venerdì 25 novembre 2016

Arixi

Immagini della Trexenta ottocentesca: Arixi [1]
 
ARIXI, villaggio della Sardegna nella provincia di Cagliari, distretto di Senorbì, e antico dipartimento della Tregenta del giudicato cagliaritano.
Componesi di circa 95 case, ciascuna col suo cortile.
Le strade sono competentemente larghe.
La situazione è in valle, dove a un calore elevato nella giornata succede di notte un freddumido assai nocivo alla sanità. Le pioggie vi sono regolari, e assai frequenti d’inverno; vi cadono pure delle nevi, ma non durano oltre il terzo giorno: non vi sono però rare le tempeste di grandine e fulmine. La nebbia è frequente; ma, dominandovi il ponente, alla qual parte il paese è aperto, prestamente diradasi.
È distante da s. Basilio, che sta al scirocco, 3/4; da S. Andrea, posto all’austro, un’ora e 1/4; da Sìsini e da Suelli, situati dall’austro al libeccio, mezz’ora; da Senorbì, al ponente, 1/4; e dalla capitale, che è pur il capo-luogo della provincia, ore 6.
È un paese semplicemente agricolo, e si impiegano nella coltura da 120 persone: altre manifatture non si conoscono, che quelle ordinarie del panno forese e delle tele, nel che sono adoperati circa 50 telai.
Vi è un consiglio di comunità, una giunta locale sul monte di soccorso, e una scuola normale frequentata non più che da una decina di fanciulli.
La chiesa parrocchiale è dedicata alla Vergine assunta, e vedesi situata all’estremità orientale del paese, la cui capacità potrebbe tenere 500 persone. Il parroco, che la governa sotto la giurisdizione dell’arcivescovo di Cagliari come vescovo Doliense, ha il titolo di rettore, ed è assistito da altro sacerdote nella cura delle anime.
Le principali feste occorrono una addì 15 agosto per la titolare, l’altra addì 13 dicembre per s. Lucia, titolare pure di una chiesetta campestre, che trovasi pochi minuti alla tramontana del paese, e vi si fa concorso non solamente dai villaggi del dipartimento, ma anche da più lontani, tenendovisi una piccola fiera.
I divertimenti pubblici in ambe queste festività si riducono al solo ballo a suon di zampogna.
Il cimitero è nella chiesa di s. Sebastiano, distante dall’abitato verso scirocco non più di 5 minuti.
In questa popolazione si contano annualmente da 6 in 7 matrimoni, nascono 15 o 20, e muojono poco meno.
Le malattie fatali sogliono essere le infiammazioni ai visceri, nella cura delle quali sono assistiti da un salariato flebotomo.
L’ordinario corso della vita è al 60°, sebbene non poche persone vi si trovino che oltrepassarono l’85°, il che è osservabile in una popolazione di 315 anime; spartite in 95 famiglie.
Il numero che essa dà al battaglione della Tregenta dei corpi miliziani barracellari è di 18 individui.
L’estensione superficiaria del territorio di Arixi è di circa 11 miglia qu. L’abitato è posto presso all’estremità a tramontana. Sono le terre in gran parte argillose, e suscettibili d’ogni genere di coltura, ma non si impiegano che nel seminario del grano, che avanza a 650 starelli cagliaritani (litr. 31,980), mentre di orzo se ne sparge star. 150, di fave 200, di linseme 10, e di varie specie di civaje 10, producendo regolarmente il dieci per uno.
Il monte granatico, che fu dotato di starelli 610, e lire sarde 616.0.0., ora è ridotto a star. 510, e a lire 503.7.4 (lire nuove 966.42).
La regione è molto accomodata alle viti: se ne coltivano di quattro varietà, principalmente però pregiasi la malvagìa, di cui raccogliesi una competente quantità, sebbene non vada del pari con quello del campidano. Il sopravanzo della consumazione spacciasi nei paesi vicini.
Vi sono alberi di quasi tutti i generi di frutta, che maturano in questa latitudine, e che si coltivano in Sardegna; il numero dei mandorli è superiore a quello di altre specie, e quindi si ha qualche lucro portandone ogni anno una buona quantità nella capitale.
I possessi chiusi non comprendono meno di starelli 200 di estensione (ari 7972), i quali annualmente si seminano. Manca il bosco, e si fa provvisione pel fuoco nella vicina montagna di S. Basilio.
È una bella collina quella che il paese tiene al levante tutta coltivata a vigne, dalla sommità della quale osservasi ad occhio nudo tutta la Tregenta.
Quivi sarebbe stato più felicemente situato il paese, ma gli antichi temevano assai i luoghi ventilati, e niente l’insalubrità delle posizioni basse ed umide, il che fu cagione che la Sardegna, che come tutte le altre regioni calde ha dei luoghi malsani, e de’ migliori secondo il livello e altre circostanze venisse da chi poco saggiamente sa giudicar delle cose infamata come interamente morbosa.
