per contrastare la tradizionale politica filo imperiale del comune toscano; gli avvenimenti successivi però, ossia l’appoggio incondizionato dell’arcivescovo alla consorteria dei Visconti (che aveva preso il sopravento a Pisa dopo la battaglia sul fiume Frigido  e la conseguente sconfitta del Giudice cagliaritano Guglielmo di Massa nel 1213) e al Comune di Pisa, l’inosservanza di Vitale di scomunicare i Consoli in carica (e quindi Ubaldo Visconti) e lanciare l’interdetto su Pisa come conseguenza dell’invasione del Giudicato di Kalari (nonché il rifiuto da parte dei pisani ad abbandonare la Sardegna), porteranno in seguito il Pontefice a ricredersi sulle sue scelte e, nell’agosto dello stesso 1218, a revocare nuovamente questi diritti che la chiesa pisana vantava ormai da quasi un secolo e mezzo.

mercoledì 7 agosto 2013

La sconfitta di Guglielmo di Massa al fiume Frigido

La sconfitta di Guglielmo di Massa (Salusio IV Giudice di Cagliari)

di Sergio Sailis

Nel gennaio 1213 si ebbe l’epilogo della ormai pluriennale lotta tra Guglielmo Marchese di Massa appartenente al ceppo degli Obertenghi[1] (nonché Giudice di Cagliari con il titolo dinastico di Salusio IV e d’Arborea), e la fazione dei Visconti per il predominio politico nel Comune di Pisa e in Sardegna.

Nell’isola infatti il Marchese, dopo aver preso il potere nel giudicato di Cagliari nel 1187[2], qualche anno dopo nel 1195[3] o 1196[4] invade quello di Arborea e nel 1198-1200 quello di Gallura assieme a Comita di Torres[5]; la politica di Guglielmo quindi era volta al controllo totale dell’isola che perseguiva sia con l’uso delle armi che con mirate politiche matrimoniali che tenevano conto sia delle problematiche sarde che di quelle di più ampio respiro internazionale e intessendo una fitta rete di alleanze imperniate sulla benevolenza di Papa Innocenzo III. In prime nozze si sposò con Adelasia Malaspina e in seconde nozze con Guisiana (figlia di Guido Guerra III dei Conti Guidi importante feudatario toscano); lo stesso avvenne per le sue figlie, Benedetta (maritata con Barisone d’Arborea), Agnese (andata in moglie prima a Mariano II di Torres e, alla morte di questi, a Ranieri della Gherardesca di Bolgheri della famiglia Donoratico) e Preziosa (maritata con Ugo Ponç de Bas d’Arborea).

I Visconti per contrastare l’influenza politica che Guglielmo aveva assunto a Pisa (in quanto uno dei maggiori esponenti del partito anti-visconteo) cercano di colpire il Marchese direttamente al cuore dei suoi interessi e portano lo scontro direttamente in Sardegna così la Gallura nel 1207 entra nella loro orbita con il contestato matrimonio tra Lamberto Visconti e l’erede al trono giudicale, Elena di Gallura, scompaginando i piani dei vari attori in gioco ossia principalmente il papa Innocenzo III (che era quasi riuscito ad imporre il matrimonio con il proprio parente Trasamondo de Segni) e, nonostante avessero ormai desistito a causa delle pressioni papali, lo stesso Giudice cagliaritano (che dopo aver invaso il giudicato gallurese intendeva far sposare Elena con il proprio cognato Guglielmo Malaspina) e il Giudice di Torres Comita (che aveva invece avanzato la candidatura del proprio fratello Ittocorre).

Nel frattempo anche nel comune di Pisa si assiste ad una situazione di stallo istituzionale; le due fazioni che si contendevano il potere non erano in grado di prevalere l’una sull’altra né di procedere alla nomina delle cariche comunali per cui Guglielmo di Massa (sul quale incombevano peraltro dei pretestuosi procedimenti giudiziari intentati sia da privati che dal Comune per dei prestiti contratti in precedenza probabilmente per far fronte alle spese per la conquista del Giudicato di Cagliari) forse meditò che l’unica opzione ormai possibile fosse uno scontro armato e risolutivo[6].

