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martedì 17 gennaio 2017

1326, i disordini di Bonaria

1326, i disordini di Bonaria
di Sergio Sailis
Siamo a Bonaria, la cittadella fortificata eretta dai catalano-aragonesi in contrapposizione alla Castel di Castro pisana, in un freddo 17 gennaio del 1326; le truppe iberiche continuano il loro assedio alle poderose mura erette dai toscani a protezione della città ma non tutto fila per il verso giusto.
L’infante Alfonso infatti al fine di limitare lo strapotere che i Carroç avevano ormai assunto nell’isola il 5 novembre 1325 nomina Ramon de Peralta capitano di guerra in Sardegna lasciando a Francesc Carroç il comando della flotta; il precedente 24 settembre inoltre aveva destituito dalla carica di capitano di Bonaria il figlio di Francesc Carroç, Berenguer, nominando al suo posto Guillem de Llor anch’egli fedelissimo del Peralta. Questa situazione non poteva che creare attrito tra il Peralta e i Carroç che già in precedenza avevano avuto dei diverbi.
Fatto sta che all’imbrunire del 17 gennaio a seguito di una discussione tra Jofré Gilabert de Cruilles e Guillem de Llor si giunse allo scontro armato tra i fautori dell’ammiraglio Francesc Carroz (tra i quali i suoi figli Francesc e Jaume, Pere de Llibià, Bonanat Sapera, Jofré Gilabert de Cruilles, Arnau ça Cassà, Ramon ça Vall) e quelli del capitano di guerra Ramon de Peralta (tra i quali spiccavano le figure di Guillem de Llor, Jaume des Truyll, Bort de Montsonis, Rocafort, Berenguer d'Anglesola) con morti e feriti e per poco non si mise in discussione la stessa sopravvivenza della cittadella se solo i pisani fossero intervenuti.
Alla fine gli animi furono riappacificati grazie anche all’intervento del Giudice Ugone d’Arborea e dei magistrati di Bonaria che mediarono tra i contendenti anteponendo l’interesse della Corona a quello delle parti in causa.
La reazione dell’infante giunse dopo qualche mese richiamando a corte per gli accertamenti del caso quelli che erano ritenuti i maggiori responsabili delle lotte intestine e nominando due riformatori, Felip de Boyl e Bernat de Boixadors, con il compito di chiarire quanto successo.
Lettera inviata il 3 marzo 1326 dall'Infante Alfonso
a Francesc Carroç  e a Ramon de Peralta in merito agli scontri di Bonaria (ACA)
Tra i personaggi coinvolti in questa vicenda molti sono quelli relazionati con la Trexenta. Berenguer Carroç (figlio dell’ammiraglio Francesc) per esempio era infatti sposato con Teresa Gombau d’Entença cui l’infante aveva concesso in feudo, tra gli altri, il villaggio di Bangiu Donico (donazione che però rimase senza esito per via di alcune particolari clausole nella concessione); il villaggio poi venne successivamente concesso a Guillem Sapera (fratello di Bonanat sopra citato cui cedette i propri diritti mantenendone l’usufrutto) assieme alla villa di Gergei (curatoria di Siurgus). Un altro figlio dell’ammiraglio, Francesc II Carroz, viceversa aveva ricevuto in feudo le ville di Arili, Siocco, Donigala Alba e Segolai. Pere de Llibia invece aveva ricevuto il villaggio di Selegas. Jofré Gilabert de Cruilles era feudatario delle ville di Bangio de Arili, Seuni e Suelli site nella curatoria di Trexenta, e di Donigala e Siurgus site nella curatoria di Siurgus mentre Arnau ça Cassà aveva ricevuto il villaggio di Dei oltre alle ville di Sheutas, Nuragi e Postmont site nella curatoria di Nuraminis e quelle di Monastir e Sigogus, site nella curatoria di Bonavoglia e Guillem de Llor, tra le altre, aveva invece in feudo la villa di Barrali.
Nello stesso 1326 però quasi tutti, ad eccezione di Guillem de Llor, persero i loro feudi trexentesi (in cambio di un indennizzo) a seguito della seconda pace con Pisa che costretta a rinunciare a Castel di Castro riceveva in feudo le Curatorie di Trexenta e Gippi.
 
