Dizionario Biografico degli
Italiani - Volume 61 (2004)
di Mauro Ronzani
GUGLIELMO di Massa. - Nacque
probabilmente intorno al 1160, ignoriamo dove; si ritiene che suo padre fosse
Oberto, figlio del marchese Alberto Corso (e fratello del marchese Guglielmo),
e che la madre, Giorgia, fosse figlia del giudice di Cagliari Costantino (II),
attestato in tale veste fra il 1130 e il 1163.
Nulla di lui è documentato prima
della sua ascesa sul trono giudicale di Cagliari (1187), ma il fatto stesso che
egli raggiungesse (e mantenesse per un venticinquennio) tale posizione induce
ad accettare l'idea che non fosse privo di un titolo di legittimità, quale solo
la madre avrebbe potuto fornirgli.
La famiglia paterna, di ceppo
obertengo, detentrice di diritti signorili a Massa Lunense sin dal sec. XI, era
riuscita a impiantare solide basi di potere anche in Corsica. Alberto Corso,
figlio di Oberto Brattaporrata, rimase legato alla sede arcivescovile e alla
città di Pisa, pur senza rinunciare ad ambizioni d'espansione nel Tirreno; ciò
permetterebbe di spiegare il matrimonio di uno dei suoi due figli (l'Oberto sul
quale non sappiamo peraltro quasi nulla) con una figlia del giudice Costantino,
notoriamente assai legato a Pisa.
La figlia primogenita di costui
aveva sposato Pietro, figlio di Gonario giudice di Torres, che subentrò al
suocero sul trono giudicale cagliaritano con il nome dinastico di Torchitorio
(III), rovesciando ben presto il tradizionale orientamento del Giudicato e
legandosi strettamente a Genova. Alla metà degli anni Ottanta la situazione
politica dell'isola tornò ad agitarsi in seguito alla morte del giudice
d'Arborea Barisone. Pisa riconobbe come suo successore il figlio di primo letto
Pietro, mentre Genova si accordò con la seconda moglie di Barisone, Agalbursa,
che intendeva far salire sul trono di Oristano il giovanissimo nipote Ugo di
Bas. Nel novembre 1186 Genova trasse dalla propria parte anche Barisone di
Torres, innescando in tal modo una situazione di tensione, che sfociò in aperto
conflitto nel 1187, quando i Pisani passarono in Sardegna e cacciarono i mercanti
genovesi, dopo averli spogliati dei loro beni, da tutto il Giudicato di
Cagliari.
Il principale risultato politico
della spedizione pisana fu la cacciata del giudice cagliaritano Pietro (del
quale non si hanno ulteriori notizie) e l'insediamento sul trono di S. Gilla di
Guglielmo, attestato esplicitamente come giudice solo a partire dal 1190.
Alcuni studiosi hanno pensato che titolo e poteri giudicali fossero assunti
dapprima da Oberto; ma ciò, oltre a non essere documentato, è smentito dal
fatto che Guglielmo assunse il nome dinastico di Salusio (IV), spettantegli,
per regolare alternanza, quale immediato successore di Pietro-Torchitorio.
L'iniziativa militare pisana del
1187 ebbe l'effetto di ribaltare in favore della città toscana l'equilibrio politico
dell'intera isola. Quando, il 7 luglio 1188, i cardinali a ciò deputati da
Clemente III emisero la sentenza che doveva riportare la pace fra Pisa e
Genova, essi ordinarono ai Pisani (e solo a essi) di fare in modo che tutti i
giudici di Sardegna giurassero di salvaguardare gli interessi dei Genovesi. È
in effetti assai verosimile che proprio in tale anno, a Torres, a Barisone che
poco prima s'era avvicinato a Genova subentrasse il figlio Costantino (II), che
nel giugno 1191 avrebbe concluso anch'egli un accordo con Genova, a condizione
che esso non fosse diretto contro Guglielmo, con il quale intendeva mantenere
la pace.
Negli anni Novanta Guglielmo fu
molto attivo in Sardegna. Dopo il trattato con Costantino di Torres, nel
febbraio 1192 Genova patrocinò un accordo fra i due pretendenti al trono
giudicale d'Arborea, i quali accettarono un condominio paritetico sotto l'egida
genovese.
Non è ben chiaro se la reazione
di Guglielmo a tali novità fosse immediata, o egli si muovesse solo un paio
d'anni dopo. Quel che è certo è che nel marzo 1195 (data del primo documento
utile a chiarire gli sviluppi della situazione) egli si trovava in Arborea, e
già da qualche tempo era in guerra con Costantino di Torres, che, tramite
alcuni pisani a lui legati da vincoli di parentela e rapporti d'affari, s'era
rivolto ai consoli di Pisa perché inducessero Guglielmo a far pace con lui.