Gli avvenimenti ci sono noti attraverso alcuni documenti, uno contemporaneo agli avvenimenti ed un altro posteriore di circa due secoli.
Il primo è il così detto “Ritmo Volgare Lucchese del 1213” (scritto parte in latino e parte in volgare) qui trascritto nella versione del De Bartholomaeis[7]:

“In nomine Domini, Amen. In M.CC.XIIJ, existentibus consulibus Rustichello di Pogio et Albertino Sofreducii et sociis maioribus, per Crucis triumfum fuit sconfictus Marchio Guilielmus Sardus cum flore peditum et militum Civitatis Pisane et districtus, et peditum et militum Pistoriensium, et comitis Guidonis Guerre, et totius comitatus Lunensis et maxime Massa del Marchese, et quasi omnes nobiles Val d' Ere et di Val d'Arno et di Val d'Elsa et di Val d'Ebola et comitatus Volterre, a Civitate Luca et Rosso et Mediolombardo da Castello Aghinolfi, cum Rosso tantum estantibus nobilibus Gotifredo et Ubaldo Eldissi, Pisanis civibus, et filio Aldibrandi Bemboni et alio eorum militibus et filio Berlinghieri de Travalda et nobili nostro confolanerio Uguicionello de Monte Calvori, castellano abatis Sestensis.



Que sconficta fuit i[n] medio ianuario iusta Massam del Marchese uno miliario, albergariam faciente Luca al Fregioro. In qua sconficta captus fuit Rugerius comitis Guidonis filius cognatus Marchionis predicti, comes Gerardus di Pian di Porto, Lanfrancus Lazari de Pistorio, Mussus de Pistorio et Guittoncinus Sighiboldi, et alii .vj. de nobilioribus dicti Pistorii ; et omnes Luce missi in captuna. Item .v. de nobilioribus dicte Masse. Rossus vero et Mezolombardus habuerunt Graccum de Sala et .xij. de nobilioribus dictae Masse in eorum captuna. Et ultra .L. fuerunt alii qui malo more fuerunt tramanganati. Inter quos filius Gerardini Ghiandonis, qui cum esset a Marchionis parte, per Rolandum Ceci fu abatuto et Orlando ebb’ el cavallo. Similiter Guidarellus Barletti fa dal Marchese et [fu] abatuto.

Ma si fu tramanganato Guido Franchi che batté ne la nostra Moneta et or no fu sopra;

Ma come perdetero lor distrieri / cosi fussero rimasi prescioni / per li nostri cavallieri! / Altressì no fu sopra /Gualterotto Castagnacci / el Ronsinello Pagani; / ma per saramento fur distrecti / et ritornaro dai Christiani; / ma loro arme e lor cavalli / lassare dai Pagani. / In quello stesse rio segno / fu Orlandin da Sogromigno / che fu Guido et Guidarello. / Pegio non fu lo Garfagnino, / quei che non fu paladino, / filiolo di Guido Garfagnino. / Prese a torto confalone, / ka Luca l trasse di prescione; / e perciò quel mal portoe. / Mei lo portò Uguicionello, / quei che già no i fu Gainello, / ka Lucca aitò, la sua cittade, / in cui castello ten Christianitade. / Ebbevi l Vescovo un suo frate / che no diede delle spade; / fece sì come nimico; / di Lucca non fu unque amico; / perciò sempre fu mendico. / Stiano a mente, ben lo dico: / che a Lluca sempre sia schifato / e a Lucca sempre sia odiato; / aver di Lucca non i sia dato; / tolto i sia quel che a pilliato, / ka di Lucca l'à 'nvolato : / tutto fu dello sacrato! / Di lui e li altri sia vendetta! / Di ciò Lucca non s'afretta! / Veggio ch' end' arà disnore, / si no i punisce cum suo honore. / Punisca in prima li cittadini / ka metta mano ai contadini! / Dell' un faccia tal vendetta, / l'altro a casa non l'aspetta. / Alti altri affar ogn'on ten [ov]ra, / che già Lucca non s'[a]opra.”

