martedì 22 gennaio 2013

Nuraghe Piscu (Suelli)

Planimetria del Nuraghe Piscu
Vincenzo SANTONI, Nuraghe Piscu di Suelli: documenti materiali del bronzo medio-recente, in "La Sardegna nel Mediterraneo tra il bronzo medio e il bronzo recente (XVI-XII sec. a.C.) - Atti del III Convegno di studi "Un millennio di relazioni tra la Sardegna e i Paesi del Mediterraneo" Selargius-Cagliari 19/22 novembre 1987", pag. 167-185, Cagliari 1992, 
Nuraghe PISCU - Suelli
di Sergio Sailis

Il Nuraghe Piscu di Suelli, citato anche in diversi documenti di epoca medioevale[1], è forse il più monumentale e meglio conservato dei circa 200 nuraghi censiti in Trexenta oltre ad essere uno dei pochi indagati archeologicamente in questa zona. I primi scavi avvennero nel 1860 ad opera del proprietario del fondo il Cav. Bartolomeo Casu; questi lavori purtroppo vennero però effettuati senza un minimo di criterio scientifico per cui la stragrande maggioranza dei dati andarono irrimediabilmente persi. Successivamente in epoca moderna (specialmente negli anni ’80 del secolo scorso) sono stati fatti diversi interventi, questa volta fortunatamente con criteri moderni, che hanno permesso di approfondire la conoscenza del monumento e rimediare in parte allo scempio scientifico causato dai primi lavori di scavo i quali vennero già a suo tempo criticati dal Canonico Giovanni Spano.


Di seguito riportiamo le impressioni dello studioso sardo che può essere considerato uno dei padri dell’archeologia isolana; và premesso ovviamente che le sue osservazioni, di oltre un secolo e mezzo fa, sono fortemente condizionate dalle conoscenze dell’epoca, nel frattempo naturalmente progredite, sulle strutture nuragiche. In conclusione al suo “Memoria sopra i nuraghi di Sardegna” lo Spano infatti, dopo aver fatto una carrellata delle vari ipotesi (cercando di confutarle) sulla destinazione d’uso dei nuraghi, riporta[2]:
“Soddisfatte queste principali difficoltà che spesse volte udii affacciarsi e propormi da alcuni, allorchè nel discorso si discuteva dell’origine e della destinazione di questi monumenti sardi, conchiudo questa mia memoria sopra i medesimi, affermando che nulla si oppone a che nella prima loro costruzione si addica il nome di case, o di abitazioni.
Case che furono erette per ferma e pacifica dimora dalle prime famiglie, quando costituite in società pensarono a far stabili edificj nella primiera semplicità che in sé traspirano. Primo per l’impronta e carattere orientale. Secondo per il nome che hanno conservato. Terzo per la tradizione popolare conservata nell’Isola. Quarto finalmente per mancare quei segni e caratteri che li possono classificare tra i pubblici, privati, o religiosi edificj. In sostanza dunque i Nuraghi sono abituri innalzati dai primi coloni che, dietro la dispersione dei popoli d’Oriente, si stabilirono nell’Isola, pochi secoli dopo il diluvio, dove col tempo accoppiando l’arte della pastorizia all’agricoltura, abbracciarono una stabile dimora colla divisione delle rispettive terre.”
Di seguito a queste sue conclusioni lo Spano riporta una scheda, e questa è quella che in questa sede ci interessa maggiormente al fine dei ritrovamenti fatti, sopra il Nuraghe Piscu oggetto come accennato in precedenza degli scavi avvenuti appena qualche anno prima[3]:

NURAXI PISCU DI SUELLI
(di Giovanni SPANO, in Memoria sopra i nuraghi di Sardegna, terza ed., Cagliari 1867, pagg. 79-84)
 
