Nuraghe
PISCU - Suelli
di Sergio Sailis
Il Nuraghe Piscu di
Suelli, citato anche in diversi documenti di epoca medioevale[1],
è forse il più monumentale e meglio conservato dei circa 200 nuraghi censiti in
Trexenta oltre ad essere uno dei pochi indagati archeologicamente in questa
zona. I primi scavi avvennero
nel 1860 ad opera del proprietario del fondo il Cav. Bartolomeo Casu; questi lavori
purtroppo vennero però effettuati senza un minimo di criterio scientifico per
cui la stragrande maggioranza dei dati andarono irrimediabilmente persi. Successivamente in
epoca moderna (specialmente negli anni ’80 del secolo scorso) sono stati fatti
diversi interventi, questa volta fortunatamente con criteri moderni, che hanno
permesso di approfondire la conoscenza del monumento e rimediare in parte allo
scempio scientifico causato dai primi lavori di scavo i quali vennero già a suo
tempo criticati dal Canonico Giovanni Spano.
Di seguito riportiamo le impressioni dello studioso sardo che può essere considerato uno dei padri dell’archeologia isolana; và premesso ovviamente che le sue osservazioni, di oltre un secolo e mezzo fa, sono fortemente condizionate dalle conoscenze dell’epoca, nel frattempo naturalmente progredite, sulle strutture nuragiche. In conclusione al suo “Memoria sopra i nuraghi di Sardegna” lo Spano infatti, dopo aver fatto una carrellata delle vari ipotesi (cercando di confutarle) sulla destinazione d’uso dei nuraghi, riporta[2]:
“Soddisfatte
queste principali difficoltà che spesse volte udii affacciarsi e propormi da
alcuni, allorchè nel discorso si discuteva dell’origine e della destinazione di
questi monumenti sardi, conchiudo questa mia memoria sopra i medesimi,
affermando che nulla si oppone a che nella prima loro costruzione si addica il
nome di case, o di abitazioni.
Case
che furono erette per ferma e pacifica dimora dalle prime famiglie, quando
costituite in società pensarono a far stabili edificj nella primiera semplicità
che in sé traspirano. Primo per l’impronta e carattere orientale. Secondo per
il nome che hanno conservato. Terzo per la tradizione popolare conservata
nell’Isola. Quarto finalmente per mancare quei segni e caratteri che li possono
classificare tra i pubblici, privati, o religiosi edificj. In sostanza dunque i
Nuraghi sono abituri innalzati dai primi coloni che, dietro la dispersione dei
popoli d’Oriente, si stabilirono nell’Isola, pochi secoli dopo il diluvio, dove
col tempo accoppiando l’arte della pastorizia all’agricoltura, abbracciarono
una stabile dimora colla divisione delle rispettive terre.”
Di seguito a queste sue
conclusioni lo Spano riporta una scheda, e questa è quella che in questa sede ci
interessa maggiormente al fine dei ritrovamenti fatti, sopra il Nuraghe Piscu oggetto come accennato in
precedenza degli scavi avvenuti appena qualche anno prima[3]:
NURAXI PISCU DI SUELLI
(di Giovanni SPANO, in Memoria sopra i nuraghi di Sardegna, terza ed., Cagliari 1867, pagg. 79-84)
(di Giovanni SPANO, in Memoria sopra i nuraghi di Sardegna, terza ed., Cagliari 1867, pagg. 79-84)
In
conferma di tutto quanto ho esposto nella presente memoria, terminerò colla
descrizione del Nuraghe Piscu di Suelli, del quale si è riportata una tavola in
fronte della seconda edizione, cogli oggetti che nel medesimo furono scoperti
quando venne sgombrato dalle macerie di cui era coperto, e che ho accennato a
pag. 61.