 
Bibliografia:
Pasquale TOLA, Historiae patriae monumenta - tomo X: Codex diplomaticus Sardiniae, tomo I, Torino 1861.
Marco TANGHERONI, Su un contrasto tra feudatari in Sardegna nei primissimi tempi della dominazione aragonese, in Medioevo età moderna, Cagliari 1972.
 
Sandro PETRUCCI, Cagliari nel Trecento. Politica, istituzioni, economia e società. Dalla conquista aragonese alla guerra tra Arborea ed Aragona (1323-1365).
Antonio FORCI, Damus et concedimus vobis. Personaggi e vicende dell'età feudale in Trexenta (Sardegna meridionale) nei secoli XIV e XV, Ortacesus 2010.
Sergio SAILIS, Guillem Desllor, primo feudatario di Barrali (1326-1331) in “Barrali. Un paese antico tra Parteolla e Trexenta”, (a cura di A. Forci e L. Casu), Ortacesus 2014.

 

giovedì 28 gennaio 2016

Inchiesta catalana su crimini commessi ad Arili (Samatzai)

Inchiesta catalana su crimini commessi ad Arili (Samatzai)

di Sergio Sailis

Il 19 gennaio 1345, al giurisperito R. de Banchs (assieme ai saygs B.Cobera e P.Ferrer) venne ordinato di andare da Castell de Caller ai villaggi di Arilis (curatoria di Trexenta allora in mano pisana) e nella confinante Samassay (curatoria di Nuraminis o Dolia?) per indagare su alcuni nobili che avevano commesso diverse violenze su degli abitanti di nazionalità sarda.

I personaggi incriminati erano piuttosto importanti. Infatti erano coinvolti Gombau de Ribelles, Pere Martì de Sarassa, Matteu de Montpalau e Francesc Carrós oltre a vari altri che avevano partecipato all’uccisione di alcuni sardi nella villa di Arili che peraltro in quel momento era sotto la giurisdizione pisana come il resto della curatoria di Trexenta e quella di Gippi.

I risultati dell’inchiesta non sono noti ma si dubita che i nobili catalani siano stati perseguiti per i soprusi commessi

giovedì 11 dicembre 2014

San Salvatore di Bangiu de Aliri (Guasila)

San Salvatore di Bangiu de Aliri (Guasila)
di Sergio Sailis
Da tempo immemore i guasilesi festeggiano sentitamente N.S. d’Itria per cui il lunedì successivo alla Pentecoste si recano in solenne processione da Guasila alla località di “Bangiu” per portarvi la statua della Madonna; in questa località viene celebrata la messa in onore della santa (sino a non tanto tempo fa venivano organizzati anche balli, canti e pranzi all’aperto ma oggi questo aspetto laico sta via via cadendo in disuso) e i festeggiamenti si concludono il giorno successivo con il rientro del simulacro a Guasila dove viene custodito nella parrocchiale.
La chiesa campestre di “Bangiu” è quanto ci rimane del villaggio medioevale di Bangiu de Aliri  (forma probabilmente più corretta rispetto a Bangiu de Arili presente in molti documenti tra cui quello di cui appresso) il cui territorio dopo l’abbandono del centro abitato verso la fine del XIV sec. (secondo la tradizione dovuta a “sa musca maccedda” ma in effetti da imputarsi a carestie, pestilenze e soprattutto alla guerra tra l’Aragona e l’Arborea) venne incorporato dalla confinante Guasila.
Tra i documenti custoditi nell’Archivio della Corona d’Aragona a Barcellona ne esiste uno che ci informa come la parrocchiale di Bangiu de Aliri , altrimenti ignota, fosse intitolata a San Salvatore:

 
 


estratto documento ascrivibile al 1348-1350 A.C.A.

"Item ecclesiam Santi Salvatori de Bancho de Arili - XXV libres”; ossia che la rendita da sottoporre a tassazione per le decime della chiesa di San Salvatore di Bangiu ammontava a 25 libbre. Da altri documenti coevi sappiamo che il rettore della chiesa all’epoca era il presbitero Symone de Acra.

