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CUCCURU DE CASTEDDU (Villamar)
di Sergio Sailis
Tra i molti studiosi che si sono interessati alla storia
della Sardegna, ed in modo particolare delle sue fortificazioni, pochi, anche
nei secoli passati, hanno trattato di questo fortilizio, ormai quasi
completamente distrutto, situato in prossimità di quello che era l’antico
confine tra il Giudicato di Cagliari e quello di Arborea.
Localizzazione:
Localizzazione:
I.G.M.: Foglio 539 sezione II – Villamar, scala 1:25.000
Provenendo da Guasila lungo la S.P. n. 35 Guasila – Villanovafranca all’incrocio con la S.P. 42 Gesico –Villamar si svolta a sinistra in direzione Villamar e dopo circa 2 km sulla destra, a circa 500 metri dalla carreggiata, si nota la sagoma inconfondibile della collina, un ripido mammellone molto simile a quello ben più famoso di Las Plassas anch’esso fortificato; sulla sommità dell’altura sono ancora visibili i ruderi della fortificazione che da una certa distanza possono essere scambiati per formazioni rocciose naturali.
Dalla sua cima si ha un’ampia
visuale a sud su una buona parte della valle solcata dal torrente Sippiu/Lanessi
(sino ai contrafforti delle basse colline di Castangiolas e Genna Pisanu) mentre
a ovest sulla valle quella attraversata dal Rio Mannu. La visuale a nord è
preclusa dalle limitrofe colline di “Pranu Idda” mentre a nord-est da quelle di
“Bruncu Argiola” e “Bruncu Murdegu” per cui si può presupporre che dovette
appartenere al castelliere del Giudicato Arborense.
Cuccuru de Casteddu lato sud con le colline circostanti |
La zona era ampiamente
frequentata sin dall’epoca nuragica. Il colle infatti è situato circa 1,5 km a
sud del complesso nuragico di “Su Mulinu” di Villanovafranca e, in direzione
sud sud-est, a circa 700 m. troviamo il nuraghe Bruncu Sa Fa e a circa 1,5 km
il complesso nuragico di Nureci solo per citare quelli più prossimi.
Considerando i frammenti ceramici che si rinvengono sulle pendici della collina
non è escluso che anche la fortificazione di Cuccuru de Casteddu sia stata
edificata su un preesistente insediamento di epoca nuragica ormai scomparso. Il
territorio circostante successivamente risulta densamente abitato anche in epoca romana (notevole
un sarcofago rinvenuto in agro di Guasila a circa 2 km di distanza e oggi
custodito al museo archeologico di Senorbì) ed in epoca medioevale.
Descrizione:
L’edificio, oggi ormai totalmente
diroccato e praticamente raso al suolo, occupava tutta la parte sommitale del colle
per una superficie di circa 800-1000 mq. Attualmente sono ancora visibili
alcune parti delle murature esterne realizzate con pietrame locale di piccola
pezzatura non lavorato e legato con calce. In diversi settori si notano tratti di
mura (alcuni realizzati con la tecnica a “spina di pesce”) che nelle pareti esterne,
grazie anche ai dislivelli della collina, svettano anche per oltre 2 metri
mentre in altri settori sono praticamente all’attuale livello di calpestio.
La struttura aveva pianta
rettangolare di circa metri 27 x 30 e doveva essere munita di torri agli angoli;
le murature nella parte nord e nord-ovest erano dotate di parete scarpata
ancora oggi ben visibili.
All’edificio si accedeva per mezzo
di un ripido sentiero che, a circa 3 quarti del colle, si allargava in uno
spazio realizzato con l’estrazione del materiale lapideo impiegato per le
murature e nel quale vennero realizzate alcune costruzioni probabilmente
adibite a ulteriori opere difensive o a locali di servizio.
Lungo il versante sud ed in
quello nord-ovest e nord-est della collina si rinvengono tutt’ora numerosi
frammenti ceramici, alcuni dei quali smaltati.
