BARISONE d'Arborea
Dizionario Biografico degli
Italiani - Volume 6 (1964)
di Francesco Artizzu
BARISONE d'Arborea. - Nacque dal
giudice d'Arborea Comita II e da Elena de Orrubu nei primi decenni del sec.
XII. Succedette direttamente al padre, ma non si conosce la data precisa della
sua assunzione al trono giudicale d'Arborea, né se vi sia stato un periodo di
correggenza. Sposò in prime nozze Pellegrina de Lacon, appartenente a una delle
più antiche e nobili famiglie dell'isola, e ne ebbe i figli Pietro, Barisone,
Ispella e Susanna. La prima testimonianza riguardante la sua attività risale al
1146. In quell'anno, infatti, in occasione della consacrazione della nuova
chiesa annessa al monastero di Santa Maria di Bonarcado, egli, nella sua
qualità di giudice dell'Arborea, assistito dai maggiorenti e dall'alto clero
del giudicato e da Villano, arcivescovo di
Pisa, intervenuto come legato, concedeva alcune terre demaniali per la dotazione della chiesa stessa. I primi anni del suo regno, assai poveri di avvenimenti, sembrano caratterizzati da un atteggiamento di benevolenza nei confronti del clero e delle chiese del giudicato. Dopo aver ripudiato Pellegrina de Lacon, Barisone si univa in matrimonio, nell'ottobre del 1157, con Agalbursa de Cervera, figlia di Poncio e di Almodis, sorella di Raimondo Berengario IV, conte di Barcellona.
Il ripudio e il secondo matrimonio, che comportò rapporti di parentela con la casa di Barcellona e una certa penetrazione di nobili e funzionari catalani nell'Arborea, debbono essere visti sotto la luce dell'utilità politica. Il conte di Barcellona, infatti, cercava nel giudice arborense un alleato nella lotta contro gli Almoravidi, che dalle Baleari minacciavano con incursioni le coste della Catalogna, mentre Barisone tendeva ad acquistare il potente appoggio del signore catalano nell'attuazione del suo disegno di conquista e unificazione della Sardegna. Circa la campagna contro gli Almoravidi delle Baleari è da ricordare che Barisone, in epoca compresa fra il 1157 e il 1162, aveva trattato di essa, a nome dei conte di Barcellona, con l'arcivescovo di Pisa e con i consoli e gli Anziani di questo comune, ottenendone promessa di appoggio. In una sua lettera a Raimondo Berengario Barisone esponeva il suo punto di vista circa l'impresa progettata, opinando che Pisa si sarebbe potuta impegnare dopo che avesse fatto pace, o almeno tregua, con Lucca, e se di tutto fosse stato interessato il pontefice.
Pisa, intervenuto come legato, concedeva alcune terre demaniali per la dotazione della chiesa stessa. I primi anni del suo regno, assai poveri di avvenimenti, sembrano caratterizzati da un atteggiamento di benevolenza nei confronti del clero e delle chiese del giudicato. Dopo aver ripudiato Pellegrina de Lacon, Barisone si univa in matrimonio, nell'ottobre del 1157, con Agalbursa de Cervera, figlia di Poncio e di Almodis, sorella di Raimondo Berengario IV, conte di Barcellona.
Il ripudio e il secondo matrimonio, che comportò rapporti di parentela con la casa di Barcellona e una certa penetrazione di nobili e funzionari catalani nell'Arborea, debbono essere visti sotto la luce dell'utilità politica. Il conte di Barcellona, infatti, cercava nel giudice arborense un alleato nella lotta contro gli Almoravidi, che dalle Baleari minacciavano con incursioni le coste della Catalogna, mentre Barisone tendeva ad acquistare il potente appoggio del signore catalano nell'attuazione del suo disegno di conquista e unificazione della Sardegna. Circa la campagna contro gli Almoravidi delle Baleari è da ricordare che Barisone, in epoca compresa fra il 1157 e il 1162, aveva trattato di essa, a nome dei conte di Barcellona, con l'arcivescovo di Pisa e con i consoli e gli Anziani di questo comune, ottenendone promessa di appoggio. In una sua lettera a Raimondo Berengario Barisone esponeva il suo punto di vista circa l'impresa progettata, opinando che Pisa si sarebbe potuta impegnare dopo che avesse fatto pace, o almeno tregua, con Lucca, e se di tutto fosse stato interessato il pontefice.