In conferma di tutto quanto ho esposto nella presente memoria, terminerò colla descrizione del Nuraghe Piscu di Suelli, del quale si è riportata una tavola in fronte della seconda edizione, cogli oggetti che nel medesimo furono scoperti quando venne sgombrato dalle macerie di cui era coperto, e che ho accennato a pag. 61.
Spunta il Nuraghe grande in mezzo al ciglione, di un sol piano terreno. La camera ogivale è molto vasta quasi della stessa grandezza di quello d'Isili (p. 66). È attorniato da un vasto antemurale in quadratura, agli angoli del quale sorgevano altri quattro piccoli Nuraghi colle rispettive camere, alle quali si entrava dall'atrio che sta attorno tra l'antemurale e lo stesso Nuraghe. La porta dell'antemurale è al sud, ed è in corrispondenza della porta del Nuraghe, la quale a più di aver due nicchioni per parte, sopra della pietra dell'architrave ha un finestrino quadrato per accrescere la luce interna della camera, come ho notato parlando del Nuraghe Bidìghinzu (pag. 64, n. 2).
Nel 1854 allorchè la prima volta visitai questo Nuraghe, era tutto interrato, ed appena spuntava pochi metri dal suolo: fin d'allora dissi che non era residuo o fondamenta di Nuraghe, come da alcuni si credeva, e che la sommità fosse distrutta, ma che il Nuraghe era interrato colla camera, e colle sue attinenze. Non m'ingannai, perché nel 1860, il proprietario del predio, ch'è il Nob. Cav. Don Bartolomeo Casu di Suelli, unito con altre persone di Cagliari, si diedero a sgombrarlo: ma ignari delle costruzioni dei Nuraghi, a vece di principiare lo scavo dalla parte del Sud, lo praticarono dalla parte del Nord. Fattisi strada nell' antemurale, arrivarono alla galleria che isolava il gran Nuraghe [4], e fecero una breccia nelle fondamenta dello stesso Nuraghe per penetrare dentro la camera. Fu veramente un vandalismo ed un azzardo tagliare quei grossi macigni, scostando un muro di spessezza tre metri e mezzo.
Penetrati dentro la gran camera, si diedero a sgombrarla dalla terra che in tanti secoli vi era penetrata dalla porla e da una apertura che avevano praticato nella sommità. Arrivarono sino al pavimento lutto lastricato con grosse lapidi: furono smosse queste, e dopo uno strato di terra trovarono uno strato di pietre: tolsero queste e ne trovarono un altro, indi la terra soda.
Gli oggetti che si trovarono in questa camera furono una gran giarra infìssa in terra ad un Iato, coperta di una gran lapide e molti guscj di ostriche, alquanta cenere, e ceppaje intiere, e finalmente branche di corna di cervo con alcune grosse zanne di cinghiali ed ossami di animali forse di capre [5].
Avendo rimesso al G. Alb. Della Marmora alcuni di questi gusci d'ostriche o di conchiglie, ecco come il medesimo mi rispondeva con lettera del 2 settembre dell'anno 1861.
“Le conchiglie del Nuraghe di Suelli mi sembrano essere più recenti del terreno terziario; apparterrebbero al mio terreno quaternario (strada is Mìrrionis, e della villa di S. Tommaso che mette allo stagno di Pauli): ma siccome queste sono due conchiglie edulie, o ostrea mitilus, non sarebbe nullameno impossibile che fossero state portate nel Nuraghe da uomini che si nutrivano della sostanza contenuta in quelle conchiglie. Di questi pseudo fossili ne ho trovati in moltissimi luoghi, specialmente nel sentiero che da Iglesias mette alla chiesetta che domina la città. “
Dopo che trovarono la porta d'ingresso si fecero a sgombrare la terra che stava intorno al Nuraghe, e così si scoprì che tra il muraglione e lo stesso Nuraghe vi era un passaggio di tre metri circa attorno, il quale metteva agli altri piccoli appartamenti che erano più bassi del Nuraghe, ma fabbricati collo stesso metodo, cioè in forma ogivale. In una di queste camere a est si trovò un mucchio di grano tutto carbonizzato, ed in mezzo una conca ovale di bronzo che nell' ossido vi sono rimasti attaccati i chicchi dello stesso grano. Più un altro scodellino di bronzo che uno prenderebbe per lucerna, ma io credo meglio che fosse misura [6].
Nell' andito si scopersero altri guscj di ostriche, rottami di grosse stoviglie e altre zanne di porco. Più pezzi di macine di pietra vulcanica di Nurri ed un pezzo di marmo bardilio forse di Mandas, ben lisciato, forse per appianare o conciar pelli, ed un altro di pietra differente cenericcia che ha l'incavo di un veruto, ossia è una forma di quest'arma. Vi si raccolsero pure alcuni pezzi di bronzo ossidato, ma niente si trovò di ferro. In uno dei nicchioni della porta si trovò una gran lancia di bronzo di lunghezza m. 0, 50 [7].