Spunta
il Nuraghe grande in mezzo al ciglione, di un sol piano terreno. La camera ogivale
è molto vasta quasi della stessa grandezza di quello d'Isili (p. 66). È
attorniato da un vasto antemurale in quadratura, agli angoli del quale
sorgevano altri quattro piccoli Nuraghi colle rispettive camere, alle quali si
entrava dall'atrio che sta attorno tra l'antemurale e lo stesso Nuraghe. La
porta dell'antemurale è al sud, ed è in corrispondenza della porta del Nuraghe,
la quale a più di aver due nicchioni per parte, sopra della pietra
dell'architrave ha un finestrino quadrato per accrescere la luce interna della
camera, come ho notato parlando del Nuraghe Bidìghinzu (pag. 64, n. 2).
Nel
1854 allorchè la prima volta visitai questo Nuraghe, era tutto interrato, ed
appena spuntava pochi metri dal suolo: fin d'allora dissi che non era residuo o
fondamenta di Nuraghe, come da alcuni si credeva, e che la sommità fosse
distrutta, ma che il Nuraghe era interrato colla camera, e colle sue attinenze.
Non m'ingannai, perché nel 1860, il proprietario del predio, ch'è il Nob. Cav.
Don Bartolomeo Casu di Suelli, unito con altre persone di Cagliari, si diedero
a sgombrarlo: ma ignari delle costruzioni dei Nuraghi, a vece di principiare lo
scavo dalla parte del Sud, lo praticarono dalla parte del Nord. Fattisi strada
nell' antemurale, arrivarono alla galleria che isolava il gran Nuraghe [4], e
fecero una breccia nelle fondamenta dello stesso Nuraghe per penetrare dentro la
camera. Fu veramente un vandalismo ed un azzardo tagliare quei grossi macigni,
scostando un muro di spessezza tre metri e mezzo.
Penetrati
dentro la gran camera, si diedero a sgombrarla dalla terra che in tanti secoli
vi era penetrata dalla porla e da una apertura che avevano praticato nella
sommità. Arrivarono sino al pavimento lutto lastricato con grosse lapidi:
furono smosse queste, e dopo uno strato di terra trovarono uno strato di
pietre: tolsero queste e ne trovarono un altro, indi la terra soda.
Gli
oggetti che si trovarono in questa camera furono una gran giarra infìssa in
terra ad un Iato, coperta di una gran lapide e molti guscj di ostriche,
alquanta cenere, e ceppaje intiere, e finalmente branche di corna di cervo con
alcune grosse zanne di cinghiali ed ossami di animali forse di capre [5].
Avendo
rimesso al G. Alb. Della Marmora alcuni di questi gusci d'ostriche o di
conchiglie, ecco come il medesimo mi rispondeva con lettera del 2 settembre
dell'anno 1861.
“Le
conchiglie del Nuraghe di Suelli mi sembrano essere più recenti del terreno
terziario; apparterrebbero al mio terreno quaternario (strada is Mìrrionis, e
della villa di S. Tommaso che mette allo stagno di Pauli): ma siccome queste
sono due conchiglie edulie, o ostrea mitilus, non sarebbe nullameno impossibile
che fossero state portate nel Nuraghe da uomini che si nutrivano della sostanza
contenuta in quelle conchiglie. Di questi pseudo fossili ne ho trovati in
moltissimi luoghi, specialmente nel sentiero che da Iglesias mette alla
chiesetta che domina la città. “
Dopo
che trovarono la porta d'ingresso si fecero a sgombrare la terra che stava
intorno al Nuraghe, e così si scoprì che tra il muraglione e lo stesso Nuraghe
vi era un passaggio di tre metri circa attorno, il quale metteva agli altri
piccoli appartamenti che erano più bassi del Nuraghe, ma fabbricati collo
stesso metodo, cioè in forma ogivale. In una di queste camere a est si trovò un
mucchio di grano tutto carbonizzato, ed in mezzo una conca ovale di bronzo che
nell' ossido vi sono rimasti attaccati i chicchi dello stesso grano. Più un
altro scodellino di bronzo che uno prenderebbe per lucerna, ma io credo meglio
che fosse misura [6].
