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SEGOLAY
di Sergio Sailis
Nomi alternativi:
Seguolay, Segolaj, Segolai
Localizzazione geografica:
I.G.M.: Foglio 548 sezione IV –
Senorbì, scala 1:25.000
Il villaggio era situato su una
modesta altura in prossimità della strada comunale Senorbì - Sisini ad un
centinaio di metri dell’attuale periferia est - nord est di Senorbì.
Il sito purtroppo non è stato
oggetto di indagini archeologiche ma alcune prospezioni di superficie
effettuate a più riprese a partire dagli anni ’40 hanno permesso di individuare
numerosi frammenti ceramici che consentono di determinare una frequentazione dall’epoca
nuragica sino al XVII sec. con apparente minor frequenza di quelle ascrivibili
all’epoca romana che comunque sono documentate negli immediati dintorni come in
località “Funtana ‘sa canna”.
Il territorio del villaggio
confinava con Cixi, Suelli, Sisini, Arixi e Senorbì; i limiti territoriali sono
parzialmente descritti in alcuni documenti medioevali nei quali purtroppo sono
esposti solo i confini occidentali, settentrionali e orientali mentre
sfortunatamente ci mancano i confini meridionali. Alla sua scomparsa il territorio venne inglobato in quello di Senorbì anche se una parte venne successivamente reclamato da Suelli; ne nacque una vertenza che si concluse solo nel 1844 allorchè vennero definitivamente demarcati i confini di Suelli e quelli di Arixi e Senorbì.
sfortunatamente ci mancano i confini meridionali. Alla sua scomparsa il territorio venne inglobato in quello di Senorbì anche se una parte venne successivamente reclamato da Suelli; ne nacque una vertenza che si concluse solo nel 1844 allorchè vennero definitivamente demarcati i confini di Suelli e quelli di Arixi e Senorbì.
Notizie e documenti storici:
Notizie sul villaggio di Segolay
le ritroviamo in alcune delle carte edite dal Solmi tra le così dette “carte
campidanesi”. In particolare alcune notizie indirette sul villaggio le
ritroviamo in un documento del giugno 1215 nel quale vengono descritti i
confini del “saltus” di Suelli e pertanto indirettamente parte dei confini di
Segolay il cui nome non è però espressamente menzionato: “… et deretu ad su bruncu dessu mudeglu, parendu ad pischina de bois;
et lebat sa serra dessu mudeglu, implassandullu ad pauli de mela, deretu a
orriina de nonzu Pedru, et iunpat erriu deretu ad su masuniu de Jorgi Muria, et
clompit ad su bau d’aqua salsa …”
In altri documenti dello stesso
periodo invece vengono menzionati alcuni degli abitanti del villaggio quali “Cogoti de Funtanas de Segolai” oppure “donnu Cumida d’Asteri, preidi de Segolai”, “Johanni de Segolay”, “Contini Cara de Segolai.”
Parte dei confini della villa di
Segolay sono altresì menzionati in un documento del luglio 1225 con la quale la
giudicessa Benedetta di Cagliari, con il figlio Guglielmo, dona a S. Giorgio di
Suelli il podere di Prato di Sisini e la villa deserta di Jana; come nel caso
precedente della carta XI anche in questa circostanza il villaggio non è
esplicitamente indicato ma vengono riportati gli elementi salienti dei limiti
territoriali tra i villaggi: “Daulli assu
donnu miu sanctu Jorgi de Suelli sa domestia mia, k’esti intru de saltu de
sanctu Jorgi dessa bilia de Suelli, ad ki narant domestia de padru de Sisini.
Et est parta a Suelli, cabizza ad sa dommestia de sanctu Jorgi ad ki narant
terra de Gontini Ala, et parta a nuragi de Seti badi tudui sa bia ki badi daa
Suelli ad Sisini, et clompit ad s’ aqua des passarris de sanctu Jorgi, in bau
de terra alba, et calatsi tudui s’erriu fisca ad fontana de corbu, et clonpit
adssa bia ki badi daa Sisini ad Arcu, et collat tudui bia partaa nuragi
descoriadu, et clonpit ad sa terra de sanctu Jorgi de Gontini Ala da undi si et
ingençat.”