Dopo gli accordi con il signore
catalano, Barisone iniziò la sua azione per la conquista e l'unificazione
dell'isola. Col pretesto che la discendenza diretta di Costantino, giudice di
Cagliari, era estinta e che la successione di quel giudicato non poteva
discendere per il ramo femminile - il giudicato di Cagliari era, infatti,
tenuto da Pietro, marito di una figlia di Costantino - egli si fece sostenitore
di un pretendente al trono, invase il giudicato di Cagliari e costrinse il
giudice Pietro a rifugiarsi presso il fratello Barisone di Torres. Nella
primavera del 1164 Pietro riuscì, con l'aiuto del fratello e di contingenti
pisani, a riconquistare il Cagliaritano e a invadere l'Arborea, costringendo
Barisone alla fuga. Barisone riprese allora gli indirizzi della politica
filogenovese di suo padre e, messosi in contatto con il Comune ligure, ne
ottenne l'appoggio presso l'imperatore Federico Barbarossa, che nell'agosto del
1164, a Pavia, nella chiesa di S. Siro, gli concesse l'investitura della
Sardegna col titolo regale. Barisone si impegnava a compensare con quattromila
marchi d'argento il privilegio ottenuto e a corrispondere un censo annuo come
riconoscimento dell'alta sovranità imperiale sull'isola. I legati pisani
presenti alla dieta protestarono sostenendo che Barisone era un loro vassallo,
e indegno perciò del titolo regale, e riaffermando il loro diritto sulla
Sardegna rifacendosi alla conquista operatane contro Mugâhid; dal canto loro
gli ambasciatori genovesi accampavano identiche ragioni tranne per quanto si
riferiva alla persona di Barisone. Di fronte a questo contrasto l'imperatore
preferì aderire alle tesi genovesi, in modo da lasciare il dominio della
Sardegna vincolato all'impero. Contemporaneamente, i giudici di Cagliari e di
Torres, spinti dai Pisani e turbati dall'atteggiamento di Barisone, invasero
nuovamente l'Arborea, la saccheggiarono e incendiarono la "villa" di
Cabras, sede di un castello. La somma di quattromila marchi dovuta
all'imperatore per l'investitura veniva intanto prestata a Barisone dal Comune
di Genova e da diversi cittadini genovesi.
Per ottenere questo prestito egli
dovette, nel settembre 1164, sottoscrivere una serie di onerosi impegni, che
comportavano, a titolo di interesse, il pagamento di centomila libbre, il censo
annuo di quattrocento marchi, la concessione ai mercanti genovesi della libertà
di commercio nel porto di Oristano e nel territorio del giudicato, la
concessione a Genova di uno spazio, nella città di Oristano, atto
all'edificazione di almeno cento case e botteghe, e, infine, l'obbligo di
revocare le concessioni di" donnicalie" già godute dai Pisani. Come
garanzia di adempimento del contratto egli indicava tutto il giudicato e più specialmente
i castelli di Arculentu e di Marmilla. Genova da parte sua si limitava
all'impegno di proteggerlo contro i Pisani.
Al principio del 1165 Barisone,
accompagnato dal console genovese Pizzamiglio, giunse per mare ad Oristano. I
maggiorenti che lo accompagnavano sbarcarono per ottenere la ratifica delle
convenzioni da lui stipulate e per raccogliere le somme da versare al Comune e
ai cittadini genovesi; non essendo però riusciti a raccogliere dette somme,
Barisone non poté sbarcare e fu ricondotto a Genova. Intanto il Barbarossa, con
improvviso voltafaccia, concedeva, il 12 aprile 1165, l'investitura della
Sardegna al Comune di Pisa e un esercito pisano impegnava combattimenti
nell'isola contro i Genovesi. Nell'estate del 1168 Barisone ottenne di compiere
un nuovo viaggio in Sardegna per tentare di raccogliere le somme dovute a
Genova. Il viaggio fu preceduto dalla stesura di un altro trattato che
riepilogava e aggravava le condizioni imposte nella convenzione precedente: in
particolare si insisteva sulla dipendenza della liberazione di Barisone, ormai
trattato alla stregua di un qualsiasi debitore moroso, dal pagamento delle
somme dovute. Il console genovese Nuvolone Alberici che lo accompagnava aveva
avuto inoltre direttive per un accordo con i giudici di Torres e di Cagliari
circa il raggiungimento della pace nell'isola. Detto accordo fu realizzato - i
giudicati tornarono ai vecchi confini e la pace fu giurata dalle popolazioni -
segnando così la fine delle ambizioni di Barisone che, però, non fu liberato;
con lui furono ricondotti a Genova la moglie Agalbursa, il nipote Poncio de Bas
e altri ostaggi. Finalmente nel 1171, quando da due anni Genova e Pisa avevano
stabilito una tregua in Sardegna, accordandosi per lo sfruttamento dell'isola,
Barisone, che i sudditi arborensi avevano soccorso finanziariamente,
impegnandosi a restituire al Comune genovese le somme da dovute, poté tornare
in Sardegna. Negli anni successivi egli seguì una politica fluttuante nei
confronti dei Genovesi e dei Pisani che si erano insediati nella città di
Oristano, i primi, e nei possedimenti dell'entroterra, i secondi. Riprese,
nell'anno 1180, le armi contro il giudice di Cagliari, ma dopo alcuni successi
iniziali fu sconfitto e costretto alla pace dai consoli pisani. L'ultima parte
della sua vita fu dedicata a migliorare le condizioni economiche e culturali
delle chiese del giudicato. Donò, nel 1182, a Montecassino la chiesa di S.
