Barisone I d’Arborea e il primo documento sul
Castello di Marmilla. (*)
Di Giuseppe Seche
Castello di Marmilla o di Las Plassas (immagine da http://www.sardegnadigitallibrary.it/) |
Personaggio di primo piano nell’Arborea del XII
secolo, com’è noto Barisone I portò avanti un’abile e complessa politica
diplomatica per legittimare quel progetto di espansione arborense sull’intera
Sardegna già inseguito da suo padre Comita; fino al successo, celebrato
nell’estate del 1164 a Pavia, con la corona di re di Sardegna ricevuta dalle
mani dell’imperatore Federico I.
Fonti privilegiate per analizzare la politica
barisoniana sono gli Annales genovesi di Oberto Cancelliere e gli Annales
pisani di Bernardo Maragone, opere contemporanee ai fatti e curate da autori
che, per il ruolo politico ricoperto nelle rispettive città, avevano una
visione privilegiata degli avvenimenti mediterranei del XII secolo. Altra
insostituibile fonte sono i Libri Iurium, che raccolgono le copie dei più
importanti documenti ‘internazionali’ riguardanti il Comune di Genova tra il IX
e il XVII secolo, pubblicati dal Ricotti, dall’Imperiale ed infine dal Puncuh.
In questa raccolta sono conservate tre carte,
datate 16 settembre 1164, alla vigilia del viaggio di rientro in patria di
Barisone, appena incoronato. Pur non essendo precisamente noti i termini degli
accordi stabiliti, secondo gli Annales genovesi Barisone avrebbe dovuto pagare
all’imperatore quattromila marchi d’argento in cambio della dignità regale. Non
avendo portato con sé una simile cifra, minacciato di arresto dai funzionari
imperiali, il sovrano chiese l’appoggio finanziario di Genova, diventandone
debitore. Le tre carte rappresentano dunque gli impegni presi dal sovrano con i
consoli genovesi: non a caso inserite nel registro cittadino, esse sono anche
la testimonianza dei vantaggi isolani inseguiti da Genova nell’appoggiare e
finanziare il giudice arborense.
Con la prima il re si impegnava a pagare un
contributo di centomila lire in caso di guerra genovese, e di quattrocento
marchi d’argento come censo annuo al Comune. Concedeva due «curarias» all’opera
di San Lorenzo, prometteva di costruire un palazzo nella città di Genova e
garantiva libertà e sicurezza nel commercio, in particolare quello del sale, a
tutti i mercanti genovesi. Assicurava l’appoggio militare in caso di impegno
ligure nell’isola contro i pisani, con i quali non avrebbe firmato alcun patto
di tregua, pace o alleanza. I genovesi da parte loro si impegnavano ad armare,
a richiesta del re, otto galee, di cui quattro a spese arborensi, assicurargli
un quarto degli utili provenienti dalla guerra di corsa, aiutarlo in caso di
attacco pisano, ancora ripartendo le spese, infine a non firmare alcuna pace o
tregua con i pisani senza il suo assenso. Se con un secondo documento Barisone
assicurava l’appoggio alla candidatura dell’arcivescovo di Genova a primate e
legato apostolico in Sardegna, con il terzo s’impegnava a pagare il debito
contratto. Nell’analizzare l’elenco dei creditori, il Pistarino ha sottolineato
come fossero personalità appartenenti al mondo mercantile, permettendoci di
ipotizzare che essi mirassero ad ottenere particolari privilegi commerciali,
magari non limitati all’Arborea ma estendibili all’intero regno di cui si
prospettava la conquista.
Oltre ai tre documenti, è pervenuta una quarta
carta, non presente nei Libri Iurium ma conservata presso l’Archivio di Stato
di Genova. Considerata dagli archivisti una copia informale del XVII secolo,
anch’essa è datata 16 settembre 1164 e ripropone i termini del primo trattato
tra Barisone e il Comune di Genova, ma con tre significative varianti: oltre
gli obblighi già noti, Barisone si era impegnato anche a concedere ai liguri i
castelli di Marmilla e Arcuentu e un quartiere della città di Oristano,
abbastanza grande da potervi costruire cento «mansiones » come abitazioni e
fondachi per i mercanti; e in calce, accanto al giuramento di Barisone, compare
qui anche quello della regina Agalbursa.