La mancanza di indagini
archeologiche e la pressoché assenza di documentazione storica che lo riguardano
ci impediscono di stabilire quando venne realizzato e quando (e perché) il
fortilizio cessò di essere utilizzato e soprattutto se volontariamente, in
quanto non più adeguato alle nuove strategie militari (o ai nuovi confini tra i
due Giudicati), oppure a causa della sua distruzione a seguito di eventi
bellici.
Come accennato in precedenza, la
fortificazione era localizzata proprio al confine tra il giudicato di Cagliari
e quello di Arborea e più precisamente tra le attuali Guasila (Trexenta) e
Villamar (Marmilla).
Sino all’impresa di Guglielmo di
Massa della fine del 1195 [1] o degli
inizi del 1196 [2], il confine tra i due
Giudicati passava a circa 1,5 km dalla collina in cui era situato il
fortilizio. In quel periodo infatti il Giudice di Cagliari Guglielmo I (alias
Salusio IV) invase il Giudicato d’Arborea probabilmente per la via della poco distante Sanluri (circa 10 km in linea d’aria) e, dopo averlo
sconfitto o comunque esautorato (non è ancora chiaro se effettivamente ci sia
stato uno scontro campale), imprigionò il Giudice di Arborea Pietro I (e suo
figlio Barisone) mentre l’altro Giudice condomino, Ugo Ponç de Bas, poco dopo riesce
a rifugiarsi a Genova. Vista la vicinanza con Sanluri non è quindi escluso che
parte delle operazioni militari abbiano coinvolto anche questa fortificazione.
Nel 1206, forse per mettere fine
allo stato di tensione che nel frattempo si era instaurato con papa Innocenzo
III [3](il
quale non aveva mai riconosciuto la titolarità della conquista del Marchese di
Massa) il suddetto Guglielmo e Ugo I de Bas, Giudice di Arborea (nonché suo
genero per averne poco tempo prima sposato la figlia Preziosa) sottoscrissero
un trattato con il quale venivano fissati “sas sinnas e confinis” ossia i nuovi
limiti tra i due stati [4]. I
confini, che precedentemente in questo settore passavano per le rovine del
villaggio di “Sa Fa”, vennero spostati a “Sancta Maria de Sinnas de Maara” da alcuni identificata con la chiesa di Nostra Signora d’Itria (posta a
circa 2,5 a nord nord-ovest di Villamar) mentre molto più probabilmente si tratta della chiesa di Santa Maria de Monserrat (situata circa 2 km a nord nord est di Villamar e a 4,5 km a nord nord ovest di Cuccuru de Casteddu). Il passo che ci interessa è il seguente:
“… et calarus totui s’orroia
inter Su ’e Turri et Sancta Maria de Sinnas de Maara; et benerus inter muru de
Donnigallu et issa domestia de Bani<u> de Baressa ilassando-lla a manu
destra intru de Arbarei; et essit totui s’erriu derectu ad Sanctu Iorgi de
Sinnas, et bennirus totui s’erriu derectu assa Funtana de Sissoni, et benerus
derectu ad Cucuru de Stipoi, et calarus serra serra lassando ad manu destra
s’erriu intru de Arbarei, et calarus totui s’erriu s’erriu ad serras de Masoni
de Iustu, et calarus erriu erriu infini a sa bia ki baet dae Sellori et Sanctu
Gavinu …”[5]
E’ quindi probabile che gli
eventi bellici del 1195/1196 ed il conseguente spostamento dei confini del 1206
siano la causa del definitivo abbandono della fortificazione. [6].
Non è comunque da escludere che
l’abbandono (o la distruzione) sia avvenuto precedentemente all’invasione
dell’Arborea da parte di Guglielmo essendo ben nota la litigiosità dei
Giudicati sardi e lo stato di guerra quasi perenne che nei decenni precedenti per
almeno un secolo e mezzo sconvolse l’isola.