Si tratta della prima attestazione scritta sull’intitolazione della chiesa del villaggio e purtroppo non sappiamo se questa di San Salvatore sia la medesima di N.S. d’Itria che oggi conosciamo (con il cambiamento dell’intitolazione avvenuto nel corso dei secoli come a volte accadeva specialmente con quelle dedicate alla Vergine d’Itria) oppure fosse un’altra chiesa della quale attualmente non rimane traccia neanche a livello toponomastico.
Chiesa di N.S. d'Itria - Bangiu de Aliri (Guasila)
La leggenda ci narra di antiche contese tra i guasilesi e gli abitanti di Samatzai relativamente al possesso della statua della Vergine che veniva da loro ripetutamente sottratta ma puntualmente e misteriosamente ritornava autonomamente al suo posto sino allo scoraggiamento e alla definitiva rinuncia da parte dei samatzesi.
Come in moltissimi altri casi riscontrati in Sardegna la tradizione di queste controversie relative al possesso delle statue dei santi e delle chiese campestri altro non sono che gli echi di antiche e mascherate dispute di confine tra villaggi confinanti. Nel caso specifico sia i samatzesi che i guasilesi intendevano appropriarsi e sfruttare economicamente i terreni dell’ormai spopolato villaggio di Bangiu; alla fine ebbero la meglio i guasilesi che, per affermare e consolidare l’appartenenza della chiesa (e sopratutto dei territori circostanti) alla loro comunità, finirono per organizzare periodicamente la festa e la processione che ancor oggi si tiene annualmente.
Tra la fine del XIV e l’inizio del XV secolo infatti a seguito di un periodo turbolento causato dalle continue guerre tra Aragona e Arborea, Samatzai, o meglio i feudatari che possedevano Samatzai, erano già entrati in possesso dell’ormai spopolato (almeno dal 1432) villaggio trexentese di Aliri che distava da Bangiu (anch’esso spopolatosi più o meno nello stesso periodo) appena un km in linea d’aria.
 

Il villaggio di Aliri era infatti situato ai piedi della collina nota come “su Pranu ‘e Obiri” nel versante meridionale ossia quello opposto a “Bangiu” e più precisamente dove oggi sorge la chiesetta campestre dedicata a San Pietro recentemente ricostruita ad opera dei samatzesi che anche loro festeggiano in modo analogo a quanto si fa a Guasila con N.S. d’Itria. 

 

Chiesa di San Pietro - Aliri (Samatzai)

Mentre però Bangiu de Aliri anche dopo il dominio pisano rimase unita al resto della Trexenta (che nel 1421 venne concessa a Giacomo de Besora) gli eventi storici portarono invece Aliri a seguire definitivamente le sorti di Samatzai alla quale venne aggregato il suo territorio.

giovedì 17 ottobre 2013

Pietro Penna mancato signore di Arili

Pietro Penna mancato signore di Arili
di Antonio Forci*

(scheda su Aliri)
 Pietro Penna, unico personaggio non iberico coinvolto nella prima feudalizzazione della Trexenta, è sufficientemente noto in letteratura per essere stato notaio di Ugone II d’Arborea[1] del quale fu anche ambasciatore presso la corte d’Aragona[2]. Sin dai primissimi tempi della conquista ottenne vari benefici da parte dell’infante Alfonso[3] e nel 1328 fece parte della comitiva che accompagnò a Barcellona il domicello Pietro per essere armato cavaliere da Alfonso IV in occasione dei festeggiamenti per la sua incoronazione[4]. Pare che in quella circostanza abbia

venerdì 11 ottobre 2013

Francesc II Carroz signore di Arili, Siocco, Donigala Alba e Segolay

Francesc II Carroz signore di Arili, Siocco, Donigala Alba e Segolai
di Antonio Forci*
(Scheda Aliri) (Scheda Sioccu) (Scheda Donigala Alba) (Scheda Segolay)

Francesc II Carroz apparteneva ad una delle più insigni famiglie della nobiltà valenzana, essendo il figlio primogenito dell’ammiraglio Francesco Carroz, signore del castello di Rebollet[1]. I Carroz furono tra i principali protagonisti della spedizione per la conquista del regno di Sardegna, in quanto l’ammiraglio Francesco, oltre ad essere stato nominato comandante della

mercoledì 9 gennaio 2013

I "Liberi et terrales ab equo"