Il secondo cronista che riporta della battaglia invece è il lucchese Sercambi (vissuto a cavallo tra il ‘300 e il ‘400) nella sua Cronica data alle stampe dal Bongi e che attinge da fonti diverse rispetto alla precedente[8]:

“XXX. COME LI CHAVALIERI DI LUCHA COMBACTÈONO CON MARCHEZI DA MASSA.

L' anno di .MCCXIII. fu la bactagla alla marina tra 'I marcheze Sardo e Orlando Truffe da Chastello Aghinolfi dall' una parte, e Bonifatio Rosso dall' altra parte. E il dicto marcheze mandò per Toschana e per Lombardia per chavalieri & pedoni, tanto che fecie grande exercito di Pisani, Fiorentini, Pistoresi, Valdarnesi et molti di Versigla, e 'l conte Guido e 'I figluolo & alquanti Porcharesi e alquanti Soffredinghi. Furono in numero di .V.c chavalieri. E com molti pedoni & arcieri. E allora guastaron lo chastello Aghinolfi e Monte Tignoso. Allora Bonifatio Rosso si sentio gravato dal marcheze, venne a Luccha elli e la mogle, e chiese aiuto, onde li Consoli di Luccha, ciò fu Alberto Soffreducci e Guillelmo Maluzi e Rustichello di Poggio & Bonagiunta Lamfredi e Gulliermo Chastagnaci, avuto loro comsilio, concedeono che qualunqua volesse andare in aiuto del dicto Bonifatio possa andare.

Allora v' andoe gente di Luccha, e fu loro capitano mess. Goctifredi Mosto di Pisa, & puoseno il campo in nel borgo di Branchagliano, e poi mutònno il campo al Frigido. E saputo il marcheze da Massa che i cavalieri di Luccha non erano .CC., di che elli prese comsiglio e diliberò di combattere, e l'altro die fu la bactagla e fu sconfìcto il marcheze Sardo da Massa e fu preso molta della sua gente, e fu preso lo buon chavalieri mess. Forte Pellari e Uberto Manchone e Albertino Consolo e Bernardo Maccha, e Uberto Fronde e Aldibrando Bozza e 'I figluolo del conte, e 'l figluolo di Lazzari de' Lazzari di Pistoia, con molti altri in numero di .LX. e de' Lucchesi funno presi .VIII.”

E’ nota anche un’altra cronaca tarda che però ci è di scarsa utilità per comprendere gli avvenimenti in quanto riprende la precitata cronaca del Sercambi ma che comunque riportiamo per completezza d'informazione[9]:

“Sardus, id regulo nomen, Massae Lunensi imperitabat. Is Aginulphum, Rolando Truffae in perduellionis poenam a Lucensi populo ademptum, ac Bonifacio Russo, ob egregiam in proelio ad Buram flumen navatam reipublicae operam traditum, armis aggressus, collectis ex Gallia Cisalpina Etruriaque universa copiis, magnum peditum ballistariorumque numerum sub signis coegit. Praeter validam quingentorum equitum manum e flore Tusciae nobilitatis: inter quos Porcarienses et Suffreducii Lucensium exules, privatum dolorem, patriae clade ultum ibant. lamque Aginulpho Ignosoque uno impetu captis direptisque, victor Sardus discebat, cum Russus implorata Lucensium fide bellum instauravit. Quippe Robertus Soffreducius, Gulielmus Malugius, Rustichellus Podius, Buonagiunta Lanfredus et Guglielmus Castanacius qui tunc consulatum Lucae gerebant, egregium rati, si clientem ac supplicem defendissent, vitato populi nomine, quem implicari tunc bello minime expediebat, edixere nemini privato fraudi futurum, qui suis consiliis, opibusque Russum iuvisset: modo ne quod Lucensis populi vexillum aut nomen praeferretur. Certatim in eam expeditionem nomina dedere. Profectique duce Gaufrido Mosca pisano exule, primo ad Vicum Brancalianuni, deinde ad amnem Frigidum castra locavere. Sardus maiore suorum numero confisus, cum Lucensem equitatum ducentos non excedere comperisset, pugnam minime detractavit. Sed quod numero decorat, virtute suppletum, tantisque animis viribusque a Lucensibus pugnatum, ut hostes passim fusi fugative terga verterent. Ad sexaginta e primoribus capti; inter quos Fortes Pellarius equestris ordinis, Ubertus Mancho, Albertinus Consul, Bernardus Manchus aliique clari viri; cum e Lucensibus octo tantum in hostium potestatem venissent.”