Meno verosimile, anche se comunque
da non scartare a priori in assenza di elementi certi, potrebbe essere invece l’ipotesi
che il castello sia stato costruito proprio a seguito della suddetta invasione di
Guglielmo in modo da proteggere i nuovi confini stabiliti nel trattato del
1206.
Questa ipotesi infatti contrasta
con l' orografia della zona (la collina ha buona visuale a sud e
ad ovest quindi verso il Giudicato di Cagliari), la tipologia dei materiali
impiegati (pietrame grezzo non lavorato) ed il fatto che dopo questo periodo le
fonti documentarie relative alla Sardegna in generale diventano man mano più
numerose ma il castello non viene menzionato nelle fonti pisane e catalane a
meno di non voler identificare i ruderi con il non ancora individuato castello
di “Montenuovo” [7] citato tra i castelli dei possedimenti
pisani pertinenti alla terza parte dell’ormai ex Giudicato di Cagliari unitamente
a quello di Baratuli (attualmente in agro di Monastir) e Orgoglioso
(attualmente in agro di Silius). Poiché, come accennato in precedenza, la
dislocazione lascia supporre che fosse adibito alla difesa del Giudicato di
Arborea anche questa ipotesi risulta poco convincente.
LEGGENDE
Come ogni castello che si
rispetti anche su Cuccuru de Casteddu sono sorte delle leggende popolari.
La forma conica della collina,
molto simile ai cumuli di grano che si ammassavano nelle aie, e di quelle
circostanti, che ricordavano i mucchi di paglia conseguenti alla trebbiatura, ha
generato la seguente leggenda popolare:
Si narra che un ricchissimo possidente
produceva tanti cereali che quando questi erano ammassati nell’aia sembravano
una collina. Purtroppo quest’ uomo era tanto ricco quanto avaro per cui quando
qualche povero gli chiedeva l’elemosina rispondeva che lui non possedeva niente
e di conseguenza niente poteva dargli. Il Signore avendo notato che questo fatto
si ripeteva in continuazione nonostante le ricchezze del possidente fossero ben
evidenti decise di metterlo alla prova. Una mattina, travestito da mendicante,
passò davanti all’aia e chiese un poco di grano in elemosina. Il possidente,
come al suo solito, rispose che non poteva dargli nulla perché non aveva
niente. Il Signore allora, indicando il grano ammassato nell’aia, gli chiese di
chi fosse allora tutto il frumento che era li ammassato al che il possidente
gli rispose che quello non era grano ma terra. Il Signore allora mesto si
rimise in cammino. Il giorno successivo, il Signore ripassa davanti all’aia e
la scena si ripete allo stesso modo. Il terzo giorno ancora una volta il
Signore ripassò davanti all’aia e chiese nuovamente un poco di grano in elemosina.
Il possidente rispose, come era suo costume, che i cumuli che si vedevano era
di terra e che non aveva grano da dare. Il Signore allora per punire il
possidente della sua avarizia trasformò in terra sia il grano che la paglia.
Una leggera variante della
leggenda, raccolta a Villamar da Albertina Piras [8],
narra che il Signore venne per tre volte nell’aia a chiedere una manciata di
grano al ricco benestante ma questi gliela negò. Il Signore lo punì tramutando
il suo ammasso di grano e il bestiame in terra e pietre.
Da mettere in evidenza inoltre come certe tradizioni orali in Sardegna siano radicate e diffuse anche a grande distanza. Infatti una leggenda molto simile venne raccolta da Giovanni Deriu relativamente a “sa Rocca de sos saccos” in comune di Semestene a circa 200 km di distanza [9].
Il castello ha inoltre dato luogo
ad un’altra leggenda popolare. Si dice infatti che dall’edificio parta un
cunicolo che conduce direttamente all’interno di una chiesa di Villamar.