I "LIBERI ET TERRALES AB EQUO"
Elenco per la TREXENTA nel 1359
di Sergio Sailis


I cosidetti “liberi et terrales ab equo” rappresentavano una sorta di piccola aristocrazia rurale posta alla sommità della scala sociale medioevale sarda; si trattava di invidui “liberi” e avevano l’obbligo di prestare servizio militare (o di polizia) a cavallo. Essi erano esenti dal pagamento di imposte ma dovevano garantire il possesso di un cavallo e di armamenti adeguati (nel periodo pisano-aragonese il valore del cavallo doveva essere di almeno otto libbre di alfonsini minuti e l’armamento di almeno cinque libbre) per lo svolgimento del servizio assegnato ed era obbligato a presentarsi alle mostre periodiche, partecipare alle “cavalcate” e ai giudizi di corona.



Il loro status di esenzione permaneva sintanto erano in grado di prestare tale servizio; qualora venissero a mancare queste condizioni potevano essere declassati e ricompresi nelle altre categorie soggette ad imposizione.
Sono tuttavia noti diversi casi di appartenenti a questa categoria che, dopo essere caduti in povertà, fecero esplicita richiesta per essere esentati ossia “affeati” pagando una tassa specifica.
Nel periodo pisano potevano essere considerati in questa categoria solo quelli espressamente indicati nelle periodiche "Composizioni" ed eventuali deroghe potevano essere autorizzate solo dal Consiglio degli Anziani di Pisa.
Nella VI composizione redatta nel 1359 da Ser Costantino Sardo (coadiuvato dal notaio Pietro da Calci) e destinata ad entrare in vigore il primo settembre del 1362, per la Trexenta vengono indicati i seguenti "liberi et terrales ab equo":

1) Miale Orlandi - Goy de Silla;
2) Gostantinus Orlandi - Goy de Silla;
3) Arsocchus de Asseni - Goy de Silla;
4) Gonnarius de Serra - Goy de Silla;
5) Filippus Puliga - Goy de Silla;
6) Guantinus Dessori (jr) - Goy de Silla;
7) Arsocchus Mereus - Goy Maioris;
8) Paulus de Serra - Goy Maioris;
9) Filippus de Serra - Goy Maioris;
10) Gomita Savio - Goy Maioris;
11) Gomita Mancosus - Selaghe;
12) Simon Diana - Selaghe;
13) Miale Puligha - Siunis;
14) Taddeus Castagna - Suellis;
15) Fuliatus Castagna - Suellis;
16) Lasius Currie (figlio di domini Suaccesi) - Arigi;
17) Margianus de Asseni (figlio di domini Suacesi Currie) - Arigi;
18) Gonnarius Curria - Arigi;
19) Nicola de Siillo - Sinorbi;
20) Gomita Mancosus - Sinorbi;
21) dominus Johannes Troncii - Bangni Arilis;
22) Barasone Tronci - Donigaglie Alte;
23) Dominus Johannes Mancosus - Alute;
24) Antiocus Curria - Simieri;
25) Gonnarius Curria - Simieri;
26) Colus de Asseni - Archo;
27) Arsocchus de Asseni - Archo;
28) Petrus de Asseni - Archo;
29) Guantinus Troncii - Ortacesus;
30) Arsocchus de Martis - Ortacesus;
31) Jacominus de Orro - Ortacesus;
32) Miale Margiani de Quarto - Ortacesus;
33) Petrus Margiani de Quarto - Ortacesus;
34) Gratiadeus de Orro - Ortacesus;
35) Francischus de Culchas - Sebera;
36) Cococti Mesusii - Sebera;
37) Dominus Petrus Diana - Bangni Donici;
38) Johannes de Capoterra - Dei;
39) Barazone de Asseni - Dei;
40) Gonnarius de Martis - Arili;
41) Julianus Ardu - Bangni Arilis;
42) Petrus de Capoterra - Bangni Arilis;
43) Guantinus Curria Dorru - Bangni Arilis;
44) Guantinus Curria Orlandi - Bangni Arilis;
45) Seracinus Dorru - Segarii;
46) Benedictus Margiani Mele de Quarto - Frius;
47) Gomita Mele de Quarto - Frius;

martedì 2 agosto 2011

ALIRI (o Arili) (Samatzai)