Il villaggio è menzionato inoltre
nella cosiddetta “donazione della Trexenta” nella quale “sa villa de Segolaj” faceva parte delle ville donate da
Torchitorio a suo figlio Salusio; anche in questo documento sono in parte
riportati i confini della villa: “Et
innj, lassadu su saltu de Sisini, etcomensat su saltu de ssa villa de Sigi de
Trexenta, de nuraki Flacu e, riu a josso, fisc' a bau de Canasturza, que calat
sa bia de Suellj et de Callaris. Et da jnnj, lassadu su saltu dessa villa de
Sigi, etcomensat su saltu dessa villa de
Segolaj dessa incontrada de Trexenta cum Suelli; et de bau de Cannasturza, riu
, a jossu, fina a bau de Aquasarsa et da jnnj riu riu fina a bau de Traisei et
da jnnj deretu, segandola a hogu, punt' a susu a ssa Rujna de Sanctu Perdu et
da jnnj serra serra a Bruncu Murdegu et da inni deretu a hogu a Pauli Mela.
Et innj, lassadu sus saltus de ssa villas de Suelli et Segolaj, et comenzant
sus saltus dessa villa de Arixi Magno dessa incontrada de Trexenta cum sa villa
de Sissini de sa curadoria de Siurgos”.
Il territorio di Segolay pertanto
iniziava dal guado sul ruscello oggi noto come “Cora Benaguzza” proseguiva sino
al guado di “Aquasarsa” poi seguendo il ruscello sino al guado di Traisei e poi
dritto verso nord sino alle rovine del villaggio di San Pietro. Da questo punto
proseguiva sulla cresta sino a “Bruncu murdegu” e da li sino a “Pauli mela” (tra
Suelli e Sisini) dove iniziava il confine di Arixi.
Dopo la scomparsa e lo
smembramento del Giudicato di Cagliari, avvenuta nel 1257-58, un terzo del
territorio giudicale, tra cui anche la Trexenta, fu assegnato a Guglielmo di
Capraia il quale era anche Giudice di Arborea. A Guglielmo successe Mariano II
di Bas che nel testamento nominò il Comune di Pisa erede universale per i
possedimenti extra giudicali. Alla morte di Mariano seguirono una serie di
contese tra gli eredi Capraia e Pisa, e i territori facenti parte del terzo
cagliaritano furono acquisiti dal comune pisano nel 1307.
A seguito della suddetta
acquisizione il comune di Pisa amministrò direttamente i territori della
Trexenta, sicuramente dal 1313, nominando dei rettori e dei funzionari, e
procedette a periodici censimenti fiscali denominati “Composizioni”. Per quanto
riguarda le remunerazioni del personale impiegato per l’amministrazione delle
Curatorie di Gippi e Trexenta nel 1330 troviamo un riscontro diretto in un
documento pubblicato da Baudi di Vesme.
Dalla “Composizione“ pisana predisposta
negli anni 1320-1322 apprendiamo che “Segolay” contribuiva con 10 libbre così
distinti: “pro datio” 8 lb; “pro quodam servo” 1 lb.; “pro dirictu tebernarum vini” 1 libbra.
Inoltre era tenuta a versare 42 starelli di grano e 36 d’orzo.
Questa composizione
successivamente confluì nel cosiddetto “Compartiment de Sardenya” realizzato
dai catalano - aragonesi negli anni 1358-1362 utilizzando appunto anche
statistiche predisposte in precedenza dai pisani.
A seguito dell’invasione catalano
– aragonese del 1323 il villaggio, nel maggio del 1325, venne infeudato al
valenzano Francesc Carroz, unitamente alle ville di Siocco, Donigala Alba e
Aliri sempre in Trexenta e Mandas, Escolca e Nurri, site nella curatoria di
Siurgus.
Il possesso del feudo da parte
dell’iberico fu di breve durata in quanto dopo la ripresa delle ostilità tra
gli aragonesi e Pisa e la definitiva sconfitta di quest’ultima si addivenne
alla pace conclusiva del 25 aprile 1326 con la quale la Corona d’Aragona
concesse in feudo al comune toscano le curatorie di Trexenta e di Gippi che
quindi riprese ad amministrarle mediante propri funzionari.