Poiché nel documento in questione si legge che Costantino aveva chiesto a Pisa
di far lo stesso anche nei confronti di Pietro giudice d'Arborea, dobbiamo
ritenere che Guglielmo fosse allora alleato di quest'ultimo, e che la sua
presenza in Arborea fosse giustificata dall'avvenuta cacciata di Ugo di Bas (o
comunque dal disconoscimento dei diritti di costui sul Giudicato). Ma prima del
marzo 1195 Guglielmo aveva attaccato il Giudicato di Torres, s'era impadronito
dell'importante castello del Goceano e soprattutto aveva catturato la moglie di
Costantino (Prunisinda), portandola prigioniera nel Cagliaritano (dove in
seguito sarebbe morta) insieme con altre donne del suo seguito. Qualche anno
dopo questa circostanza sarebbe stata duramente rimproverata a Guglielmo da
Innocenzo III, che lo accusò di aver disonorato Prunisinda. La mediazione del
Comune pisano configurata dal documento del marzo 1195 avrebbe dovuto
comportare (oltre alla liberazione della sposa del giudice) il pagamento da
parte di Costantino di un forte riscatto per riavere il castello del Goceano (o
un altro di pari importanza). Ma la prevista missione in Sardegna di un console
pisano probabilmente non ebbe luogo, o fu inefficace; sappiamo infatti che a
recarsi nell'isola, e a intervenire energicamente nelle sue complicate
questioni politiche ed ecclesiastiche, fu l'arcivescovo pisano Ubaldo, che -
secondo quanto asseriscono più fonti - esercitò le proprie prerogative di
legato apostolico in Sardegna con il consenso (e forse uno speciale mandato) di
papa Celestino III.
Forse già prima che Ubaldo
arrivasse nell'isola, Guglielmo mosse dunque contro l'ex alleato Pietro
d'Arborea, lo catturò insieme con il figlio Barisone e assunse il pieno
controllo del Giudicato, facendosi concedere lo scettro da alcuni vescovi, dai
canonici della cattedrale di Oristano e, probabilmente, dai maggiorenti laici.
Di lì a poco intervenne Ubaldo, che si mosse di conserva con Guglielmo che
sarebbe arrivato a impedire con la forza all'arcivescovo arborense Giusto di
lasciare l'isola per recarsi a Roma. Ubaldo riservò attenzione ancor maggiore
al conflitto fra Guglielmo e Costantino di Torres: si interpose fra i due e si
fece consegnare da Guglielmo, come pegno, il castello del Goceano; ma
Costantino rioccupò il castello, e fu punito da Ubaldo con la scomunica. Poco
dopo il giudice morì, senza poter essere assolto da tale sanzione; il titolo di
giudice passò a suo fratello Comita, il quale non solo dovette accettare i
buoni uffici di Ubaldo e concludere rapidamente la pace con Guglielmo (nel
quadro di un accordo che prevedeva anche il matrimonio fra suo figlio Mariano e
una figlia di Guglielmo, Agnese), ma dovette anche pronunciare nelle mani di
Ubaldo un giuramento di fedeltà che implicava l'obbedienza a lui come legato
apostolico permanente nell'isola, e l'impegno a seguire le direttive politiche
impartite da Pisa. Un simile giuramento Ubaldo ottenne allora anche da
Guglielmo: l'egemonia pisana sull'isola sembrava così ristabilita, e il fatto
che essa si fondasse - almeno formalmente - sulle prerogative ecclesiastiche
della sede arcivescovile cittadina le conferiva una certa legittimità.
Genova, ovviamente, non poteva
non reagire a quanto stava accadendo. Nello stesso 1196 una flotta genovese si
presentò davanti al litorale cagliaritano, facendovi sbarcare e accampare un
esercito. Guglielmo tentò di ributtare a mare i Genovesi, ma fu sconfitto da
rinforzi giunti da Genova che distrussero quasi completamente il palazzo
giudicale di S. Gilla. Qualunque ne sia stata l'effettiva portata militare,
quest'episodio non provocò alcun cambio della guardia alla testa del Giudicato.