L’insieme di questi resoconti ci consente di comprendere la variegata, e a tratti confusa, composizione dei due eserciti contrapposti nei quali, almeno ufficialmente, non sono però presenti ne Comune di Pisa e ne quello di Lucca.

L’occasione per la resa dei conti si ebbe nel 1212 quando Guglielmo di Massa dopo aver raccolto le sue truppe si porta al castello di Aghinolfi di Montignoso (importante fortificazione di origine longobarda sita circa 4 km a sud est di Massa posta in posizione dominante sulla via francigena) che viene distrutto; i feudatari, i fratelli Bonifacio Rosso e Mezzolombardo, si rivolsero pertanto a Lucca chiedendo (e ottenendo) aiuti militari anche se, come accennato, senza il coinvolgimento ufficiale del Comune.

L’esercito lucchese in un primo momento si accampò nei pressi di Brancagliano (nei pressi di Pietrasanta) e a metà di gennaio del 1213 entrò in contatto con le truppe di Guglielmo nei pressi del fiume Frigido a circa un miglio da Massa.

Da una parte dunque il Giudice Guglielmo (nelle cui file militavano circa 500 cavalieri oltre a fanti e arcieri) con i pisani, i pistoiesi, i massesi, fuoriusciti lucchesi, il suocero conte Guido Guerra dei conti Guidi (con suo figlio Ruggero che viene fatto prigioniero) e altri combattenti da varie zone della Toscana e nord Italia oltre a Orlando (o Rolando) di Truffa fratello dei castellani di Aghinolfi e con questi in dissidio proprio a causa del Castello di Aghinolfi in precedenza sottratogli proprio grazie all’intervento di Lucca. Nelle cronache non sono segnalati combattenti provenienti dai possedimenti sardi ma non sarebbe strano che abbiano partecipato alcuni dei più fedeli “majorales” isolani come d’altronde alcuni erano presenti qualche decennio dopo al seguito di Re Enzo nelle campagne militari nella penisola. Dall’altra parte, al comando di Gottifredo Musto Visconti, erano raccolti i lucchesi, i castellani di Aghinolfi, i fuoriusciti pisani e vari castellani toscani complessivamente circa 200 cavalieri oltre a fanti e arcieri.

L’esercito del Marchese, nonostante fosse decisamente superiore numericamente, viene però sconfitto dagli avversari; Guglielmo, pur essendosi, sembra, comportato valorosamente sul campo di battaglia, non può far altro che ritirarsi, forse in Sardegna, lasciando mano libera ai suoi avversari che in seguito a Pisa riescono a far nominare un governo di quattro magistrati denominato “rectores pisane civitatis” dei quali uno sicuramente della consorteria dei Visconti.

Guglielmo morirà nel mese di gennaio o di febbraio del 1214 (e comunque sicuramente entro maggio) lasciando il trono giudicale alla figlia Benedetta[10] che di lì a poco sarà anch’essa oggetto delle mire viscontee e costretta a sposare prima il Giudice di Gallura Lamberto (matrimonio poi annullato dal Papa) ed in seguito Ubaldo Visconti nonchè a cedere la collina su cui verrà fondato il “Castellum Castri de Kallari” destinato a diventare il fulcro del potere pisano nell’isola; il suo principale avversario invece, Ubaldo Visconti, tesaurizza la vittoria sul Marchese e, dopo aver assunto la carica di podestà di Siena, nel marzo del 1215 verrà eletto podestà di Pisa[11] sancendo la sconfitta della fazione avversa.