(cliccare sulla cartina per ingrandire)
ALIRI (o ARILI)
di Sergio Sailis

Nomi alternativi:
Liri, Luri, Aliri, Arili, Oliri
(nei documenti pisani si riscontra la forma Arili mentre nei documenti catalano aragonesi oltre a questa forma si riscontra anche Aliri e Liri. La dizione più corretta, o perlomeno quella giunta sino ad noi, dovrebbe essere quest’ultima in quanto il toponimo ancora esistente è Obiri = Oliri = Aliri).

Localizzazione geografica:
I.G.M.: Foglio 548 sezione IV – Senorbì, scala 1:25.000
Il villaggio era situato nel territorio attuale di Samatzai e più precisamente nella valle di Oliri in località Santu Pedru, nei pressi dell’omonima chiesa, a metà strada tra Guasila e Samatzai a circa 4,5 km da entrambe. Sorse in una vallata ai piedi di un insieme di basse colline marnose che lo separavano fisicamente dal resto della Trexenta in posizione più aperta verso il Campidano. Il sito si sviluppò su un preesistente insediamento nuragico del quale attualmente residuano solo le fondamenta di un nuraghe complesso sul quale negli scorsi decenni è stata edificata una fattoria.

Nei pressi della chiesa di San Pietro è presente una sorgente oltre ad alcuni pozzi realizzati in epoca imprecisata.
Poco distante sono presenti delle domus de janas, alcuni altri nuraghi (Sant’Aleni, Bruncu de Pannedda, e diverse tombe di giganti. La zona era densamente frequentata anche in epoca romana come testimoniato dai frammenti di embrici e di terracotta che si rinvengono in superficie in diversi siti posti nelle immediate vicinanze. Il sopra menzionato toponimo di Sant’Aleni potrebbe lasciar trasparire una continuità di frequentazione anche in epoca altomedioevale.

Il territorio del villaggio confinava con Bangiu de Aliri, Sioco, Samatzai, Serrenti, Fraus e Pau.

Per raggiungere il sito partendo da Guasila, si prende la strada comunale (recentemente asfaltata sino ai limiti amministrativi comunali) che conduce alla chiesa rurale di Ns. d’Itria e prosegue oltre sino a Samatzai. La si percorre per 4,2 km circa e, dopo aver oltrepassato un modesta collina sulla sinistra (Su Bruncu de Oliri), a circa 350 metri si scorge un piccolo boschetto e la chiesa di San Pietro di Oliri. Per accedere in auto all’area ove era situato il villaggio si svolta nella strada sterrata a sinistra (fiancheggiata da muretti a secco realizzati con lo spietramento dell’antico abitato) e la si percorre per circa 1,1 km, si svolta nuovamente a sinistra e dopo circa 500 metri si arriva alla chiesa.
In alternativa si può raggiungere anche da Samatzai percorrendo la strada campestre per Guasila anch'essa in discrete condizioni di percorribilità.

Notizie e documenti storici:
La prima attestazione della villa è nella cosiddetta donazione della Trexenta nella quale vengono dettagliatamente elencati i confini della curatoria e di conseguenza i confini esterni delle ville donate.
“... Innij, lassadu su saltu dessa villa de Dej, comenzat su saltu dessa villa de Sioco dessa incontrada de Trexenta cun sa villa de Liri; dessu nurake de Funtana Mozana deretu a hogu a su putu de serra de mesu de Liri.
Et de baxo de Seuni, lassadu su saltu dessa villa de Banzo, etcomensat su saltu dessa villa de Banzo dessa encontrada de Trexenta cum sa dita villa de Liri ; da jnni de serra de mesu deretu a su Rujnali de Aqua Sarsa, parendo a Liri et da jnni deretu segandola a hogu assa Tupa dessos Porcartzos.
Et innij, lassadu su saltu dessa villa de Banzo, etcomenzat su saltu dessas villas de Pau et de Fraus dessa incontrada de Trexenta con sa villa dita de Liri; de’ ssa Tupa dessos Porcartzos da Jnni calat su saltu dessa villa de Fraus serra serra, lassando a Liri totu, fini a sa Corte de Gruttas de Liri et da jnni deretu assu Rujnali ssutta sas Fontanas dessas Gruttas et da jnni deretu a sa Genna de Monticurzo.
Et innij, lassadu su saltu de sa villa de Liri, etcomenzat su saltu dessa villa de Serrenti cum sa villa de Fraus de sa contrada de Trexenta."

