venerdì 16 febbraio 2018

Viaggiatori ottocenteschi: descrizione della Trexenta di Alberto della Marmora

Viaggiatori ottocenteschi: descrizione della Trexenta di Alberto della Marmora [1]

“Au pont de Bangius la scène change, on ne voit plus qu’une espèce de piaine, ou plutòt un bassin légèrement ondulé dit la Trexenta; il est tout peuplé de villages: les uns, tels que ceux d’Arixi, de S. Basilio et de Sisini, sont placés au pied ou sur le versant des collines tertiaires qui bordent ce bassin vers l’est; du côté opposé on remarque spécialement ceux d’Ortacesus, de Guasila, de Guamaggiore, de Selegas et de Seuni, tandis que dans le centre de la plaine, la grande route traverse les gros villages de Senorbì et de Suelli.” 

"Dopo aver attraversato Monastir e superato il secondo ponte, a meno di un chilometro di distanza dal villaggio, il nostro viaggiatore dovrà lasciare la strada centrale per prendere a destra quella detta “dell’Ogliastra” o più comunemente “strada di Mandas”: egli vedrà subito sulla destra il grande villaggio di Ussana; poi lascerà, dalla stessa parte, dapprima quello di Donori, poi quello di Barrali, mentre sulla sinistra avvisterà in lontananza quelli di Pimentel e Samatzai.

Il terreno fino al ponte di Bangius è un po’ accidentato, soprattutto a est, dove avanza un contrafforte del monte granitico di Donori che si prolunga fin sopra Bangius; lo chiamano Monte Uda. Dietro al contrafforte si trova il villaggio di Sant’Andrea Frius, nei dintorni del quale sono state effettuate ricerche di minerali piombiferi, senza alcun risultato soddisfacente. Tuttavia il geologo potrà trarre profitto dalla visita del posto grazie alla varietà dei terreni che vi si trovano, tra gli altri i depositi terziari conchigliferi.

Nel ponte di Bangius lo scenario cambia: si vede soltanto una specie di pianura o piuttosto un bacino leggermente ondulato detto “Trexenta”; è popolato di villaggi: alcuni come Arixi, San Basilio e Sisini, sono ai piedi o sui versanti delle colline terziarie che delimitano il bacino a destra; dalla parte opposta si notano specialmente Ortacesus, Guasila, Guamaggiore, Selegas e Seuni, mentre al centro della pianura la grande strada attraversa i popolosi villaggi di Senorbì e Suelli.

Suelli fu un tempo sede episcopale, a datare da San Giorgio vescovo della Barbagia, al quale Torgotorio I, giudice di Cagliari, donò questo villaggio per tenere vicino a sé quel santo prelato.

La seconda moglie di questo giudice, di nome Nispella, gli donò anche la vicina villa di Simieri; i due sposi sono quelli di cui si è parlato nel capitolo precedente a proposito della chiesa di Sant’Antioco, dove sembra sia stato sepolto Torgotorio I.

Nel 1425, sotto il pontificato di Martino V, il vescovado di Suelli fu unito alla mensa arcivescovile di Cagliari, alla quale adesso sono annessi tutti i villaggi della Trexenta; ciò non impedisce che il vecchio titolo di vescovo di Barbagia passasse nel 1824 al nuovo vescovado di Tortolì. La figura di San Giorgio di Suelli è molto popolare in tutta l’Isola, soprattutto nella parte montuosa, detta ancora oggi “Barbagia”. La chiesa parrocchiale di Suelli, dedicata a San Pietro, è antichissima; si sostiene che la sua costruzione risalga ai tempi in cui viveva il San Giorgio in questione e cioè prima dell’anno 1113 nel quale morì. Vicino alla chiesa c’è il santuario dedicato al santo e molto frequentato dai devoti.

Il bacino della Trexenta, nonostante la grande fama di fertilità dovuta alle colture cerealicole, colpisce il viaggiatore per la totale assenza di alberi prodotta principalmente dalla mancanza d’acqua: difetta anche d’acqua potabile, e quella che si beve è salmastra oltreché rarissima. Le persone agiate dei paesi la mandano a prendere molto lontano.

Ho tuttavia dei dati geologici e stratigrafici sufficienti per credere che delle prove di scavi artesiani in questi luoghi sarebbero coronate da grande successo. Tutto il bacino, formato da depositi terziari abbastanza recenti stratificati regolarmente, si appoggia sui monti di formazione più antica che si elevano verso est; da questi punti devono senza dubbio provenire delle falde di acque sotterranee che scorrono nelle parti inferiori del bacino in questione, per cui è molto probabile che qualche colpo di sonda fortunato e ben diretto faccia scaturire le acque alla superficie della pianura. È una delle prove di sondaggio che in Sardegna raccomando in modo speciale.

Superato il villaggio di Seuni si incontra una salita che porta a un altipiano composto anch’esso di terreni terziari; si vedono a destra, un po’ in lontananza, i bei paesi di Siurgus e Donigala, nel punto di giunzione del bacino terziario ai monti di transizione, mentre verso ovest si vedono sorgere le cime marnose di Punta Acuzza (“Punta Acuta”) e il Monte Corona sotto il quale si nasconde il fangoso villaggio di Gesico; poi si arriva, sempre in pianura, a quello di Mandas.

Mandas è notevole soltanto per l’estensione dell’abitato e per la numerosa popolazione; la chiesa non offre un grande interesse, ma è degna d’essere ricordata per gli ornamenti in marmo locale, di cui è stata dotata a spese e su iniziativa di un suo rettore, il defunto Federico Gessa. Questo degno ecclesiastico fece intraprendere da solo lo sfruttamento e la lavorazione di un marmo grigio detto “bardiglio”, che si trova nel terreno di transizione a qualche minuto di distanza dal villaggio; ma l’industria decadde alla morte del rettore e non si riprese più, nonostante l’impegno del fratello, Francesco Gessa, anch’esso defunto, che per molti anni fu intendente della provincia di Isili, alla quale appartiene il villaggio. Il ricordo dei due fratelli resterà a lungo impresso nella memoria delle persone che come me hanno sempre trovato nella loro casa un’ospitalità cordiale e allo stesso tempo estremamente discreta, condizioni che difficilmente coesistono."




[1] Alberto DELLA MARMORA, Itinerario dell'isola di Sardegna, (riedizione originale Torino 1860 con traduzione a cura di Maria Grazia Longhi), vol. 2, Nuoro 1997, pagg. 9-12. Titolo originale: Itinéraire de l’Ile de Sardaigne, pour faire suite au Voyage en cette contrée, tome I-II, Turin, Fréres Bocca, 1860, pagg. 364-367. L'estratto in francese direttamente dalla versione originale a pag. 365.

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