[1] Mauro RONZANI, Guglielmo di Massa in Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 61 (2004).
[2] Guglielmo era figlio di Giorgia de Lacon-Gunale, figlia di Costantino Salusio III Giudice di Cagliari. Nel 1187 con truppe assoldate in Toscana spodestò il Giudice Pietro che fù costretto a riparare in Logudoro.
[3] Maurizio VIRDIS, Il Condaghe di Santa Maria di Bonarcado, Monastir 2002, pag. LVIII. Cfr. Eduardo BLASCO FERRER, Crestomazia sarda dei primi secoli - vol. I, Officina linguistica anno IV - n. 4, Nuoro 2003, pag. 80.
[4] Mauro G. SANNA, Il giudicato di Arborea e la Sardegna tra la fine del XII e gli inizi del XIII secolo. Aspetti storici, pag. 8; a stampa in Chiesa, potere politico e cultura in Sardegna dall'età giudicale al Settecento. Atti del 2° Convegno Internazionale di Studi, Oristano, 7-10 dicembre 2000, a cura di G. MELE, pp. 415-438, Oristano 2005.
[5] Mauro G. SANNA, Il giudicato di Arborea e la Sardegna tra la fine del XII e gli inizi del XIII secolo. Aspetti storici. pag. 10. Cfr. Mauro G. SANNA, La Gallura in epoca medievale: 1. Storia politico-istituzionale della Gallura medievale in La Gallura, una regione diversa in Sardegna: cultura e civiltà del popolo gallurese, San Teodoro 2001 pag. 115. Cfr. Mauro G. SANNA, Innocenzo III e la Sardegna, Monastir 2003, pag. XLVI.
[6] Per una disamina sullo scontro politico in atto nel periodo sia in Sardegna che a Pisa a titolo esemplificativo tra gli altri Cfr. Enrico BESTA, La Sardegna medioevale, (edizione anastatica - Palermo 1908-1909), Bologna 2000. Cfr. Alberto BOSCOLO, Sardegna, Pisa e Genova nel medioevo, Genova 1978. Cfr. Sandro PETRUCCI, Re in Sardegna, a Pisa cittadini, Bologna 1988, e più recentemente Corrado ZEDDA, L'ultima illusione mediterranea. Il Comune di Pisa, il Regno di Gallura e la Sardegna nell'età di Dante, Cagliari 2006, pag. 45 e segg. e, soprattutto per quanto riguarda le vicende di Guglielmo, cfr. Raimondo PINNA, Santa Igia. La città del Giudice Guglielmo, Cagliari 2010. Per i rapporti tra i Giudici sardi ed il papa Innocenzo III cfr. Mauro G. SANNA, Innocenzo III e la Sardegna, Monastir 2003 mentre per gli sviluppi successivi alla morte di Guglielmo cfr. Mauro G. SANNA, Papato e Sardegna durante il pontificato di Onorio III (1216-1227), Raleigh (USA) 2012.
[7] Vincenzo De Bartholomaeis, “Ritmo Volgare Lucchese del 1213”, Città di Castello 1914. Cfr. l’edizione quasi contemporanea di Amedeo Crivellucci, “Una cantilena storica in volgare del principio del sec. XIII” in Studi Storici vol. XII fasc. II, Pavia 1914.
[8] Le Croniche di Giovanni Sercambi Lucchese, a cura di Salvatore BONGI, vol. I, in Fonti per la Storia d’Italia pubblicate dall’Istituto Storico Italiano, Lucca 1892, pag. 15.
[9] Bartolomeo BEVERINI, Annales ab origine Lucensis Urbis, T. I, Lucca 1829 pag. 295
[10] Francesco ARTIZZU, Benedetta di Massa, Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 8 (1966)
[11] Corrado ZEDDA-Raimondo PINNA, Fra Santa Igia e il Castro Novo Montis de Castro. La questione giuridica urbanistica a Cagliari all'inizio del XIII secolo, edizione elettronica in Archivio Storico e Giuridico Sardo di Sassari nuova serie N. 15/2010,  Sassari 2010, pag. 133. cfr. Raimondo PINNA, Santa Igia. La città del Giudice Guglielmo, Cagliari 2010, pag. 115.

