CHIANO (Chianni)
Dizionario Biografico degli
Italiani - Volume 24 (1980)
di Evandro Putzulu
CHIANO (Chianni). - Appartenne
certamente alla famiglia dei marchesi di Massa, la casata pisana che si era
insediata, verso la fine del XII sec., sul trono giudicale di Cagliari. Non si
conosce però l'esatto vincolo di parentela che lo legò alla famiglia, essendo
una mera supposizione del Besta che fosse figlio di Guglielmo (II) di Massa,
suo predecessore nel giudicato; oltre tutto, tra l'ultima citazione di
Guglielmo (II) e la prima di Chiano intercorre nelle fonti un lungo periodo di
silenzio.
Di certo sappiamo che la madre -
di cui peraltro non si conosce il nome - fu una de Serra della famiglia
giudicale arborense, che il Chiano non prese moglie e morì senza figli. Non si
sa quando e dove nacque e in quale anno salì sul trono.
La più antica notizia su di lui è
del 1254; in quell'anno era già giudice di Cagliari, giudice solo di nome
poiché di fatto, da un quarantennio circa, nel giudicato spadroneggiavano Pisa
e le potenti famiglie pisane dei Visconti, dei Gherardesca e dei Capraia che
miravano a sostituire i Massa sul trono di Cagliari o quantomeno a costituirsi
un proprio dominio nella regione.
Tutto ciò era strettamente
connesso alla lotta, inaspritasi in quegli anni, tra Genova e Pisa per il
predominio sul Tirreno e sulla Sardegna. Di fronte alla crescente pressione
genovese ed all'infido atteggiamento dei giudici, Pisa si era trovata nella
necessità di difendere la sua antica preminenza con propri punti di forza. Il
primo atto di questo nuovo indirizzo fu la repentina costruzione del castello
di Cagliari (1216-17), il potente baluardo che di colpo mise il giudicato e la
giudicessa Benedetta in balia di Pisa e dei fratelli Ubaldo e Lamberto Visconti
che, vantando diritti ereditari sul giudicato, erano stati i promotori del
colpo. Negli anni successivi la situazione si complicò: si fecero avanti i
Gherardeschi, vantando pretese sul giudicato in quanto discendenti per via
materna dall'ultimo giudice della dinastia locale, Costantino, e furono tirati
in ballo i conti di Capraia che in quel tempo manovravano per impadronirsi del
giudicato d'Arborea. Un quindicennio appresso, scomparsi Benedetta e i due
Visconti, il governo giudicale di Cagliari fu assunto ed esercitato da uno dei
Gherardeschi, il conte Ranieri de' Bulgari, marito di Agnese di Massa sorella
di Benedetta. La sua mossa, formalmente giustificata dalla necessità di
tutelare i diritti di Agnese e del minore Guglielmo (II), figlio di Benedetta,
mirava in realtà a creare una situazione di fatto a favore dei Gherardeschi.
Contro Ranieri si dichiarò subito Ubaldo Visconti, figlio di Lamberto, giudice
di Gallura, che, temendo il peggio e volendo riaffermare i suoi diritti sul
giudicato di Cagliari, istigò Rodolfo di Capraia ad invadere il Cagliaritano.
Quando, poco dopo il 1250, Chiano
salì sul trono giudicale, anch'egli, come i suoi immediati predecessori,
dovette prestare il giuramento di fedeltà imposto dal Comune di Pisa. V'era in
quest'atto una certa compensazione alla perdita d'autorità e d'indipendenza che
esso comportava per Chiano, in quanto Pisa veniva ad assumersi automaticamente
l'impegno di difendere il giudicato e il giudice da ogni eventuale nemico. Ma
egli dovette rendersi conto immediatamente che, in quella situazione, l'impegno
pisano poteva valere unicamente contro i Genovesi o altri nemici esterni che
attentassero alla preponderanza pisana in Sardegna, ma non contro quelli che
erano i suoi veri e immediati nemici e cioè i Visconti, i Gherardeschi e i
Capraia, che miravano a impadronirsi del giudicato. E se questi l'avessero
fatto, nessun aiuto gli sarebbe venuto da Pisa perché, in quegli anni, essi
erano i veri padroni dell'isola e di fatto costituivano il maggior strumento
dell'insidiato predominio pisano in Sardegna. Giovanni Visconti era giudice di
Gallura, Guglielmo di Capraia era giudice d'Arborea e i Gherardeschi, cresciuti
in potenza dopo il matrimonio di Guelfa con Elena figlia di Enzo re di
Sardegna, cercavano di affermare il loro dominio sul giudicato di Torres. Il
Comune di Pisa doveva necessariamente appoggiarsi a questi suoi potentissimi
cittadini e rimanerne condizionato, cosa che del resto si manifestava nella
stessa Pisa dove, sia pure in un quadro di rivalità, erano sempre o i Visconti
o i Gherardeschi o i Capraia a determinare la politica sarda del Comune. La
situazione di Chiano era perciò molto difficile.