Nell'
andito si scopersero altri guscj di ostriche, rottami di grosse stoviglie e
altre zanne di porco. Più pezzi di macine di pietra vulcanica di Nurri ed un
pezzo di marmo bardilio forse di Mandas, ben lisciato, forse per appianare o
conciar pelli, ed un altro di pietra differente cenericcia che ha l'incavo di
un veruto, ossia è una forma di quest'arma. Vi si raccolsero pure alcuni pezzi
di bronzo ossidato, ma niente si trovò di ferro. In uno dei nicchioni della
porta si trovò una gran lancia di bronzo di lunghezza m. 0, 50 [7].
Parimente
nell'andito si trovò una stela quasi quadrata della stessa pietra del Nuraghe,
che basava sopra un piedestallo rotondo di arenaria: sopra la stela vi stava
un'altra pietra rotonda, e sopra questa una piccola palla. Non sappiamo qual
significato abbia avuto, forse simbolo di adorazione ai lari domestici.
Ma
quello che più ha cagionato maraviglia in questo scavo è di aver scoperto nella
parte interna del muraglione una gran nicchia a sud-est, la quale al di sopra
ha le pietre forate come un canale di cisterna. Avendo scavato sotto in
corrispondenza al buco si trovò un' apertura a triangolo che corrispondeva ad
una cisterna fabbricata a pietre come la stessa camera del Nuraghe, cioè
ogivale, due metri e più, e datisi a svuotarla, estrassero dal fondo una
quantità di vasellame molto curioso per la qualità della terra, e per la forma
nuova ed arcaica.
Alcuni
di questi vasetti sono ad un manico coll' orificio tagliato diagonalmente che
potevano servire come bicchieri: uno di questi ha nel manico un beccuccio da
cui usciva il liquore, grafito sotto il collo. Gli altri sono a due manichi, e
nella parte superiore hanno due buchi per attaccarvi un cordone potendosene
così servire per secchiette. Uno di questi da una parte è concavo e dall'altra
piano, da cui pare che se ne servissero per portarlo ad armicollo. In tutti si
osserva di non avere una perfetta rotondità: dalla qual cosa si può inferire
che fossero eseguiti con stecco, e a mano senza l' uso della rota. La terra è
di color nericcio in tutti, salvo in due ch'è rossastra o argillosa, ma
lavorati trascuratamente. Si estrassero pure alcuni scodelloni della stessa
qualità di terra, che sicuramente saranno serviti come gli altri vasetti per
uso di attingere l'acqua. La cosa però più singolare è una tazza bislunga a
becco di steatite, o pietra nera, la quale è scavata con stromento tagliente.
Per
conghietturare il motivo perché una quantità di stoviglie stava in fondo di
questa cisterna, dico che, attesa la forma degli stessi vasetti, dessi erano
quelli dei quali si servivano per usi quotidiani, e che, attingendo l'acqua coi
medesimi siano caduti dentro la cisterna casualmente, come succede con
frequenza oggi nelle nostre cisterne [8].
L'altra
cosa finalmente da notare in questo piccolo serbatojo d'acqua è che al lato
dell'apertura vi stava un masso di pietra arenaria la quale in mezzo era
scavata, ed all'orlo aveva un canaletto. Ciò dimostra che serviva per
collocarvi i vasi grandi che volevano empirsi, e l'acqua che cadeva nel sottoposto
recipiente, tornava a cadere per mezzo del canaletto dentro la medesima
cisterna, uso rimasto presso di noi, dove l'acqua è scarsa.
Quanto
ho esposto di questo Nuraghe è un testimonio parlante che desso era
un'abitazione di famiglia dei remotissimi tempi. Se allo scavo avesse
presieduto qualche persona intelligente, si sarebbero potute fare altre
osservazioni che avrebbero rinforzato l'argomento; ma a vece lo scavo si è
fatto, a casaccio da persone poco perite, senza essere state sorvegliate,
lavorando per tre mesi a diverse riprese. Io sono sicuro che se tutti i Nuraghi
che compariscono atterrati, venissero sgombrati come questo, da per tutto si
troverebbero gli stessi oggetti che annunziano l'uso domestico che ne fecero
quelli che vi abitavano dentro [9].
La
mancanza assoluta di ogni segno scritto, di figure simboliche, e di altro
simile, escludono ogni idea ed ogni conghiettura che tali opere di solida
costruzione fossero destinate a culto religioso o a sepolcri.
