lunedì 28 settembre 2015

Barisone I d’Arborea e il primo documento sul Castello di Marmilla


Barisone I d’Arborea e il primo documento sul Castello di Marmilla. (*)

Di Giuseppe Seche

 
Castello di Marmilla o di Las Plassas (immagine da http://www.sardegnadigitallibrary.it/)

Personaggio di primo piano nell’Arborea del XII secolo, com’è noto Barisone I portò avanti un’abile e complessa politica diplomatica per legittimare quel progetto di espansione arborense sull’intera Sardegna già inseguito da suo padre Comita; fino al successo, celebrato nell’estate del 1164 a Pavia, con la corona di re di Sardegna ricevuta dalle mani dell’imperatore Federico I.

Fonti privilegiate per analizzare la politica barisoniana sono gli Annales genovesi di Oberto Cancelliere e gli Annales pisani di Bernardo Maragone, opere contemporanee ai fatti e curate da autori che, per il ruolo politico ricoperto nelle rispettive città, avevano una visione privilegiata degli avvenimenti mediterranei del XII secolo. Altra insostituibile fonte sono i Libri Iurium, che raccolgono le copie dei più importanti documenti ‘internazionali’ riguardanti il Comune di Genova tra il IX e il XVII secolo, pubblicati dal Ricotti, dall’Imperiale ed infine dal Puncuh.

In questa raccolta sono conservate tre carte, datate 16 settembre 1164, alla vigilia del viaggio di rientro in patria di Barisone, appena incoronato. Pur non essendo precisamente noti i termini degli accordi stabiliti, secondo gli Annales genovesi Barisone avrebbe dovuto pagare all’imperatore quattromila marchi d’argento in cambio della dignità regale. Non avendo portato con sé una simile cifra, minacciato di arresto dai funzionari imperiali, il sovrano chiese l’appoggio finanziario di Genova, diventandone debitore. Le tre carte rappresentano dunque gli impegni presi dal sovrano con i consoli genovesi: non a caso inserite nel registro cittadino, esse sono anche la testimonianza dei vantaggi isolani inseguiti da Genova nell’appoggiare e finanziare il giudice arborense.

Con la prima il re si impegnava a pagare un contributo di centomila lire in caso di guerra genovese, e di quattrocento marchi d’argento come censo annuo al Comune. Concedeva due «curarias» all’opera di San Lorenzo, prometteva di costruire un palazzo nella città di Genova e garantiva libertà e sicurezza nel commercio, in particolare quello del sale, a tutti i mercanti genovesi. Assicurava l’appoggio militare in caso di impegno ligure nell’isola contro i pisani, con i quali non avrebbe firmato alcun patto di tregua, pace o alleanza. I genovesi da parte loro si impegnavano ad armare, a richiesta del re, otto galee, di cui quattro a spese arborensi, assicurargli un quarto degli utili provenienti dalla guerra di corsa, aiutarlo in caso di attacco pisano, ancora ripartendo le spese, infine a non firmare alcuna pace o tregua con i pisani senza il suo assenso. Se con un secondo documento Barisone assicurava l’appoggio alla candidatura dell’arcivescovo di Genova a primate e legato apostolico in Sardegna, con il terzo s’impegnava a pagare il debito contratto. Nell’analizzare l’elenco dei creditori, il Pistarino ha sottolineato come fossero personalità appartenenti al mondo mercantile, permettendoci di ipotizzare che essi mirassero ad ottenere particolari privilegi commerciali, magari non limitati all’Arborea ma estendibili all’intero regno di cui si prospettava la conquista.

Oltre ai tre documenti, è pervenuta una quarta carta, non presente nei Libri Iurium ma conservata presso l’Archivio di Stato di Genova. Considerata dagli archivisti una copia informale del XVII secolo, anch’essa è datata 16 settembre 1164 e ripropone i termini del primo trattato tra Barisone e il Comune di Genova, ma con tre significative varianti: oltre gli obblighi già noti, Barisone si era impegnato anche a concedere ai liguri i castelli di Marmilla e Arcuentu e un quartiere della città di Oristano, abbastanza grande da potervi costruire cento «mansiones » come abitazioni e fondachi per i mercanti; e in calce, accanto al giuramento di Barisone, compare qui anche quello della regina Agalbursa.