Ovviamente la fantasia popolare, forse influenzata dalla presenza di qualche
vano o ingresso visibile nei tempi passati tra i ruderi del castello ma oggi non
più rintracciabile, ha alimentato questa diceria. Se si tiene conto
dell’orografia della zona, possiamo dire che è estremamente difficile
realizzare un siffatto tunnel in quanto Villamar dista in linea d’aria circa 3
km. ed inoltre alla periferia del centro abitato scorre il Rio Manno per cui il
passaggio sotterraneo sarebbe dovuto passare sotto l’alveo del fiume con le
conseguenze facilmente immaginabili visto che il terreno è di tipo alluvionale
e senza stratificazioni rocciose superficiali.
Sergio Sailis
[1] Maurizio
VIRDIS, Il Condaghe di Santa Maria di Bonarcado, Monastir 2002, pag. LVIII.
Cfr. anche Eduardo BLASCO FERRER, Crestomazia sarda dei primi secoli - vol. I,
Officina linguistica anno IV - n. 4, Nuoro 2003, pag. 80.
[2] Mauro
G. SANNA, Il giudicato di Arborea e la Sardegna tra la fine del XII e gli inizi
del XIII secolo. Aspetti storici, pag. 8; in Chiesa, potere politico e cultura
in Sardegna dall'età giudicale al Settecento. Atti del 2° Convegno
Internazionale di Studi, Oristano, 7-10 dicembre 2000, a cura di G. MELE,
Oristano 2005. pp. 415-438, Oristano 2005.
[3] Raimondo PINNA, Santa
Igia. La città del Giudice Guglielmo, Cagliari 2010.
[4] Arrigo
SOLMI, Un nuovo documento per la storia di Guglielmo di Cagliari e dell'Arborea,
in Archivio Storico Sardo - vol. IV - fasc. 1/2 - anno 1908, Cagliari 1908.
Cfr. Eduardo BLASCO FERRER, Crestomazia sarda dei primi secoli - vol. I, Officina
linguistica anno IV - n. 4, Nuoro 2003, pagg. 77-84.
[5] Eduardo
BLASCO FERRER, Crestomazia sarda dei primi secoli - vol. I, Officina
linguistica anno IV - n. 4, Nuoro 2003, pagg. 77.
[6] Francesco Cesare CASULA,
Dizionario storico sardo, Sassari 2003, pag. 1887.
[7] Massimo
RASSU, L’impronta di un Regno. Centri abitati e organizzazione territoriale nel
giudicato di Arborea, Ghilarza 2008, pag. 111, il quale riprende le ipotesi di G. Ugas in "Villamar. Una comunità, la sua storia." (a cura di Giovanni Murgia), Dolianova 1993. In precedenza invece altri autori avevano identificato il castello di Montenuovo con quello di Monreale ipotizzando un cambio di denominazione successivo alla conquista catalano-aragonese: Piero AMAT DI SAN FILIPPO, Indagini e studi sulla storia economica della Sardegna, in Miscellanea di Storia Italiana: 3A serie, t. VIII, Torino 1902 pag. 358.
[8] Albertina
PIRAS - Antonio SANNA, La Marmilla attraverso le sue storie e le sue leggende,
Cagliari 2006, pag. 29.
[9] Giovanni DERIU, in “Notice sur les traditions populaires et religeuses de Semestene”, relazione dattiloscritta in “Corso di storia delle tradizioni popolari della Facoltà di Magistero di Sassari ( anno 1973-1974) riproposta con alcune varianti anche in Giovanni DERIU – Salvatore CHESSA, Semestene e il suo territorio – dal basso medioevo agli inizi dell’epoca contemporanea, EDES, Sassari 2003, pagg. 61-63.
[9] Giovanni DERIU, in “Notice sur les traditions populaires et religeuses de Semestene”, relazione dattiloscritta in “Corso di storia delle tradizioni popolari della Facoltà di Magistero di Sassari ( anno 1973-1974) riproposta con alcune varianti anche in Giovanni DERIU – Salvatore CHESSA, Semestene e il suo territorio – dal basso medioevo agli inizi dell’epoca contemporanea, EDES, Sassari 2003, pagg. 61-63.
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