Nella sua edizione dei Libri Iurium, il Puncuh
segnala l’esistenza del documento e delle sue varianti, mettendone però in
dubbio l’autenticità. Una prima versione era apparsa nel 1634, nell’opera
dell’intellettuale genovese Federico Federici che probabilmente costituì la
fonte per l’edizione curata dall’Ughelli nel 1644. Sempre al Federici ricorre
il Fanucci nel pubblicarne una traduzione italiana. Di poco successiva,
l’edizione curata da Stefano Logomarsino è basata su un testo manoscritto
conservato presso la Biblioteca Reale di Torino. Ancora nel 1855 il Banchero
ripubblicava la carta, che nel 1861 il Tola inseriva, secondo la versione
dell’Ughelli, nel monumentale Codex Diplomaticus Sardiniae. E fu proprio
l’inserimento in questa raccolta fondamentale, a dare alla carta valore e
spazio storiografico. Tuttavia, conoscendo anche gli altri documenti citati, lo
stesso Tola la classificava come una copia incompleta della precedente
convenzione, cui rimandava.
In merito a questo documento, che sembrerebbe
dunque essere stato pubblicato per la prima volta dal Federici, l’analisi delle
precedenti cronache ed opere storiografiche interessate alla figura di
Barisone, non ha evidenziato i dati riportati dalla carta in esame. Né il
contemporaneo Oberto informa su un accordo politicamente e strategicamente
importante come quello di un passaggio in mano genovese dei due castelli di
Marmilla e Arcuentu nel 1164, fortezze a guardia di una ricca pianura e delle
riserve argentifere arborensi.
Avendo accesso agli archivi cittadini ed alla
facile conoscenza di un simile accordo, l’autore non mancherà di segnalare lo
strategico passaggio documentabile tra il 1168 e 1169. E sugli Annales di
Oberto si basano le successive opere storiografiche: così la duecentesca
Cronica civitatis Ianuensis di Iacopo da Varagine, tratta esclusivamente del
giuramento di fedeltà pronunciato da Barisone in favore ligure e del suo
impegno a pagare un censo annuo di cento libbre d’argento a Comune e
Arcivescovo. Ancora, il cinquecentesco Agostino Giustiniani riprende gli
Annales e la Cronica, come anche Paolo Interiano e Uberto Foglietta. Debitrici
delle opere precedentemente citate sono anche il De Rebus Sardois del Fara e la
Historia general de la Isla y Reyno de Sardeña del De Vico, che appunto non
utilizzano le informazioni contenute nella nostra carta.
La situazione cambia invece all’indomani della
pubblicazione curata dal Federici, per poi complicarsi con le successive edizioni,
soprattutto quella dell’Ughelli. Se già, sul finire del Seicento, Charles du
Fresne si fida dell’Ughelli nel riportare l’errata parola «curiaria»,
nell’Ottocento il Manno, analizzando il giuramento dalla regina Agalbursa
sottolineava l’impegno a farlo pronunciare ad un suo figlio «antequam regnum
Galluriae accipiat»: dunque una notizia importante quanto unica di una
fantomatica successione arborense in Gallura, non a caso diversamente
interpretata dagli storici. Se il Tola, ipotizzando un eccesso di sicurezza di
Barisone, affermava che questi «già si credeva padrone di tutti i giudicati
dell’isola», il Besta, pur dubitando dell’esattezza dell’informazione,
ipotizzava una complessa questione di successione gallurese apertasi con la
morte di Costantino. In realtà non possiamo che rendere giustizia proprio ai
dubbi del Besta, in quanto l’edizione dell’Ughelli, e quindi quella del Tola, è
viziata da un errore di lettura: la parola letta come «Galluriae» è in realtà
«bailiam».
Ancora in base alla stessa carta, la storiografia
sarda ha poi datato al 1164 la concessione ai genovesi dei castelli di Marmilla
e Arcuentu e del quartiere oristanese in cui costruire le cento case per i
mercanti liguri: così per esempio il Tola, il Besta, il Carta Raspi, il Fois, mentre
il Serreli e il Casula accettano le ipotesi del Puncuh.