lunedì 22 luglio 2013

Trattato di pace del 1206 tra i Giudicati di Cagliari e d'Arborea

Trattato di pace del 1206 tra il Giudicato di Cagliari e quello di Arborea
di Sergio Sailis
 
Nel 1206 tra Guglielmo di Massa e Ugo I di Bas-Serra di Arborea viene sottoscritto un accordo in base al quale una parte del territorio arborense viene incorporato nel Giudicato di Cagliari . In particolare, per la zona che ci interessa in questa sede, i confini tra i due giudicati in questo documento vengono fissati qualche km più a nord di Villamar nei pressi di ”Sancta Maria de Sinnas de Maara” da identificarsi con la chiesa di Santa Maria di Monserrat nei pressi del Riu Mannu  mentre secondo la “Donazione della Trexenta” più o meno coeva (1218 o 1219 secondo lo stile pisano) passavano in prossimità degli attuali limiti territoriali degli odierni comuni di Guasila e Villamar appoggiandosi all’alveo del torrente Lanessi.
Da mettere in evidenza inoltre che tra i testimoni oltre a vari vescovi isolani e vari altri personaggi sardi, pisani e catalani sono presenti anche, tra i “liurus de Kalaris” diversi notabili con interessi particolari e cariche di prestigio “quale per esempio Curatore della Trexenta) che risultano attori o testimoni (quasi sempre indicati con il titolo di Donnu) in numerosi documenti dello stesso periodo editi dal Solmi tra le carte volgari dell’Archivio arcivescovile di Cagliari .
Il testo del trattato in esame è il seguente:
In Nomine domini nostri Iesu Christi, Amen.
Ego Guilielmu Marchesu de Massa, per isa gratia de Deu Iudigi de Kalaris, clamandu-mi Iudigi Salusi, cun boluntadi de Deus et de totu sus sanctos et sanctas Dei Amen, et cun boluntadi de mugleri mia donna Guisiana et de figlias mias, donnigella Benedicta, et donnigella Agnesa.
Et Ego Hugo per isa gratia de Deus Visconte de Bassu et Iuigui de Arborea, cum boluntadi de Deus et de totu sus sanctos et sanctas Dei Amen, et cum boluntadi de mugleri mia donna Preciosa de Lacon, faguimus cartas impari de sas sinnas et confinis de Kalaris et de Arborei. Repartirus inpari et segarus, Ego Guilielmu Marchesu de Massa et Iudigui de Kalaris, et Ego Hugo Visconte de Bassu et Iudigui de Arborei, cum boluntadi de sus Archiebiscobus et Piscobus et liurus d’ambus logus, po gi stint impari et in beni ambus logus Kalaris et Arborei. Tenerus sinnos dava Puçu d’Idalu et calarus cum sinnas derectu ad Oiastru Solus, et calarus deretu a sa Corte dessa Pedra Recta in Monte Tufadu; ressit derectu a Tupa de Piga, et calaus daretu a Pedras [.......] de Genna de Pirastru, et calaus daretu a Gutur d’Argada, et calarus inuvi inter sa Binia et Nurechi, et calarus totui s’orroia inter Su ’e Turri et Sancta Maria de Sinnas de Maara; et benerus inter muru de Donnigallu et issa domestia de Baniu de Baressa ilassando-lla a manu destra intru de Arbarei; et essit totui s’erriu derectu ad Sanctu Iorgi de Sinnas, et bennirus totui s’erriu derectu assa Funtana de Sissoni, et benerus derectu ad Cucuru de Stipoi, et calarus serra serra lassando ad manu destra s’erriu intru de Arbarei, et calarus totui s’erriu s’erriu ad serras de Masoni de Iustu, et calarus erriu erriu infini a sa bia ki baet dae Sellori et Sanctu Gavinu, et uvi est sa Pedra Fita ki si clamat Pedra de Miliariu; et calarus sa bia sa bia derectu a Giba de Onidi, et benirus derectu a Pedra Pertunta, et benirus deretu