Parimente nell'andito si trovò una stela quasi quadrata della stessa pietra del Nuraghe, che basava sopra un piedestallo rotondo di arenaria: sopra la stela vi stava un'altra pietra rotonda, e sopra questa una piccola palla. Non sappiamo qual significato abbia avuto, forse simbolo di adorazione ai lari domestici.
Ma quello che più ha cagionato maraviglia in questo scavo è di aver scoperto nella parte interna del muraglione una gran nicchia a sud-est, la quale al di sopra ha le pietre forate come un canale di cisterna. Avendo scavato sotto in corrispondenza al buco si trovò un' apertura a triangolo che corrispondeva ad una cisterna fabbricata a pietre come la stessa camera del Nuraghe, cioè ogivale, due metri e più, e datisi a svuotarla, estrassero dal fondo una quantità di vasellame molto curioso per la qualità della terra, e per la forma nuova ed arcaica.
Alcuni di questi vasetti sono ad un manico coll' orificio tagliato diagonalmente che potevano servire come bicchieri: uno di questi ha nel manico un beccuccio da cui usciva il liquore, grafito sotto il collo. Gli altri sono a due manichi, e nella parte superiore hanno due buchi per attaccarvi un cordone potendosene così servire per secchiette. Uno di questi da una parte è concavo e dall'altra piano, da cui pare che se ne servissero per portarlo ad armicollo. In tutti si osserva di non avere una perfetta rotondità: dalla qual cosa si può inferire che fossero eseguiti con stecco, e a mano senza l' uso della rota. La terra è di color nericcio in tutti, salvo in due ch'è rossastra o argillosa, ma lavorati trascuratamente. Si estrassero pure alcuni scodelloni della stessa qualità di terra, che sicuramente saranno serviti come gli altri vasetti per uso di attingere l'acqua. La cosa però più singolare è una tazza bislunga a becco di steatite, o pietra nera, la quale è scavata con stromento tagliente.
Per conghietturare il motivo perché una quantità di stoviglie stava in fondo di questa cisterna, dico che, attesa la forma degli stessi vasetti, dessi erano quelli dei quali si servivano per usi quotidiani, e che, attingendo l'acqua coi medesimi siano caduti dentro la cisterna casualmente, come succede con frequenza oggi nelle nostre cisterne [8].
L'altra cosa finalmente da notare in questo piccolo serbatojo d'acqua è che al lato dell'apertura vi stava un masso di pietra arenaria la quale in mezzo era scavata, ed all'orlo aveva un canaletto. Ciò dimostra che serviva per collocarvi i vasi grandi che volevano empirsi, e l'acqua che cadeva nel sottoposto recipiente, tornava a cadere per mezzo del canaletto dentro la medesima cisterna, uso rimasto presso di noi, dove l'acqua è scarsa.
Quanto ho esposto di questo Nuraghe è un testimonio parlante che desso era un'abitazione di famiglia dei remotissimi tempi. Se allo scavo avesse presieduto qualche persona intelligente, si sarebbero potute fare altre osservazioni che avrebbero rinforzato l'argomento; ma a vece lo scavo si è fatto, a casaccio da persone poco perite, senza essere state sorvegliate, lavorando per tre mesi a diverse riprese. Io sono sicuro che se tutti i Nuraghi che compariscono atterrati, venissero sgombrati come questo, da per tutto si troverebbero gli stessi oggetti che annunziano l'uso domestico che ne fecero quelli che vi abitavano dentro [9].
La mancanza assoluta di ogni segno scritto, di figure simboliche, e di altro simile, escludono ogni idea ed ogni conghiettura che tali opere di solida costruzione fossero destinate a culto religioso o a sepolcri.
I Nuraghi già descritti sono stati abitati in età differenti. Le terraglie che vi si trovano ne sono una sicura prova. In Nur. Arrosu di Guspini raccolsi quattro qualità di stoviglie di età differenti, principiando da quella terra impastata tutta di sabbia al naturale. Lo stesso occorse in altri che ho visitato, come in quello di Pala 'e Pardu di Gonos, di Piscu di Suelli, di Simieri di Senorbì, di Santinu di Torralba, e così via di altri. Da per tutto si trovano avanzi di utensili domestici, di cose vegetali ed animali che indicano d'esservi abitate famiglie da secoli e secoli. Il terreno circostante perciò è vegetale, grasso e marnoso, e se in Sardegna si volessero cercare le terremari, si troverebbero preferibilmente intorno ai Nuraghi.
 