Conclusione
Obiettivo dei Libri Iurium era raccogliere le carte
più importanti riguardanti il Comune di Genova: in particolare si sarebbe
dovuta prestare attenzione ai trattati ‘internazionali’ con pontefici,
imperatori o altre realtà politiche straniere, e ai principali documenti di
politica interna. Come ci informa Oberto, anche le carte redatte il 16
settembre 1164 vennero raccolte in un pubblico registro riguardante gli atti
più importanti del Comune: una sorta di antenato dei Libri Iurium. La nostra
carta, pur essendo una convenzione internazionale, tra Genova e il re di
Sardegna, e pur contenendo importanti notizie, come la concessione ai liguri
dei castelli di Marmilla e Arcuentu e di un vasto quartiere nella città di
Oristano, non è presente nella raccolta. Possiamo quindi fare nostri i dubbi
del Tola e del Puncuh, ipotizzando che la stessa non sia una copia autentica ma
un sunto, peraltro efficace, dei diversi documenti riguardanti la questione barisoniana.
Dunque una probabile costruzione documentaria, la
cui bontà può essere messa in dubbio anche dall’analisi storica degli eventi:
secondo gli Annales di Oberto, nel settembre 1164 i consoli genovesi non
potevano ancora immaginare che al rientro in patria, Barisone avrebbe
stracciato gli accordi avvicinandosi ai pisani; inoltre sembra abbastanza
improbabile che, appena nominato re di Sardegna, lo stesso intendesse
sacrificare parte della propria sovranità concedendo castelli e un quartiere
della capitale ai genovesi che avevano già ricevuto tanti, importanti e
‘pericolosi’ favori.
Come ancora ci informano gli Annales, solo dopo
l’arrivo della spedizione in Sardegna Barisone iniziò a tergiversare e ad
allungare i tempi per il pagamento; i suoi continui incontri con i pisani
rafforzarono i sospetti del console genovese Piccamiglio che, alla notizia
dell’imminente arrivo di una spedizione toscana, decise di rientrare in patria
con l’ormai prigioniero re. Dopo quattro lunghi anni di prigionia e l’insuccesso
del suo piano di espansione che aveva ormai perso la legittimazione imperiale,
quando nell’Arborea si rincorrevano già le voci sulla sua morte, e ogni giorno
che passava lontano da Oristano aumentavano le probabilità di perdere il regno,
nel 1168 il sovrano aveva argomenti ormai convincenti per ottenere di poter
rientrare in Sardegna. Infatti, consapevoli che la sua caduta avrebbe
significato anche un indebolimento delle proprie posizioni nell’isola e
l’impossibilità di vedere risarcito l’ingente debito, i genovesi permisero al
giudice di rientrare temporaneamente in patria, non prima di aver ottenuto
precise garanzie. Queste sono testimoniate dal documento presente nei Libri
Iurium: Barisone s’impegnava a saldare il debito contratto, a consegnare il
castello di Arcuentu con viveri per un anno, a pagare quattromila lire in oro,
argento e panni serici, assicurando il suo rientro a Genova con centoquaranta
ostaggi più la moglie ed i figli, che sarebbero stati rilasciati solo a
risarcimento avvenuto.
Da questo momento, secondo le fonti documentarie,
il castello di Arcuentu sarebbe passato sotto controllo ligure; descritto il
rientro della spedizione a Genova, gli Annales informano sulla permanenza in
Sardegna di Alinerio de Porta col compito di organizzare la raccolta del denaro
dovuto e «castra tenenda».
Dunque i castelli in mano genovese sarebbero stati
più di uno, indicati nel 1169, quando i consoli armarono una nuova spedizione
nell’isola al fine di rendere più sicuri i «castra nomine Arculento et
Mamilla». Secondo Oberto i due castelli furono consegnati tra il 1168 e il
1169; la documentazione conferma per il 1168 la sola concessione di quello di
Arcuentu, mentre per quello di Marmilla dobbiamo aspettare il 17 gennaio 1172,
al definitivo rientro in Sardegna di Barisone.
E nello stesso documento si parla per la prima
volta della concessione del quartiere oristanese da destinare ai mercanti
liguri e del giuramento di Agalbursa.
Partendo quindi dalle constatazioni del Tola e del
Puncuh, dall’analisi dei diversi momenti della vicenda barisoniana e dal
silenzio delle opere storiche sulla nostra carta prima dell’edizione pubblicata
dal Federici, questa si può considerare una produzione grafica successiva, il
cui contenuto, in base agli importanti documenti disponibili e ad un’accurata
analisi storica non può essere datato al 16 settembre 1164 ma ad un periodo
posteriore, in accordo a mutati equilibri politici.
(*) Giuseppe SECHE, Barisone I d'Arborea e il primo
documento sul castello di Marmilla, in Insula, Quaderno di cultura sarda, n. 7,
giugno 2010, Cagliari 2010.
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