Dalla “Composizione” pisana del
1359, molto più dettagliata rispetto a quella del 1320-1322, rileviamo che gli
abitanti di “Villa Segalay curatorie
Tregende” dovevano versare tre libbre per “datio”, otto starelli di grano, nove starelli d’orzo e dieci soldi
“pro dirictu tabernarum vini” mentre
i “palators” dovevano versare una
tantum uno starello di grano e uno d’orzo.
Tra gli abitanti sono inoltre
menzionati Gonnarius de Separa, Suaccesus
de Serra, Gonnarius de Lacchono e Johannes Desori a loro volta “stimati”
per 80 libbre complessive.
E’ probabile che sin dal periodo
pisano Segolay fosse costituita in prebenda canonicale con Senorbì; il suo nome
infatti non compare nelle, seppur incomplete, “Rationes decimarum Italiae” ed è
quindi ipotizzabile che i versamenti effettuati dal rettore di Senorbì comprendessero
anche di quelle di Segolay. Se così fosse il rettore, che per gli anni dal 1341
al 1350 era Petro Mele, effettuava diversi versamenti nel 1342 (2 libbre, 11
soldi e 6 denari), nel 1343 (5 libbre e 11 soldi) mentre negli anni successivi
sino al 1350 1 libbra e 10 soldi; nello stesso periodo versava inoltre 1 libbra
e 10 soldi per la chiesa.
La villa viene menzionata nei
conti del sale dove risultano acquisti effettuati negli anni 1347/1348,
1352/1353 e 1362/1363 e nel 1413/1414.
Nel frattempo l’isola viene
nuovamente sconvolta dalla guerra tra Arborea e Aragona e nel 1365 le truppe
del giudice Mariano invadono la Trexenta mettendo fine all’ormai agonizzante
dominio feudale pisano in Sardegna. Il 18 ottobre 1365 infatti il vicario del
comune pisano in Trexenta, Filippo della Scala, viene impiccato dagli arborensi
durante l’assedio del castello di Sanluri davanti agli occhi di Alberto
Zatrillas Governatore del Capo di Cagliari e Gallura. Con questo episodio ha
probabilmente fine la storia dei possedimenti pisani in Sardegna dopo alcuni
secoli di dominazione più o meno diretta.
Con la ripresa delle ostilità tra
la Corona d’Aragona e il Giudicato d’Arborea assistiamo anche al passaggio tra
le file giudicali di alcuni importanti personaggi sardi che sino a quel momento
erano stati tradizionalmente fedeli alla corona aragonese venendone a suo tempo
ricompensati con la concessione in feudo di vari villaggi. E’ questo il caso
dell’iglesiente Alibrando de Atzeni il quale era ben introdotto in Trexenta
dove aveva dei seguaci a Simieri (tale Antonio Curria) nonché delle proprietà a
Segolai forse per parte della moglie Sardinia. Alibrando e suo figlio Giacomo vennero
però sconfitti in battaglia nei pressi di Iglesias nel 1367 e le loro teste
mozzate, per punizione e monito, vennero esposte nel castello di Cagliari. I
suoi beni, dopo essere stati confiscati, l’8 settembre 1367 vennero concessi in
feudo a Pere de Meleanno mentre i possessi in Segolai, una domus detta “Cort”
con le vigne e le terre, vennero concessi, con conferma regia datata 6 luglio
1368, a Guillem Steva, scudiero del governatore, che si era distinto nello
scontro e che probabilmente era stato l’uccisore materiale di Alibrando o di
suo figlio.
Dopo la definitiva sconfitta
arborense del 30 giugno 1409 la Trexenta viene amministrata direttamente da
funzionari regi sino al 1421 allorchè Segolai ed il resto della Trexenta venne
concessa a Giacomo De Besora che ebbe riconfermata l’infeudazione il 31 luglio
1434.