[1] Il così definito “Nuragi de Piscobu" è uno dei punti di confine delle proprietà che i Giudici di Cagliari donano al Vescovado di Suelli. Cfr. Arrigo SOLMI, Le carte volgari dell'archivio arcivescovile di Cagliari: testi campidanesi dei secoli XI e XIII, in Archivio Storico Italiano - tomo XXXV - anno 1905, Firenze 1905, (Carta XI del giugno 1215) pag. 293. In epoca pisana nei pressi del nuraghe (“in loco dicto Nurasce de Piscopo”) sono citati alcuni possedimenti di abitanti della villa di Siunis (Seuni). Cfr. Francesco ARTIZZU, L'Aragona e i territori pisani di Trexenta e Gippi, in Annali delle Facoltà di Lettere, Filosofia e Magistero dell'Università di Cagliari - estratto vol. XXX - 1967, Cagliari 1968, pag. 74 e 76.
[2] Giovanni SPANO, in Memoria sopra i nuraghi di Sardegna, terza ed., Cagliari 1867, pagg. 78.
[3] Giovanni SPANO, in Memoria sopra i nuraghi di Sardegna, terza ed., Cagliari 1867, pagg. 79-84.


LE SEGUENTI NOTE SONO DEL BRANO ORIGINALE DELLO SPANO
[4] Nella parte interna dell' antemurale vi erano praticati piccoli armadi in quadratura, come oggi si usa nelle case di campagna per riporvi attrezzi e provviste di bocca.
[5] Una di queste grosse zanne ha il diametro di cm. 3.
[6] Queste misure hanno la figura di una  sassola, ed è da notare che stromenti di questa capacità si usano tuttora nei villaggi chiamati volgarmente Conculos.
[7] In altri Nuraghi che furono scavati si trovarono, armi di bronzo, ma di altro genere, cioè di quelle che hanno la. figura di picchi o martelline. Una di queste se ne trovò nel Nuraghe Taulera dal Cav. Delitala (p. 59), e simili pure in un Nuraghe di Ozieri che sono accennate dal Madau nelle antichità della Sardegna. In Nur. Crobus di Guspini fu pure trovata un arma di bronzo in forma di picco, simile a quella trovala in Nur. Massenti di Barumini. Ordinariamente le armi di pietre, e di bronzo si trovano in vicinanza dei Nuraghi e delle sepolture di Giganti. V. la nostra Memoria sopra l'antica città di Gurulis Vetus. Cagl. 1867.
[8] È rara la cisterna antica romana che per caso si scopre, allorquando si eseguisce qualche edifizio nuovo, nella quale non si trovi un numero di anfore di ogni grandezza, spezzate ed intiere.
[9] Nelle Marmille, nel territorio di Barumini, il Sig. G. Serpi fece degli scavi nel Nur. Massenti, dove trovò quasi li stessi oggetti. V. Memoria sopra l'antica Gurulis Vetus, ecc. Cagl. 1867 p, 90.

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