Dopo la scomparsa e lo smembramento del Giudicato di Cagliari avvenuto nel 1257-58 un terzo del territorio giudicale, tra cui anche la Trexenta, fu assegnato a Guglielmo di Capraia che rivestiva altresì la carica di Giudice di Arborea. A Guglielmo successe Mariano di Bas il quale nominò il Comune di Pisa erede universale. Alla morte di Mariano seguirono una serie di contese tra gli eredi Capraia e Pisa, e i territori facenti parte del terzo cagliaritano furono confiscati dal comune pisano nel 1307.
A partire dal 1313 Pisa prese ad amministrare direttamente i territori della Trexenta nominando dei rettori e dei funzionari e procedendo a periodici censimenti fiscali denominati “Composizioni”.

Nella composizione del 1320-1322 rileviamo che gli introiti che il comune pisano prevedeva di incassare ammontavano complessivamente 24 libbre in moneta (di cui 19 “pro datio”, 3 “pro dirictu tebernarum vini” e 2 “pro servo pisani Comunis”. Era prevista inoltre la corresponsione di 156 starelli di grano e 120 di orzo.

Questa composizione successivamente confluì, nel 1358-1359, nel cosiddetto “Compartiment de Sardenya” realizzato dai catalano - aragonesi utilizzando appunto anche statistiche predisposte in precedenza dai pisani.

A seguito dell’invasione catalano – aragonese nel maggio del 1325 Aliri venne infeudata al valenzano Francesc Carroz, unitamente alle ville di Siocco, Donigala Alba e Segolai sempre in Trexenta e Mandas, Escolca e Nurri, site nella curatoria di Siurgus.
Nel luglio del 1325 l’infante Alfonso infeudò Aliri a Pietro Penna, notaio di Ugone II d’Arborea, a patto che detta villa non fosse già stata concessa ad altri. In questa ipotesi si concedeva in alternativa la villa di Ortacesus. Poichè entrambe erano già state concesse il Penna ottenne la riduzione del censo su un orto ed altri beni precedentemente avuti in enfiteusi.

La concessione in feudo della villa di Aliri (nonchè di quella di San Venesio) venne contestata dalla badessa “Magdalena abbatissa monasterij Sancti Georgij de Decimo” la quale nel 1327 si rivolgeva all’infante Alfonso sostenendo di essere stata danneggiata da parte degli heretats che si erano appropriati di beni e redditi del monastero. Ottenne l’appoggio dell’Infante che diede ordine al governatore di rendere giustizia al monastero.

Con la seconda e definitiva pace del 1326 tra Pisa e Aragona la Trexenta venne concessa in feudo al comune pisano che riprese ad amministrarla con propri funzionari.

Se il suddetto trattato di pace pose fine alla guerra aperta non fece comunque cessare i soprusi e le vessazione da parte degli iberici nei confronti dei pisani e delle popolazioni a loro sottoposte. Abbiamo notizie di diversi episodi, anche cruenti, ai danni delle popolazioni della Trexenta e di Aliri in particolare.
Infatti nel 1345, a causa del contenzioso in essere tra il citato monastero di Santa Greca di Decimomannu ed il vicario di Pisa in Sardegna, avente ad oggetto i redditi della villa di Aulis (da identificarsi con Alliri/Arilis) ad un certo Giovanni Squirri, della confinante Dei, vennero sottratte con la forza 200 pecore e 150 agnelli dal catalano Pere Martì, procuratore del “monasterij sancte Girche”. Lo Squirri presentò quindi una petizione al Comune di Pisa per ottenere giustizia ed una commissioni di Savi si espresse per concedergli un giusto risarcimento.