Il bestiame rude, che si alimenta, somma il grosso al numero di 100 le vacche, di 150 le cavalle, che vagano nelle montagne di s. Basilio; il minuto a 1000 pecore, le quali perir sogliono per raffreddore alle viscere, il quale si presume cagionato dal pascolo, che coglie bagnato dalla rugiada freddissima presso i pantani; al che spesso si rimedia col vino caldo, o col siero.
Essendo così tenue il numero delle greggie, i formaggi, che sono di mediocrissima qualità, non somministrano il sufficiente al bisogno: anche le lane servono ai telai del paese, e solo vendonsi le pelli.
Il bestiame domito somma di cavalli a 15, i giumenti a 60, i gioghi per lavoro a 50.
Mancando le selve manca il selvaggiume, e solo abbondano i conigli, le lepri, e moltissime specie di volatili, comprensivamente alle beccaccie, quaglie, pernici, e colombacci: di queste due ultime specie, che sono numerosissime, si fa frequentemente caccia.
Nelle acque si suol fare la caccia delle anitre e d’altri uccelli delle stesse abitudini, e si pesca molta quantità di grasse e saporite anguille, principalmente nel Rio-grande, che scorre vicino al paese, da cui perciò generalmente si cognomina.
Tre sono le sorgenti di questo fiume, che è uno dei confluenti del Ceralìta, una nel salto di s. Cosimo, aggiudicato al ducato di Mandas detto Mizza de Isu; la seconda nei salti di Seurgus: questi due canali si riuniscono nei salti di Sìsini; le acque della terza si uniscono a quella corrente in distanza di un’ora e mezzo dal paese. Da quel punto prende il nome di Rio di Arixi, e passa così vicino al popolato, che bagna le mura di alcune case. Entrando nel territorio di Senorbì accoglie a distanza di mezz’ora il Rio Cardaju, e ingrossato da queste acque, che mancano solamente nell’estate, passa nei salti detto Coxìnas di Barràli, sopra il quale riceve a sinistra il fiumicello, indi scorre fra le làcane (limiti dei territori) di Samatzài e Donòri, onde s’avanza nelle terre di Ussana, dove ordinariamente fa non piccoli guasti. S’introduce poscia nel territorio di Monastir, avvicinandosi a Flumineddu, delle cui acque si accresce sopra Decimo-grande. Proseguendo il suo corso sino ai salti di Uta e di Assemini, si versa finalmente nel Caralìta. Manca questo fiume di ponte per la comunicazione comoda e facile con le terre della sponda destra: il guado è vicino alle case, pericoloso solamente nei forti temporali, ed allora avvengono delle inondazioni assai dannose ai vicini possessi. La linea del corso nella giurisdizione di questo paese è di un’ora e mezzo; la sua sponda sinistra è amenissima pei canneti, salici, pioppi e piccoli alni.
Sono in questo territorio tre abbondantissime sorgenti: una detta di Nigòla, che è distante poco più d’un miglio dalla popolazione, e forma un ruscello con rive deliziose; l’altra di Anedda, lontana mezzo miglio; la terza si denomina dal paese, ed è presso la sponda del fiume a 5 minuti dall’abitato. Queste acque sono utili per la coltivazione ancora degli orti, dai quali si hanno cavoli di tutte le specie, zucche, meloni, citriuoli, melingiani, pomidoro, e simili, donde, detratte le spese, ritraggono i proprietarii da 700 scudi (lire nuove 3360).
Dicesi che in qualche parte di questo territorio trovisi della pozzolana, sebbene men pura, e che siavi dell’argilla per tevoli e stoviglie ordinarie.
Non si ha memoria di alcuna antica popolazione estinta, se là non fosse stata, dove veggonsi le rovine della chiesa dedicata a s. Saturnino.
Di tre soli norachi restano le vestigia, e sono: uno in Nuragugùmini, l’altro in s’omu dess’Orcu, il terzo in su planu dessu Cardulìnu. Nella regione poi di Pubuseddu, in distanza dal villaggio di minuti 25, trovasi una spelonca con l’ingresso verso il mezzodì dell’altezza di cubiti tre e mezzo, capace nella sua figura ovale di 2500 capi pecorini.
È questo comune nel feudo di Villasor, ed uno dei componenti il mandamento di Senorbì. Per li dritti feudali vedi Senorbì, capo-luogo del mandamento, dove risiede la curia soggetta alla prefettura di Cagliari, ed alla reale udienza nel giudiziale, ed all’intendente generale nell’economico.




[1] Vittorio ANGIUS, in Dizionario geografico storico-statistico-commerciale degli Stati di S.M. il Re di Sardegna (a cura di Goffredo CASALIS), vol. I, Torino 1833, pagg. 374-378.

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