Nella sua edizione dei Libri Iurium, il Puncuh segnala l’esistenza del documento e delle sue varianti, mettendone però in dubbio l’autenticità. Una prima versione era apparsa nel 1634, nell’opera dell’intellettuale genovese Federico Federici che probabilmente costituì la fonte per l’edizione curata dall’Ughelli nel 1644. Sempre al Federici ricorre il Fanucci nel pubblicarne una traduzione italiana. Di poco successiva, l’edizione curata da Stefano Logomarsino è basata su un testo manoscritto conservato presso la Biblioteca Reale di Torino. Ancora nel 1855 il Banchero ripubblicava la carta, che nel 1861 il Tola inseriva, secondo la versione dell’Ughelli, nel monumentale Codex Diplomaticus Sardiniae. E fu proprio l’inserimento in questa raccolta fondamentale, a dare alla carta valore e spazio storiografico. Tuttavia, conoscendo anche gli altri documenti citati, lo stesso Tola la classificava come una copia incompleta della precedente convenzione, cui rimandava.

In merito a questo documento, che sembrerebbe dunque essere stato pubblicato per la prima volta dal Federici, l’analisi delle precedenti cronache ed opere storiografiche interessate alla figura di Barisone, non ha evidenziato i dati riportati dalla carta in esame. Né il contemporaneo Oberto informa su un accordo politicamente e strategicamente importante come quello di un passaggio in mano genovese dei due castelli di Marmilla e Arcuentu nel 1164, fortezze a guardia di una ricca pianura e delle riserve argentifere arborensi.

Avendo accesso agli archivi cittadini ed alla facile conoscenza di un simile accordo, l’autore non mancherà di segnalare lo strategico passaggio documentabile tra il 1168 e 1169. E sugli Annales di Oberto si basano le successive opere storiografiche: così la duecentesca Cronica civitatis Ianuensis di Iacopo da Varagine, tratta esclusivamente del giuramento di fedeltà pronunciato da Barisone in favore ligure e del suo impegno a pagare un censo annuo di cento libbre d’argento a Comune e Arcivescovo. Ancora, il cinquecentesco Agostino Giustiniani riprende gli Annales e la Cronica, come anche Paolo Interiano e Uberto Foglietta. Debitrici delle opere precedentemente citate sono anche il De Rebus Sardois del Fara e la Historia general de la Isla y Reyno de Sardeña del De Vico, che appunto non utilizzano le informazioni contenute nella nostra carta.

La situazione cambia invece all’indomani della pubblicazione curata dal Federici, per poi complicarsi con le successive edizioni, soprattutto quella dell’Ughelli. Se già, sul finire del Seicento, Charles du Fresne si fida dell’Ughelli nel riportare l’errata parola «curiaria», nell’Ottocento il Manno, analizzando il giuramento dalla regina Agalbursa sottolineava l’impegno a farlo pronunciare ad un suo figlio «antequam regnum Galluriae accipiat»: dunque una notizia importante quanto unica di una fantomatica successione arborense in Gallura, non a caso diversamente interpretata dagli storici. Se il Tola, ipotizzando un eccesso di sicurezza di Barisone, affermava che questi «già si credeva padrone di tutti i giudicati dell’isola», il Besta, pur dubitando dell’esattezza dell’informazione, ipotizzava una complessa questione di successione gallurese apertasi con la morte di Costantino. In realtà non possiamo che rendere giustizia proprio ai dubbi del Besta, in quanto l’edizione dell’Ughelli, e quindi quella del Tola, è viziata da un errore di lettura: la parola letta come «Galluriae» è in realtà «bailiam».

Ancora in base alla stessa carta, la storiografia sarda ha poi datato al 1164 la concessione ai genovesi dei castelli di Marmilla e Arcuentu e del quartiere oristanese in cui costruire le cento case per i mercanti liguri: così per esempio il Tola, il Besta, il Carta Raspi, il Fois, mentre il Serreli e il Casula accettano le ipotesi del Puncuh.