Lo stesso Pere Martì de Sarassa nello stesso periodo si rese protagonista di altri atti criminosi (non sappiamo se relazionabili all’episodio precedente oppure se indipendenti da questo) in quanto con altri nobili tra i quali Gombau de Ribelles, Matteu de Montpalau e Francesc Carrós aveva ucciso alcuni sardi nella villa di Aliri. A questo fatto di sangue seguì un’inchiesta con l’invio da Cagliari di alcuni funzionari ma si dubita, in considerazione delle persone coinvolte, che sia stata resa giustizia.
Le molestie contro i feudi pisani continuarono tant’è che il sovrano dovette intervenire personalmente in più di un’occasione nel 1347 e nel 1349.
Il 14 febbraio 1353 il re Pietro IV ancora una volta reiterava gli ordini al governatore ed agli ufficiali regi di non molestare i cittadini pisani. Nella fattispecie Stefanino Olivar, signore di "Sancti Mazarii" (Samatzai), molestava con multe e penali alcuni abitanti delle ville circonvicine (nel testo non viene indicata la provenienza ma molto probabilmente si tratta proprio di Aliri in quanto confinante) che avevano introdotto del bestiame a pascolare, come di consuetudine, nei territori di confine.

Il contenzioso con il monastero di Santa Greca di Decimo nel frattempo non era stato ancora risolto tant’è che nel 1355 la badessa si rivolse al re Pietro IV riproponendo la questione e producendo la documentazione comprovante le donazioni delle ville di Arili e di San Venesio (quest’ultima infeudata al catalano Francesco di San Climent) a favore dell’ente religioso in precedenza effettuate dai Giudici cagliaritani a partire da Torchitorio. Lamentava inoltre che gli abitanti delle ville ed i servi del monastero venivano costretti dai feudatari a prestazioni lavorative dalle quali erano esenti in virtù delle concessioni giudicali.

La villa viene segnalata con una certa discontinuità nelle vendite di sale delle saline cagliaritane. Nel periodo 30 agosto 1347 – 31 luglio 1348 vengono registrati diversi acquisti per un totale di 13 quartini. Successivamente dobbiamo aspettare al periodo 1 maggio 1361 – 30 aprile 1362 per trovare nuove registrazioni di acquisto (1 quartino). Le fonti si interrompono nuovamente e ritroviamo acquisti nel periodo 1 maggio 1389 – 30 aprile 1390 (3 quartini) e 1 luglio 1392 – 31 agosto 1393 (3 quartini).

La composizione 1359 risulta più articolata rispetto alla precedente. “Villa Arilis” contribuiva “pro datio” con 8 libbre di alfonsini minuti oltre a 3 libre per “dirictu tabernarum”. Inoltre gli abitanti dovevano fornire 60 starelli di grano e altrettanti d’orzo. I “palators” invece contribuivano “una – tantum” con uno starello di grano e uno d’orzo

Nel documento sono inoltre elencati, distinti per varie categorie, i diversi contribuenti della villa.
Tra i “maiores”, che aravano con due gioghi, troviamo menzionati: Arsocchus Dorru, Nicola Sancha, Guantinus Sancha, Francischus Colglio e Francatu Sancha.
Tra i “mediocribus”, che aravano con un solo giogo, troviamo: Barsuolus de Sexto, Allegrus de Sexto, Ursus Cordella,·Trahalsus Casus,·Laurentius Sione,·Francischus Sancha,·Arsocchus de Uctu, Filippus Mancha.
Tra i “minoribus” e “palatores” vengono citati: Pasquale Mancha,·Jacominus Bonanni,·Gomita Sancha, Alibrandus Sancha.
La categoria dei "liberi et terrales ab equo" invece era rappresentata da Gonnarius de Martis.

Rispetto alla composizione del 1320-1322 si nota un significativo decremento degli introiti in moneta che passano da 24 a 11 lb. Per gli introiti in natura invece il calo è ancora più marcato in quanto quello in grano passa da 156 a 60 starelli e quello in orzo da 120 a 60 starelli. Sintomo evidente che la villa andava progressivamente decadendo.
La causa del decadimento probabilmente potrebbe essere dovuta alla peste del 1348 nonchè al fatto che la vicina Serrenti in diverse occasioni fu teatro di concentrazione di truppe per le operazioni militari in corso. Infatti nel settembre 1353 Serrenti (e Monastir) fungeva da centro di raccolta delle truppe sarde guidate da Mariano IV in procinto di attaccare prima Decimo e poi Cagliari mentre, nel giugno 1355, sempre a Serrenti, su ordine di Pietro il Cerimonioso si radunarono le truppe sarde a lui fedeli per iniziative militari contro gli arborensi. Come, spesso accadeva, la concentrazione di soldatesche causava danni ingenti sopratutto per piccoli insediamenti già ordinariamente precari.