Pisa, d'altro canto, attraversava
un periodo di grave crisi. La morte di Federico II (1250) aveva lasciato il
Comune in balia dei nemici di parte guelfa, mentre il Papato mostrava di
volersi appoggiare a Genova. Questa si fece avanti chiedendo la restituzione
del castello di Lerici toltole nel 1241 dall'imperatore Federico e da questo
donato ai Pisani. La guerra si concluse con la sconfitta di Pisa che dovette
piegarsi agli accordi del 4 ag. 1254 e in base ad essi obbligarsi a restituire
il castello di Lerici. L'esito della guerra, la morte dell'imperatore Corrado e
l'azione della Chiesa contro i ghibellini aggravarono le condizioni politiche e
finanziarie della città ed inasprirono le fazioni; particolarmente vivace era
la lotta tra i Visconti e i Gherardeschi. Nel Cagliaritano, al malcontento dei
Sardi, esasperati dalla crescente rapacità mercantile e fiscale di Pisa, si
aggiunsero le discordie e i contrasti accesisi tra gli stessi Pisani del
castello di Cagliari, legati anch'essi alle diverse consorterie che si
combattevano in Pisa.
Quale fosse esattamente la
situazione non si sa; sta di fatto che sulla metà del 1254 Chiano,
approfittando di circostanze indubbiamente propizie, s'impadronì del
formidabile castello di Cagliari. L'episodio è oscurissimo: nessuna fonte
fornisce riferimenti diretti sul momento, sui modi o sui motivi immediati
dell'occupazione o sulle ripercussioni interne ed esterne. In realtà, data la
considerevole struttura bellica del castello, sembra doversi escludere che
possa essersi trattato di un'occupazione guerreggiata e debba invece ammettersi
l'ipotesi di un colpo di mano concertato con elementi pisani del castello
schieratisi per ragioni di parte dal lato del giudice. Non sembra neanche che
l'azione di Chiano abbia avuto un dichiarato carattere antipisano, dato che
Pisa non reagì in alcun modo né si ebbero da parte di Chiano espulsioni o
rappresaglie né alcune di quelle drastiche misure che normalmente
accompagnavano siffatti mutamenti. Verisimilmente a indurlo ad agire fu il
pericolo che il castello potesse cadere nelle mani dei Visconti o dei
Gherardeschi o dei Capraia e aprire la strada della fine del giudicato.
Affermata la sua sovranità sul castello, Chiano si preoccupò di assicurare la
successione del giudicato e lo fece, dettando il 23 sett. 1254 un testamento
con cui istituì eredi universali i cugini Guglielmo e Rinaldo Cepolla.
Ben presto però dovette
accorgersi che era impossibile sostenere da solo la lotta che Pisa veniva
meditando e che non aveva altra risorsa che quella di rivolgersi a Genova. I
contatti cautamente avviati con il Comune ligure non sfuggirono a Pisa che alla
fine mostrò apertamente di prepararsi alla guerra, emanando una serie di
disposizioni dirette ai Pisani del castello di Cagliari, ai quali ordinò di
tenersi pronti ad ogni richiesta delle magistrature pisane del castello e a
quelli che fossero al servizio di Chiano di allontanarsene. Nel febbraio del
1256 Chiano mandò a Genova due suoi procuratori per stipulare un'alleanza che fu
firmata il 20 aprile e solennemente ratificata da Chiano il 25 maggio nella
cattedrale del castello di Cagliari alla presenza degli inviati genovesi
Guglielmo Malocello e Percivalle Doria. Il trattato stabiliva l'obbligo per
entrambe le parti di azioni concordi in terra e in mare contro il comune
nemico, per Chiano di farsi cittadino di Genova e conseguentemente prestare
giuramento di fedeltà e farlo prestare ai suoi sudditi, di riconoscere a Genova
la libera esportazione del sale, di consegnare all'alleata il castello di
Cagliari con tutti i diritti e le pertinenze ad esso competenti, riservando per
sé una casa, di immagazzinare nel castello provviste per due anni caricandosi
di metà della spesa, di riconoscere a Genova la facoltà di espellere dal castello
chi volesse, salvo i familiari suoi, e infine di far sì che tutto il commercio
marittimo si svolgesse nel porto di Cagliari. Da parte sua Genova s'impegnava e
impegnava i Genovesi a difendere Chiano come suo cittadino e a dargli un
palazzo in Genova e a riconoscerlo signore delle terre che con azione comune
potessero togliere ai nemici; concedeva ai Cagliaritani libera esportazione da
Genova delle merci di loro uso e immunità da certi tributi. Completava il patto
una clausola in base alla quale Chiano s'impegnava a prendere in moglie una
genovese; ed in effetti poco dopo suoi inviati partirono per Genova per
chiedere la mano di una giovane della famiglia Malocello. Il castello era stato
già consegnato ad Ogerio Scoto e a Giovanni Pontano inviati da Genova quali
podestà e castellano. Seguirono subito le espulsioni dei pisani contrari
all'accordo ed i preparativi di difesa.