All'inizio del 1198 salì al
pontificato Innocenzo III. Appena un mese dopo essere stato consacrato, egli
confermò all'arcivescovo Ubaldo le prerogative di primate delle tre province
ecclesiastiche sarde e di legato apostolico; ma nell'agosto successivo, nella
prima lettera da lui dedicata alle questioni isolane, incaricò l'arcivescovo di
Cagliari, il vescovo di Sorres e l'arcivescovo eletto di Torres (il pisano
Bandino) di verificare la fondatezza del resoconto inviatogli dall'arcivescovo
Giusto d'Arborea sul comportamento tenuto a suo tempo da Guglielmo nei
confronti suoi e del giudice Pietro, nel frattempo deceduto, nonché sul
comportamento dell'arcivescovo pisano durante la legazione del 1195-96. La
situazione in Sardegna era nuovamente in movimento. Sappiamo che nell'agosto
del 1198 Ugo di Bas, a Genova, rinnovò il patto d'alleanza con la città che lo
ospitava ormai da alcuni anni. Poco dopo (prima degli inizi del 1200), avendo
chiesto inutilmente al pontefice un avallo al predominio conseguito in Arborea
dopo l'eliminazione del giudice Pietro, Guglielmo strinse - all'insaputa di
Innocenzo III - un accordo diretto con Ugo, promettendo di dargli in sposa la
propria figlia Preziosa, che avrebbe portato in dote metà del Giudicato
d'Arborea (anche se Guglielmo si riservava il controllo delle principali fortezze).
Nel medesimo periodo Guglielmo intervenne pesantemente nella questione della
successione del trono giudicale di Gallura, vacante per la sopravvenuta morte
del giudice Barisone e, dopo aver fatto prigioniere la vedova e la figlia Elena
(portatrice dei diritti di successione), impegnò quest'ultima a contrarre
matrimonio (non appena avesse raggiunto l'età sufficiente) con il marchese
Guglielmo Malaspina (cognato di Guglielmo, in quanto fratello di sua moglie
Adalasia, figlia di Moroello Malaspina).
Guglielmo stava quindi
sviluppando un disegno di penetrazione in tutti gli altri Giudicati sardi
attraverso unioni matrimoniali (mentre Benedetta, la primogenita, per il
momento non era stata data in sposa, in previsione di sviluppi futuri). Ma
proprio quest'intervento nella successione gallurese suscitò la forte
opposizione di Innocenzo III, ben deciso a dar forza alla rivendicazione del
dominio temporale della Sede apostolica sull'isola. Nel 1200 (probabilmente nei
primi mesi) egli inviò a Guglielmo una dura lettera, nella quale non solo ne
stigmatizzava l'ultima iniziativa, ma dimostrava anche di conoscerne tutto
l'operato precedente rievocando con toni aspri la cattura e l'imprigionamento
sia della moglie di Costantino sia del giudice Pietro d'Arborea, come pure il
più recente accordo con Ugo di Bas.
Il papa ricordava a Guglielmo che
egli, quando un tempo s'era trovato "in orientali provincia", aveva
lodevolmente militato per Gesù Cristo (Migne, CCXIV, col. 917), riferendosi
forse a una partecipazione di Guglielmo alla terza crociata, forse al seguito
dell'arcivescovo pisano Ubaldo.
Invero, era stato lo stesso
Guglielmo a rivolgersi al pontefice, chiedendogli di appianare una discordia
insorta con il giudice Comita di Torres; e Innocenzo ne approfittò per
convocare davanti a sé entrambi i giudici entro il successivo 29 giugno.
Alla fine del 1202 Innocenzo III
scrisse a Comita, rassicurandolo sul fatto che il giuramento da lui pronunciato
a suo tempo nelle mani di Ubaldo non poteva in alcun modo andare a discapito
della superiore autorità della Sede apostolica. A quel punto il papa aveva già
trovato l'esecutore della sua politica sarda: era il nuovo arcivescovo di
Torres, Biagio, che giunse nell'isola nel marzo del 1203. Già nell'estate
successiva l'azione di costui ottenne un primo significativo risultato: come
sappiamo da una lettera papale del 15 sett. 1203, Guglielmo aveva sottratto al
cognato Guglielmo Malaspina l'amministrazione del Giudicato gallurese, e si
dichiarava anzi disposto a proteggere Elena da altri pretendenti sgraditi al
pontefice. Guglielmo aveva dunque compiuto un passo importante, rinunciando a
completare il proprio disegno egemonico e accettando di assecondare l'azione
del pontefice e di Biagio. Si lasciò però un certo spazio di manovra: da
un'altra lettera innocenziana con la stessa data della precedente apprendiamo
che, richiesto da Biagio di pronunciare un giuramento di fidelitas in favore
del papa, egli aveva preso tempo, asserendo di aver già pronunciato un uguale
giuramento nelle mani dell'arcivescovo Ubaldo (sia pure con la clausola della
salvaguardia dell'onore della Sede apostolica). Guglielmo non intendeva
evidentemente rischiare d'inimicarsi l'arcivescovo pisano (e con lui il
Comune); ma proprio l'atteggiamento da lui assunto nella questione della
Gallura avrebbe finito per metterlo in difficoltà nei confronti della città
toscana.