ad Pedras de Regos, lasandu a manu destra intru de Arborei ad Pischina de Moiu, et benirus derectu a su Bruncu de Bialana, et daindi benirus derectu a Giba de Saraginus, et callarus derectu ad Orruina de Castula, et daindi callarus s’orroia s’orroia de Funtana de Colora, et calarus derectu assa Bia de Pedras de Fraus, et callarus a sa Bia dess’Arburi de Uvimali; et dainde callarus sa bia sa bia de Fenuglei de Pedredu de Mau, et esirus derectu a sa Giba de sa Ruina, et benirus derectu a Giba de Muteglu de Binias de Mau, et benirus serra serra de Binias de Mau derectu a sa Genna de Saronai; et callarus derectu ad Funtana d’Ebas, et bennirus derectu ad Genna de Scala, et daindi bennirus derectu assa Sella de sa Pedra Alba et bennirus derectu a Bruncu de sas Luas, et bennirus derectu a Figu Torta, derectu a sa Serra d’Aleci, derectu assu monte de Sanctu Miali de Monte Virdis; et daindi bennirus ad Genna de Falaberxe, et callarus derectu ad Genna de Magu, et bennerus derectu ad ella, lassando Sos Porchilis intru d’Arbarei; et bennirus derectu a Genna de Bia Uscu, derectu a Genna de Maalarius, et daindi bennirus ad Gutur de Gurgolas, et bennirus derectu a Gidili de Crumone, et daindi benirus ad Erba Bona, et benerus derectu ad Tinni, remanendu Sus Porcilis intru de Arborei, et daindi bennirus ad Planu de Suvera derectu ad Cucuru de Simoi, et essirus derectu ad Genna de Candelaçu, et bennirus derectu a sa Scala de Candalaçu, et callarus ad Serra de Suerio, et daindi bennerus ad Genna de Pedras, et essirus derectu a Pauli, et bennerus derectu ad Piçu de Manurechi, derectu ad Planu de Mollici, et daindi bennirus assu Monte de Candelaçu, et callarus derectu ass’Ariola de Candelaçus, et benerus derectu ad Pedra Cuada derectu a sa costa de Monte Niellu, lasando su monte cum sas Funtanas ad manu destra intru d’Arbarei, et benerus derectu ad Serra de Fenu derectu a sa Scala de Bugerru, et clonperus a mari.
Et Ego Guilielmu Marquesu de Massa, per isa gratia de Deus Iudigi de Kalaris, iuro ad sancta Dei Evangelia d’arreere firmas et de mantenne custas sinnas, segundu in co las appo partidas cum donno Hugo Visconte de Bassu et Iudigi d’Arborei, genuru miu, et bogliu qui siant firmas et stabilis usque im perpetuum in co sunt scritas in custa carta, et pognu-ibi sa bulla mia de su Regnu miu de Kalaris.
Et Ego, Hugo, per isa gratia de Deus Visconti de Bassu et Iudigi de Arborei, iuro ad sancta Dei Evangelia d’arreere firmas et de mantenne custas sinnas, segundu in co las appo partidas cum sogru miu Marchesu Guilielmu Iudigi de Kalaris, et bogliu ki siant firmas et stabilis usque in perpetuum in co sunt scritas in custa carta, et pognu-ibi sa bulla mia dessu Regnu miu de Arbarei.
Et ordinamus et iuramus, Ego Guilielmu Marquesu de Massa et Iuigi de Kalaris pro su Regnu miu de Kalaris, et Ego Hugo Visconte de Bassu et Iudigi de Arborei pro su Regnu miu d’Arborei, c’ad faguiri incontra custu ç’esti scritu de supra in ista carta de sas sinnas et confinis d’ambus logus c’amus partidu a boluntadi bona de pari ad pena de pagari decem milia bisantis d’auru massamutinus.