I
Nuraghi già descritti sono stati abitati in età differenti. Le terraglie che vi
si trovano ne sono una sicura prova. In Nur. Arrosu di Guspini raccolsi quattro
qualità di stoviglie di età differenti, principiando da quella terra impastata
tutta di sabbia al naturale. Lo stesso occorse in altri che ho visitato, come
in quello di Pala 'e Pardu di Gonos, di Piscu di Suelli, di Simieri di Senorbì,
di Santinu di Torralba, e così via di altri. Da per tutto si trovano avanzi di
utensili domestici, di cose vegetali ed animali che indicano d'esservi abitate
famiglie da secoli e secoli. Il terreno circostante perciò è vegetale, grasso e
marnoso, e se in Sardegna si volessero cercare le terremari, si troverebbero
preferibilmente intorno ai Nuraghi.
[1]
Il così definito “Nuragi de Piscobu" è uno dei punti di confine delle
proprietà che i Giudici di Cagliari donano al Vescovado di Suelli. Cfr. Arrigo
SOLMI, Le carte volgari dell'archivio arcivescovile di Cagliari: testi
campidanesi dei secoli XI e XIII, in Archivio Storico Italiano - tomo XXXV -
anno 1905, Firenze 1905, (Carta XI del giugno 1215) pag. 293. In epoca pisana nei
pressi del nuraghe (“in loco dicto Nurasce de Piscopo”) sono citati alcuni
possedimenti di abitanti della villa di Siunis (Seuni). Cfr. Francesco ARTIZZU,
L'Aragona e i territori pisani di Trexenta e Gippi, in Annali delle Facoltà di
Lettere, Filosofia e Magistero dell'Università di Cagliari - estratto vol. XXX
- 1967, Cagliari 1968, pag. 74 e 76.
[2]
Giovanni SPANO, in Memoria sopra i nuraghi di Sardegna, terza ed., Cagliari
1867, pagg. 78.
[3]
Giovanni SPANO, in Memoria sopra i nuraghi di Sardegna, terza ed., Cagliari
1867, pagg. 79-84.
LE SEGUENTI NOTE SONO DEL BRANO ORIGINALE DELLO SPANO
LE SEGUENTI NOTE SONO DEL BRANO ORIGINALE DELLO SPANO
[4]
Nella parte interna dell' antemurale vi erano praticati piccoli armadi in
quadratura, come oggi si usa nelle case di campagna per riporvi attrezzi e
provviste di bocca.
[5]
Una di queste grosse zanne ha il diametro di cm. 3.
[6]
Queste misure hanno la figura di una
sassola, ed è da notare che stromenti di questa capacità si usano
tuttora nei villaggi chiamati volgarmente Conculos.
[7]
In altri Nuraghi che furono scavati si trovarono, armi di bronzo, ma di altro
genere, cioè di quelle che hanno la. figura di picchi o martelline. Una di
queste se ne trovò nel Nuraghe Taulera dal Cav. Delitala (p. 59), e simili pure
in un Nuraghe di Ozieri che sono accennate dal Madau nelle antichità della
Sardegna. In Nur. Crobus di Guspini fu pure trovata un arma di bronzo in forma
di picco, simile a quella trovala in Nur. Massenti di Barumini. Ordinariamente
le armi di pietre, e di bronzo si trovano in vicinanza dei Nuraghi e delle
sepolture di Giganti. V. la nostra Memoria sopra l'antica città di Gurulis
Vetus. Cagl. 1867.
[8]
È rara la cisterna antica romana che per caso si scopre, allorquando si
eseguisce qualche edifizio nuovo, nella quale non si trovi un numero di anfore
di ogni grandezza, spezzate ed intiere.
[9]
Nelle Marmille, nel territorio di Barumini, il Sig. G. Serpi fece degli scavi
nel Nur. Massenti, dove trovò quasi li stessi oggetti. V. Memoria sopra
l'antica Gurulis Vetus, ecc. Cagl. 1867 p, 90.
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