In una lettera del luglio 1204 il
papa ringraziò Guglielmo per aver provveduto, su sua richiesta, a liberare
dalla prigionia il figlio di Pietro d'Arborea; non è peraltro possibile dire se
dietro questo gesto vi fosse già il disegno (concordato con il papa) di fare di
Barisone il futuro marito di Benedetta (quel che si sarebbe verificato nel
1214). Sembra che fra il 1205 e il 1206 Innocenzo maturasse la decisione di
fare sposare Elena al proprio cugino Trasmondo; l'11 maggio 1206 scrisse a
Elena per annunciarne il prossimo arrivo. Ma nei mesi successivi l'operazione
fallì per le pressioni esercitate da Pisa su Elena e sua madre; un anno dopo,
al più tardi, Elena sposò il pisano Lamberto di Eldizio Visconti, in spregio
alla volontà del papa. Innocenzo considerò le autorità comunali di Pisa
responsabili dell'iniziativa di Lamberto, che, come già il padre e gli avi, era
vassallo dell'arcivescovato pisano, mentre suoi parenti fecero parte di quasi
tutti i reggimenti succedutisi in città dal 1201 in avanti. Non sembra perciò
una coincidenza che proprio all'inizio del 1206 i rapporti fra Guglielmo e Pisa
entrassero improvvisamente in crisi.
A informarcene è ancora una volta
una lettera di Innocenzo III (indirizzata il 14 marzo 1206 al vescovo di
Firenze), dalla quale pare di capire che Guglielmo avesse cercato di riscattare
certi diritti (sicuramente di tipo economico) detenuti in società da coloro che
a suo tempo avevano sostenuto (ovvero finanziato) la conquista del Giudicato
cagliaritano, facendoli acquistare da certi suoi amici non meglio specificati,
e che le autorità comunali di Pisa avessero bloccato tale operazione. Questo fu
peraltro solo l'inizio di un lungo contenzioso, destinato a riemergere
periodicamente negli anni successivi.
Guglielmo non restò inattivo di
fronte al fallimento dell'iniziativa papale per la Gallura; il 30 ottobre 1206
stipulò un accordo con Ugo di Bas: il matrimonio fra costui e Preziosa era
stato nel frattempo realizzato, e si procedeva alla formale delimitazione delle
aree del Giudicato arborense poste sotto il controllo rispettivamente del
suocero e del genero (definito qui esplicitamente giudice d'Arborea). Colpisce,
al riguardo, che Innocenzo III nel giugno 1206 si pronunciasse a favore della
conclusione di quel matrimonio, mentre nell'ottobre 1207 rimproverasse
aspramente l'arcivescovo di Cagliari di averla permessa: è probabile che fra
1206 e 1207 Guglielmo fosse costretto a tenere una condotta politica
oscillante. Degno di nota è altresì che, al momento di stipulare l'accordo con
Ugo, Guglielmo avesse accanto a sé una nuova moglie (Adalasia era morta in data
imprecisata): costei era Guisiana, figlia di Guido Guerra (III) dei conti
Guidi, e proveniva dunque da una schiatta con grandi e ancor forti interessi in
Toscana, ma sostanzialmente estranea a Pisa.
Proprio da Pisa continuarono a
venire gravi problemi per Guglielmo. Il 22 dic. 1210 il papa scrisse al podestà
e al Consiglio del Comune di Pisa, mostrando di accettare le giustificazioni
inviate dai propri interlocutori dopo un suo precedente intervento: essi
sostenevano che le numerose azioni giudiziarie intentate contro Guglielmo sia
da parte del Comune sia da parte di privati non potevano essere discusse altro
che nei tribunali pisani, perché Guglielmo era a tutti gli effetti cittadino
pisano e aveva un'abitazione in città. È assai verosimile che a tale data
Guglielmo si fosse già trasferito a Pisa (sua madre Giorgia dettò l'atto di
fondazione di un nuovo ospedale che sarebbe dovuto sorgere vicino a Massa il 9 novembre
1210, nella sua casa pisana d'abitazione presso la cattedrale). A ogni modo,
anche in terra toscana egli restava sempre il giudice Salusio (IV) di Lacon,
come lo troviamo definito in un suo atto di concessione d'immunità in favore di
una dipendenza sarda del monastero urbano di S. Vito, rogato il 10 maggio 1211.