Tutto il comportamento di Chiano
fu giudicato a Pisa come un tradimento intollerabile; la guerra fu decisa e per
condurla a buon fine fu chiesto il concorso di tutti i potentati pisani di
Sardegna. Giovanni Visconti giudice di Gallura e Guglielmo di Capraia giudice
d'Arborea marciarono con le loro forze sul castello di Cagliari; Gherardo e
Ugolino della Gherardesca salparono da Pisa con una piccola flotta di otto
navi. In soccorso di Chiano partì da Genova una squadra di ventiquattro galere
ma, essendosi attardata, nei lidi toscani per dare la caccia ad alcune navi
pisane, giunse a Cagliari quando Chiano, sconfitto e catturato egli stesso dai
Pisani, aveva già scontato con la vita la sua alleanza con Genova. La battaglia
e la sua morte avvennero tra il 17 luglio ed il 15 ott. 1256.
Fonti e Bibl.:
P. Tola, Codex diplomaticus
Sardiniae, I, Augusta Taurinorum 1861, docc. 86, 88-91;
D. Scano, Codice diplomatico delle relazioni fra la S. Sede e la Sardegna, I, Cagliari 1940, docc. 210, 212, 213;
Annalisti ignoti, a c. di G. Monteleone, in Annali genovesi di Caffaro e dei suoi continuatori, VI, Genova 1929, pp. 43-46;
P. Tola, Dizionario biogr. degli uomini ill. della Sardegna ..., I, Torino, 1837, p. 215;
G. Carlo, Genua und die Mächte am Mittelmeer, I, Halle 1895, pp. 17, 23, 25, 68; II, ibid. 1898, p. 20;
E. Besta, La Sardegna medievale, I, Palermo 1908, pp. 215-20;
N. Toscanelli, I conti di Donoratico della Gherardesca, Pisa 1937, pp. 51, 79;
D. Scano, Serie cronol. dei giudici sardi, in Arch. stor. sardo, XXI (1939), 3-4, p. 41;
E. Cristiani, Gli avvenimenti pisani nel periodo ugoliniano in una cronaca ined., Pisa 1957, p. 55; Id., Nobiltà e popolo nel comune di Pisa, Napoli 1962, p. 54;
A. Boscolo, C. di Massa,Guglielmo Cepolla e la caduta del giudicato di Cagliari, in Miscell. di storia ligure, IV (1966), pp. 7-18.
in http://www.treccani.it/enciclopedia/chiano_(Dizionario-Biografico)/
D. Scano, Codice diplomatico delle relazioni fra la S. Sede e la Sardegna, I, Cagliari 1940, docc. 210, 212, 213;
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in http://www.treccani.it/enciclopedia/chiano_(Dizionario-Biografico)/
Casata pisana i Malaspina?
RispondiEliminanon credo si possano definire pisani, sono stati alleati ma di origine pisane non mi risulta. Se non erro, i malaspina sono una derivazione degli Obertenghi, stanziatisi nei territori della lunigiana e della lucchesia.
Aurora blu
Si Aurora, i Malaspina derivavano dagli Obertenghi. Dove hai visto che erano pisani?
RispondiEliminaTieni comunque conto anche di un'altra cosa, da quando furono scritte queste biografie le ricerche storiche sono progredite notevolmente e alcune cose possono essere superate.