Conclusione

Obiettivo dei Libri Iurium era raccogliere le carte più importanti riguardanti il Comune di Genova: in particolare si sarebbe dovuta prestare attenzione ai trattati ‘internazionali’ con pontefici, imperatori o altre realtà politiche straniere, e ai principali documenti di politica interna. Come ci informa Oberto, anche le carte redatte il 16 settembre 1164 vennero raccolte in un pubblico registro riguardante gli atti più importanti del Comune: una sorta di antenato dei Libri Iurium. La nostra carta, pur essendo una convenzione internazionale, tra Genova e il re di Sardegna, e pur contenendo importanti notizie, come la concessione ai liguri dei castelli di Marmilla e Arcuentu e di un vasto quartiere nella città di Oristano, non è presente nella raccolta. Possiamo quindi fare nostri i dubbi del Tola e del Puncuh, ipotizzando che la stessa non sia una copia autentica ma un sunto, peraltro efficace, dei diversi documenti riguardanti la questione barisoniana.

Dunque una probabile costruzione documentaria, la cui bontà può essere messa in dubbio anche dall’analisi storica degli eventi: secondo gli Annales di Oberto, nel settembre 1164 i consoli genovesi non potevano ancora immaginare che al rientro in patria, Barisone avrebbe stracciato gli accordi avvicinandosi ai pisani; inoltre sembra abbastanza improbabile che, appena nominato re di Sardegna, lo stesso intendesse sacrificare parte della propria sovranità concedendo castelli e un quartiere della capitale ai genovesi che avevano già ricevuto tanti, importanti e ‘pericolosi’ favori.

Come ancora ci informano gli Annales, solo dopo l’arrivo della spedizione in Sardegna Barisone iniziò a tergiversare e ad allungare i tempi per il pagamento; i suoi continui incontri con i pisani rafforzarono i sospetti del console genovese Piccamiglio che, alla notizia dell’imminente arrivo di una spedizione toscana, decise di rientrare in patria con l’ormai prigioniero re. Dopo quattro lunghi anni di prigionia e l’insuccesso del suo piano di espansione che aveva ormai perso la legittimazione imperiale, quando nell’Arborea si rincorrevano già le voci sulla sua morte, e ogni giorno che passava lontano da Oristano aumentavano le probabilità di perdere il regno, nel 1168 il sovrano aveva argomenti ormai convincenti per ottenere di poter rientrare in Sardegna. Infatti, consapevoli che la sua caduta avrebbe significato anche un indebolimento delle proprie posizioni nell’isola e l’impossibilità di vedere risarcito l’ingente debito, i genovesi permisero al giudice di rientrare temporaneamente in patria, non prima di aver ottenuto precise garanzie. Queste sono testimoniate dal documento presente nei Libri Iurium: Barisone s’impegnava a saldare il debito contratto, a consegnare il castello di Arcuentu con viveri per un anno, a pagare quattromila lire in oro, argento e panni serici, assicurando il suo rientro a Genova con centoquaranta ostaggi più la moglie ed i figli, che sarebbero stati rilasciati solo a risarcimento avvenuto.

Da questo momento, secondo le fonti documentarie, il castello di Arcuentu sarebbe passato sotto controllo ligure; descritto il rientro della spedizione a Genova, gli Annales informano sulla permanenza in Sardegna di Alinerio de Porta col compito di organizzare la raccolta del denaro dovuto e «castra tenenda».

Dunque i castelli in mano genovese sarebbero stati più di uno, indicati nel 1169, quando i consoli armarono una nuova spedizione nell’isola al fine di rendere più sicuri i «castra nomine Arculento et Mamilla». Secondo Oberto i due castelli furono consegnati tra il 1168 e il 1169; la documentazione conferma per il 1168 la sola concessione di quello di Arcuentu, mentre per quello di Marmilla dobbiamo aspettare il 17 gennaio 1172, al definitivo rientro in Sardegna di Barisone.

E nello stesso documento si parla per la prima volta della concessione del quartiere oristanese da destinare ai mercanti liguri e del giuramento di Agalbursa.

Partendo quindi dalle constatazioni del Tola e del Puncuh, dall’analisi dei diversi momenti della vicenda barisoniana e dal silenzio delle opere storiche sulla nostra carta prima dell’edizione pubblicata dal Federici, questa si può considerare una produzione grafica successiva, il cui contenuto, in base agli importanti documenti disponibili e ad un’accurata analisi storica non può essere datato al 16 settembre 1164 ma ad un periodo posteriore, in accordo a mutati equilibri politici.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(*) Giuseppe SECHE, Barisone I d'Arborea e il primo documento sul castello di Marmilla, in Insula, Quaderno di cultura sarda, n. 7, giugno 2010, Cagliari 2010.

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