Il De Besora entrò ben presto in conflitto con il Vescovo di Suelli circa
il possesso di quest’ultimo villaggio e di quelli Cisci e Simieri; la contesa
giudiziaria si protrasse per molti decenni e proseguì con i successivi
feudatari della Trexenta e con l’arcivescovato di Cagliari subentrato nei
diritti al vescovado di Suelli dopo la sua soppressione.
Sono forse da inserire nell’ambito di questa annosa questione, fatta
anche di soprusi e prepotenze, due atti notarili del 1442 nei quali alcuni
abitanti di Suelli, dopo essere stati incarcerati per aver sconfinato con il
proprio bestiame nei terreni della Trexenta appartenenti al feudatario
nonostante ciò fosse proibito, si impegnano al versamento del consistente
importo di 100 libbre di alfonsini cadauno a titolo di machizia; tra i
testimoni degli atti notarili vi è in entrambi i casi un certo Iurado Montigi,
abitante della villa di Segolai, oltre a Miali de Onni, maiore della villa di
Decimoputzu e Andrea Mosques, abitante di Decimoputzu.
Data la maggiore longevità del
villaggio le testimonianze scritte sono ovviamente maggiori rispetto a quelle
degli altri villaggi trexentesi scomparsi.
Nel 1503 venne predisposto un
elenco delle rendite dovute al Vescovo di Dolia e per Segolay erano dovuti i
seguenti importi:
Antonio Marongiu per una “posta” nel piano presso via pubblica paga per
la festa di San Pantaleo lire 3; Epifani Porcello della detta villa ogni anno
per la festa lire 3; Gonario Mestrutzi versa ogni anno lire 2; Matteo Mailoso
per case nella villa versa lire 5; Flori Paolo, Riccardo Mameli, Pietro
Desogus, Pietro de Serra, Tomaso Corona in complesso per terre, vigne e festa
di San Pantaleo versano lire 22”
Nel dicembre del 1560 il Canonico
Giovanni Dessì (in qualità di Vicario Generale del Vescovado di Bonavolla e su
disposizione dell’arcivescovo Antonio Parragues de Castillejo) comunica ai
curati della Diocesi le quote che i singoli villaggi devono pagare al
Collettore dello Stamento Ecclesiastico per il Parlamento Sardo, Segolay è
chiamata a corrispondere 18 lire 8 soldi e 6 reali.
Nel 1568, seguito delle
prescrizioni conciliari, Papa Pio V emana una bolla con la quale viene decretato
che tutti gli ecclesiastici debbano risiedere nella località di cui hanno il
beneficio; nonostante l’opposizione dei canonici della Cattedrale di Cagliari
il Parragues, non senza essere stato costretto a richiedere che per la Sardegna
tale disposizione non venisse applicata, riceve la conferma papale
dell’abolizione dei Canonicati dei Vescovadi soppressi (quindi anche di Dolia)
e che le prebende parrocchiali vengano trasformate in benefici con obbligo di
residenza sul posto per i percipienti. Conseguenza di questa bolla fu
l’abolizione e trasformazione in rettoria dei canonicati di Mandas, Seuni,
Gesico Gergei, Guasila, Guamaggiore-Ortacesus, Selegas e di Segolay.
Oltre ai tributi ordinari c’erano
anche quelli straordinari. A seguito della crociata contro i turchi promossa da
Filippo II venne infatti richiesto un donativo che per Segolay ammontava a 18
lire e 6 denari.
Nel 1580 il curato di Segolay,
così come tutti gli altri canonici, rettori e curati della diocesi, deve
versare al collettore Antonio Orrù 5 lire per i sussidi della Diocesi di Dolia.
I versamenti di quanto dovuto non
dovevano però essere molto puntuali in quanto nel 1594 l’assessore alla curia
arcivescovile Rossellò ordina ai curati di Senorbì, Segolay e Arixi di versare con
puntualità le decime dovute e altri ritardi sono segnalati anche
successivamente tanto che l’appaltatore Fabio Manera nel 1609 e costretto a
sollecitare il procuratore Antiogo Pilia delle ville di Senorbì, Segolai, e
Arixi.