Et sunt testes, primus Deus et Sancta Maria mater eius et omnes sanctos et sanctas Dei, et donnu Riçu archibiscobu de Kalaris, et donnu Bernardu archibiscobu d’Arborea, et donnu Guantini piscubu de Oglia, et donnu Mariani piscubu de Sulçis, et donnu Troodori piscubu de Suelli, et donnu Mariani piscubu de Terralba, et donnu Bonacursu piscubu de Sancta Iusta, et donnu Mariani piscubu d’Usellos, et Bonacursu de Gattu et Serranti de Pani e Porru, et Bonacursu Alferi et Romeri Marcuchu, et Rana d’Agnellu et Simone Boco nobilis de sa civittadi de Pisas, et Guilielmu de Sala, et Ramundu de Columbiera et Pier Iohan et Bernardo Bonamigu et Guilfredi Beringeri, nobilis de Cadalonga; et liurus de Kalaris Mariani de Çori Orlandu et Comida de Serra de Frailis, et Mariani de Unali Castai, et Barusone de Serra Passagi, et Torbini de Lacunu Mancosu et Comida de Unali de Genoni, et Barusoni d’Aceni, et Furadu Çurrunpis, et Ioanni de Serra Daluda et Comida d’Arruu de Silvila, et Turbini de la Serra, et Goantini de Siillu et Orçoco de Marognu, et Pedru d’Arcedi; et liurus d’Arbarei, Arçoco de Lacon Sabiu et Gunnari su filiu, et Arçoco de Lacon Arbarichesu, et Barisone de Serra su filiu, et Comida de Lacon Pees, et Comidai de Rana et Guntini de Martis.
Anno Domini Millesimo ducentessimo sexto. Indictione nona, tercio kalendas Novembris.
Ego Ioannes quondam Guantini Pala filius, auctoritate imperiali iudex ordinarius atque notarius et scriba publicus Bandini Pedalis et Bernardi de Passa, consulum Pisanorum partis Arestani, presentia, consensu, decreto et auctoritate de eorum consulum, hoc exemplum scripsi et fideliter exemplavi de originali cuiusdam privilegii auctentici sive bulle, nihil addens vel minuens quod sensum vel intellectum mutet preter punctum litterarum seu silabam quod quidem exemplum diligenter excultavi cum originali supradicto, cum infrascriptis notariis, videlicet Nicolao quondam Alamanni Rubei a Pisis, Hubaldo de Greciano quondam Philippi de Greciano et Simone filio Leonardi aurificis. Privilegium suprascriptum bullatum erat cum duabus bullis plumbeis pendentibus cum cordellis de sirico viridi, in una quarum erat scultus ex uno latere quidam miles [.....] annis super uno equo cum spata in manu, scutu in brachio et elmo in capite, et erant ex dicto latere hec littere, videlicet: Sigillum Ugonis vicecomitis de Bas, Iudicis Arboree; et ex alio latere erat sculta quedam imago unius hominis sedentis super cathedra ad modum regis, cum spata in una manu et corona in capite et in alia manu lilium, et erant ex dicto latere iste similes littere. In alia vero bulla nulla ymago sculta erat, nisi quod ex ambabus lateribus scripte erant littere grece. Et quia sic deinceps exemplum de verbo adhibitum concordare inveni cum originali predicti, me subscripsi et meum signum et nomen apposui. Actum in Arestano [.......] Palati novi Archiepiscopatus Arborensis, presentibus infrascriptis dominis Episcopis, Archipresbitero et Canonicis et notariis, et domino Ganochiulo de Lanfrancis, domino Mariano de Plumbino iudice, domino Falco Candido de Iuste, domino [...20...] de loco Arbaree, et domino Perastine de Iana quondam domini Ioannis, testibus rogatis ad hec Dominice Incarnacionis Anno Millesimo trecentesimo septimo. Indictione quarta, octavo idus Septembris.
Signum.
 
 
 



Per il testo dell'accordo cfr. Arrigo Solmi, Un nuovo documento per la storia di Guglielmo di Cagliari e dell'Arborea, in Archivio Storico Sardo - vol. IV - fasc. 1/2 - anno 1908, Cagliari 1908 e Eduardo BLASCO FERRER, Crestomazia sarda dei primi secoli - vol. I, Officina linguistica anno IV - n. 4, Nuoro 2003, pag. 77