Nicola di Gurgo dotandola di vasti territori e di servi. Fondò in Oristano un
ospedale, di cui ancor oggi restano alcune vestigia, e un monastero,
richiedendo che ad esso fossero destinati dodici monaci dei quali almeno
quattro fossero letterati e idonei ad occupare le sedi vescovili e a trattare
gli affari dello Stato con la corte romana e imperiale. Si riavvicinò a Pisa ed
ebbe rapporti di carattere finanziario con il mercante pisano Ranuccio di
Boccio. Morì nel 1186.
La personalità di Barisone è stata diversamente giudicata. I primi storici della Sardegna medievale hanno visto negli avvenimenti fortunosi della sua vita un dramma dell'ambizione; ma già il Besta, trattando magistralmente di lui e del periodo storico nel quale egli è vissuto, pur senza dame un giudizio esplicito, lascia trapelare la sua ammirazione per il sogno di grandezza del giudice arborense. Resta comunque merito di Barisone l'aver avuto coscienza dell'importanza che l'isola unificata avrebbe avuto nel gioco delle potenze gravitanti sulle sponde del Mediterraneo occidentale e l'aver lottato per l'attuazione di questo progetto di unificazione che, se realizzato, avrebbe affrancato la Sardegna dallo sfruttamento economico di Pisa e di Genova, liberandola dal particolarismo e dalle lotte intestine.
Fonti e Bibliografia:
- Colección de documentos inéditos del Archivo General de la Corona de Aragón,a cura di P. Bofarull, Barcelona 1849, IV, p. 365;
- P. Tola, Codex Diplomaticus Sardiniae, I, Augustae Taurinorum 1861, docc. 57, 64, 75, 76, 77, 78, 79, 80, 83, 84, 85, 86, 87, 88, 89, 90, 93, 94, gs, 96, 98, 104, 106, 107, 110, 111, 113, 117, 123, 125, 127, 128, 130, 132, 138, 139;
- E. Besta - A. Solmi, I condaghi di S. Maria di Bonarcado e di S. Nicola di Trullas, Milano 1937, nn. 39, 74, 85, 92, 123, 145, 146, 150, 151, 154, ISS, 162, 165;
- V. Salavert y Roca, Cerdeña y la expansión mediterránea de la Corona de Aragón, II, Documentos,Madrid 1956, doc. 2;
- F. Artizzu, Documenti inediti relativi ai rapporti economici tra la Sardegna e Pisa nel Medioevo,con introduzione di A. Boscolo, I, Padova 1961, docc. 1, 2;
- E. Besta, La Sardegna medioevale, I, Palermo 1908, pp. 120-150;
- A. Saba, Montecassino e la Sardegna medioevale,Montecassino 1927, pp. 95 ss.;
- G. Rossi Sabatini, L'espansione di Pisa nel Mediterraneo fino alla Meloria, Firenze 1935, pp. 102 ss.;
- D. Scano, Serie cronologica dei giudici sardi,in Archivio storico sardo, XXI,3-4 (1939), p. 66; Id., Il giudice Barisone di Arborea, intermediario fra il conte di Barcellona e il Comune pisano per una spedizione contro Maiorca, ibid., XXII,1-4 (1940), pp. 247 ss.;
- S. Sobreques i Vidal, Els Barons de Catalunya, Barcelona 1957, p. 41;
- F. Artizzu, Penetrazione catalana in Sardegna nel secolo XII,in Studi storici in onore di Francesco Loddo Canepa,Firenze 1960, II, pp. 11 ss.
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