Il 18 aprile 1613 Vittorino Serra
(rettore della Majoria e delle ville di Senorbì, Arixi e Segolay) muore senza
lasciare testamento per cui il Vicario Generale Martis nomina il sacerdote
Adriano Quiriga per informarsi e dar conto delle rendite dei villaggi.
Come abbiamo visto dai documenti possiamo
dedurre che Segolay sin dal periodo pisano era un villaggio di modeste
dimensioni (tra i medio piccoli della Trexenta), ma nonostante tutto riuscì, a
differenza di altre realtà trexentesi, a superare (anche se a fatica) il
difficile periodo medioevale arrivando sin quasi alla fine del periodo
spagnolo. Il primo censimento noto (per quanto il termine sia improprio) di
epoca spagnola dal quale possiamo tentare rilevare con maggior approssimazione le
dimensioni del villaggio è il “Repartimiento” del 1583 cui seguirono altri
censimenti dei quali si seguito si riportano i dati:
anno
|
1583
|
1627
|
1655
|
1678
|
1688
|
fuochi
|
18
|
28
|
21
|
18
|
10
|
maschi
|
n.d.
|
n.d.
|
n.d.
|
n.d.
|
14
|
femmine
|
n.d.
|
n.d.
|
n.d.
|
n.d.
|
19
|
totale
|
0
|
0
|
0
|
0
|
33
|
media persone/fuochi
|
3,3
|
Inesorabilmente però anche per
Segolay si avvicinava la fine; infatti dal confronto dei successivi
“Repartimientos” di epoca spagnola possiamo dedurre che Segolay si spopolò tra
il 1688 (dove risultava avere ancora 10 fuochi composti da 14 uomini e 19
donne) e il 1698 quando la “villa” non compare più nell’elenco dei centri
abitati della “Encontrada de Trexenta” mentre bisogna attendere al primo
censimento di epoca sabauda per vederla dichiarata esplicitamente “distrutta”.
Luoghi di culto:
Verso la metà dell’800 l’abate
Angius nella sua scheda relativa a Senorbì riportava: “… Prossimamente all’abitato sono due chiese, una denominata da s.
Nicolò di Bari, l’altra da s. Antioco. La prima dista di soli 300 passi dalle
ultime case verso greco-tramontana e fu parrocchia di un antico villaggio da
più secoli distrutto, che si diceva Segolai. …”.
Facciata della chiesa di San Nicola di Bari oggi nota come Santa Mariedda |
Del villaggio, appartenente alla
Diocesi di Dolia, ci resta solo la chiesa realizzata in stile romanico in
passato intitolata a San Nicola di Bari, come riportato dall’Angius nel passo
precedente; di essa abbiamo attestazione in un documento ascrivibile agli anni
1340-1350 dove appunto viene menzionata la chiesa di “s.cti Nicholai de Segolay” oggi meglio nota come “Santa Mariedda”.
L’edificio, realizzato in conci
di arenaria con un grande campanile a vela, sorge sulla modesta altura prossima
alla periferia dell’abitato di Senorbì ed il suo impianto risale verosimilmente
al sec. XIII; originariamente doveva essere ad aula mononavata con abside
semicircolare e copertura lignea. Nel corso del tempo ha subito diversi
rimaneggiamenti e addizioni che hanno portato la chiesa al suo aspetto attuale.
Secondo il Martini, che a sua
volta riprendeva l’Aleo, al canonicato di Segolay erano annesse le parrocchie
di Senorbì ed Arixi così come il Vico che nel 1639 cita “El canonicato de Soglai y aneja de Segervi” senza però menzionare Arixi.
Nel 1643 nella parrocchia di Santa Barbara di Senorbì venne predisposto e
conservato il “Libro de la cura de la
iglesia parroquial de Santa Barbara de la billa de Senorbì y de San Nicolas del
la billa de Segolai …” Nel titolo viene inoltre specificato che il suddetto
libro venne disposto dal “doctor Don
Jorge de Carcassona, retor de las susodichas billas y de Arixi …”.
La chiesa di San Nicola non era però
l’unica presente nel villaggio; ne esisteva infatti un'altra o altre due intitolate
alla Vergine della Neve e a Santa Maria delle quali oggi purtroppo non rimane più alcuna
traccia.
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