Nel settembre 1211 Guglielmo
riappare nel registro di Innocenzo III in relazione a due richieste da lui
fatte pervenire al pontefice: con la prima chiedeva di valutare se il suo
secondo matrimonio con la figlia del conte Guido fosse legittimo dal punto di
vista canonico (stante un certo grado di parentela fra i coniugi); con la
seconda intendeva consigliarsi con il papa circa l'atteggiamento da assumere
relativamente ai problemi dell'Arborea. Peraltro, il matrimonio con Guisiana
non fu sciolto e soprattutto, nel periodo successivo, Guglielmo si dedicò a
un'intensa attività politica in Toscana, di cui conosciamo solo l'esito
spettacolare (sebbene a lui sfavorevole). Sappiamo infatti che verso la metà di
gennaio 1213 egli partecipò a uno scontro armato di ampie proporzioni, svoltosi
sul litorale prospiciente Massa. A quanto è dato ritenere, era riuscito a mettere
insieme un vero e proprio esercito, formato da contingenti pisani, di Massa
stessa, di Pistoia, nonché da milizie reclutate dal suocero Guido Guerra;
mentre, dall'altra parte, combatterono contingenti lucchesi, signori di
castelli posti vicino a Massa, nonché due esponenti della famiglia pisana dei
Visconti: Ubaldo, fratello di Lamberto, e Goffredo Musto (già podestà di Pisa
nel 1209-10). Nei mesi precedenti, a Pisa doveva essersi svolta una durissima
lotta politica fra sostenitori e avversari dei Visconti (tanto che nel 1212 la
città era rimasta senza governo), e forse proprio Guglielmo era stato il capo
di questi ultimi; anche se, viste le parti coinvolte nello scontro del 1213,
egli aveva cercato sostegno anche fuori della città (riuscendo, a quanto
sembra, ad assumere il controllo del castello di Massa, che in precedenza era
stato in mano ad altri esponenti della sua famiglia). Ma l'esito della
battaglia fu negativo e di lì a poco il Comune di Pisa ebbe nuovamente un
governo, impersonato da quattro rectores, uno dei quali era un parente di
Lamberto e Ubaldo Visconti.
Guglielmo si ritrovò così sotto
la spada di Damocle dei procedimenti giudiziari intentati contro di lui dinanzi
ai tribunali cittadini per sottrargli diritti e cespiti economici nel Cagliaritano.
Il 26 novembre 1213 Innocenzo III scrisse nuovamente al vescovo di Firenze in
suo favore, perché era stato colpito da sentenze sfavorevoli, che stavano per
trovare esecuzione attraverso l'invio in Sardegna di un messo giudiziario
pisano, incaricato di sequestrare e assegnare ad altri i diritti economici del
Giudicato. È notevole che in questa occasione il papa dicesse esplicitamente
che Guglielmo teneva in feudo dalla Chiesa romana le terre che aveva in
Sardegna (ossia, che era ormai divenuto a pieno titolo vassallo della Sede
apostolica).
Poco dopo, fra la fine del 1213 e
l'inizio del 1214, Guglielmo morì; nel maggio 1214, infatti, gli era ormai
subentrata sul trono giudicale la figlia Benedetta.
Nella vera e propria occupazione
di S. Gilla e delle zone circostanti, intrapresa manu militari nel 1215 dal
Comune pisano (alla cui testa era ora, come podestà, Ubaldo Visconti),
descritta da una lettera di Benedetta a Onorio III, si può forse vedere
nient'altro che l'esecuzione di quanto disposto dai tribunali cittadini
nell'ultimo periodo di vita di Guglielmo.
Protagonista per almeno un
ventennio della politica sarda, Guglielmo fu altresì in contatto con trovatori
provenzali, quali Peire de la Caravana e Peire Vidal, il quale lo cantò come il
marchese di Sardegna che con gioia vive e con senno regna.
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"Al pro marques de Sardenha, qu'ab joi viu et ab sen renha", in Gli
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Fonte: http://www.treccani.it/enciclopedia/guglielmo-di-massa_(Dizionario-Biografico)/
Fonte: http://www.treccani.it/enciclopedia/guglielmo-di-massa_(Dizionario-Biografico)/
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