Il dominio pisano si protrasse sino al 1365 quando le truppe giudicali invasero la Trexenta. Dopo la sconfitta arborense a Sanluri il 30 giugno 1409 la curatoria venne amministrata direttamente dalla corona. Probabilmente è in questo periodo che la villa si spopolò definitivamente ed il suo territorio venne inglobato per la maggior parte dalla confinante Samatzai. Notiamo infatti che nell’infeudazione della Trexenta a Giacomo De Besora del febbraio 1421 Aliri non viene menzionata anche se non è comunque da escludere che in precedenza il villaggio fosse già stato scorporato dal resto della Trexenta ed infeudato a qualche altro “hererat” iberico. Infatti la villa risulta menzionata (come spopolata) in un atto di vendita del 2 giugno 1432 a favore di Bernardo Roff di Cagliari.
La ritroviamo nuovamente, sempre come spopolata, il 31 ottobre 1494 allorchè Iacobus de Aragall, in qualità di tutore e curatore testamentario di Perotus Ludovicus de Erill, presta l'omaggio dinanzi ad Alfonsus Carrillo, (dell'ufficio della real Tesoreria e luogotenente di Ioannes Fabra, procuratore reale del regno di Sardegna), per le ville popolate di Sant Maci (Samassi), Sant Maçai (Samatzai), Sorrent (Serrenti), Usuna, Gesico, Vila Trodor (Tradori), Goni, Nureix (Nureci), Asuni, e le spopolate Jenades, Aliri e Barrala, concesse in feudo dal sovrano al detto Ludovicus de Erill nel rispetto della successione testamentaria di Anthonius de Erill del 25 novembre 1493.

Nel 1542 l'Imperatore Carlo V con apposito diploma approvava la vendita delle ville di Ussana, Samatzai, Serrenti, Samassi, Gesico, Nureci, Genades, Barrali, Aliri, Asuni, Goni e Tradori fatta con regio consenso, del 4 febbraio 1541, da D. Antonio de Erill in favore di D. Salvatore Aymerich, mediante il prezzo di dodicimila ducati d'oro largo valenzano.
L’anno successivo, il 6 giugno, il sovrano dava l'assenso regio all’atto di vendita fatto da Salvatore Aymerich in favore di Filippo de Cervellon per le ville di Samatzai e Tradori, e dei salti che già appartenevano alla spopolata villa di Aliri, acquistata per suo conto da Antonio de Eril d’Orcau.

Pur essendo ormai da tempo spopolata Aliri, o meglio i suoi antichi territori, continuava a rientrare nelle mire dei feudatari iberici. Agli inizi del ‘700 infatti Giovanni de Cervellon moriva senza eredi maschi per cui i feudi di Samatzai, Arili e Tradori furono occupati da sua sorella Marianna de Cervellon che però entrò in lite con il Fisco per causa di devoluzione e un altro erede, Pietro Emanuele de Cervellon, in qualità di agnato discendente da Gerolamo Cervellon, ottenne i feudi contestati venendone integrato nel possesso con sentenza a lui favorevole nel novembre del 1704.

Luoghi di culto:
Dell’antico villaggio rimanevano, sino alla seconda metà degli anni ’70, i ruderi della chiesa di San Pietro. L’edificio, era ormai completamente crollato e residuavano solo alcuni muri e delle pietre infisse in passato adibite a sostegno della copertura. Successivamente l’edificio è stato completamente ricostruito e attualmente viene utilizzato in occasione della festa campestre di fine giugno. A qualche centinaio di metri esiste l’agiotoponimo di Sant’Aleni (Sant’Elena) che potrebbe essere riconducibile ad un’altra chiesa andata distrutta ma della quale purtroppo non ci è rimasta alcuna traccia.

Sergio Sailis