lunedì 13 marzo 2017

1202, triplice omicidio di ecclesiastici turritani

1202, triplice omicidio di ecclesiastici turritani

(di Sergio Sailis)

Gli anni a cavallo tra i secoli XII e XIII in Sardegna sono senza dubbio densi di avvenimenti di rilievo: ad agitare le acque già di per se abbastanza mosse (sia per le abituali turbolenze dei Giudici sardi che per le ingerenze sempre più invadenti dei Comuni di Genova e Pisa) è anche un nuovo attore: il Giudice di Cagliari Guglielmo, Marchese di Massa.

Dopo aver preso il potere nel giudicato cagliaritano infatti il Marchese, nell’intento di ritagliarsi una propria supremazia personale sull’intera isola, in alleanza con Pisa (della quale era cittadino) o perlomeno con una determinata fazione di cittadini pisani, in rapida successione rivolge le proprie attenzioni agli altri giudicati: Torres, Arborea e Gallura tutti orientati verso una politica filogenovese.

Il primo giudicato ad essere coinvolto è il giudicato di Torres che viene invaso da Guglielmo al commando delle sue truppe e di contingenti pisani e dopo poco tempo occupa lo strategico castello di Goceano.

In questa temperie le lotte per il predominio nell’isola tra Genova e Pisa e i loro alleati locali portano quindi ad uno stato di instabilità e anche il clero isolano si schiera con le diverse fazioni in lotta a seconda dei vari orientamenti politici rimanendone inevitabilmente e direttamente coinvolto anche per via dell’intensa attività dell’arcivescovo pisano Ubaldo che ripetutamente manifesta le proprie inclinazioni a prediligere una politica decisamente orientata verso gli interessi della propria città spesso anche in contrasto con le indicazioni papali.

Probabilmente proprio a causa di queste lotte di potere nel 1202 accade un grave fatto di sangue: vengono infatti uccisi il vescovo di Ploaghe, l’abbate di Tergu e il vicario del priore di Camaldoli in Sardegna, verosimilmente l’abbate di Saccargia che in altri documenti viene ricordato con questo titolo.

La notizia la si apprende da una lettera del 10 marzo 1203 inviata da papa Innocenzo III agli arcivescovi e vescovi dell’isola che vengono aspramente rimproverati per non aver preso alcun provvedimento nei confronti dei responsabili dell’eccidio che evidentemente, per quanto non nominati nella missiva, dovevano essere conosciuti in loco ma nessuno dei presuli aveva osato o voluto intervenire preferendo restare in silenzio “tamquam canes muti non valentes latrare nichil in eos sicut dicitur statuistis” forse per timore o accondiscendenza.

I motivi e i responsabili del triplice omicidio purtroppo non ci sono noti nel dettaglio; stando al testo della lettera di Innocenzo III probabilmente ne sono estranei, o perlomeno non sono coinvolti in modo diretto, i Giudici sardi (e quindi anche Guglielmo di Massa) in quanto il Papa richiede ai prelati di intimare agli stessi di non dare ricetto ai colpevoli presso i loro giudicati e anche nella corrispondenza successiva non sono oggetto di accuse specifiche in tal senso pur non mancando altri biasimi.

Gli assassini dovevano però essere personaggi abbastanza influenti in grado di intimorire o comunque influenzare e condizionare il comportamento omissivo dei presuli sardi; stante la carenza di notizie sono state avanzate dagli studiosi diverse ipotesi sulla loro presunta identità e sui possibili moventi: potrebbe essersi trattato di un semplice episodio di delinquenza comune (non molto credibile vista l’importanza e la notorietà delle vittime) oppure un omicidio maturato nello stesso ambito ecclesiastico, circostanza peraltro non infrequente nel periodo medievale con diversi casi anche in ambito sardo. Considerando però che all’epoca nel giudicato turritano erano probabilmente ancora presenti i contingenti pisani che già in precedenza avevano collaborato con Guglielmo nel tentativo di scacciare i genovesi potrebbe essere verosimile un loro coinvolgimento nel misfatto magari proprio con il concorso di personaggi legati all’ambito ecclesiastico considerata l’attività dell’arcivescovo Ubaldo e le sue manovre per imporre in Sardegna la supremazia dell’arcivescovato pisano.

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