Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 19 (1976)
di Franco Cardini
CAPRAIA, Guglielmo da. -
Appartenne alla famiglia di quei conti di Capraia che, forti di possessi nei
contadi fiorentino, lucchese e pistoiese, si erano stabiliti in Pisa e
mischiati di buon ora alle cose sarde.
Incerta è la sua paternità, che
pur sarebbe essenziale conoscere per stabilire la reale portata dei suoi
diritti sull'Arborea e sul Cagliaritano. Taluno lo ritiene figlio di quel
Bertoldo che nel 1221 era riconosciuto da Onorio III signore di Usellus in
Arborea, e che sarebbe a sua volta figlio di Anselmo di Guido (Borgognone).
Prevale però l'idea ch'egli sia non figlio, bensì fratello di Bertoldo e di
Anselmo, entrambi signori di Usellus, nonché di un Rodolfo (II) da Capraia; e
che tutti e quattro siano nati dal matrimonio contratto nel 1193 da Bina, già
moglie del giudice Pietro d'Arborea, con un conte Ugo il quale sarebbe figlio
di Guido Borgognone o, comunque, imparentato strettamente con i da Capraia.
Nel 1238 il Capraia figura come
fatto già segno di speciale affetto da Pietro II di Bas, giudice d'Arborea, la
cui nonna materna era Guisiana da Capraia e che dalla moglie Diana Visconti
(altra sua parente, perché figlia di Ubaldo di Eldito Visconti e di Contessa da
Capraia) non aveva avuto figli. Evidentemente il giovane e brillante Guglielmo
si era fatto benvolere, alla corte del suo congiunto, e lo vediamo fino da
allora far parte dei suoi fedeli e portare il titolo di "donnicello",
riservato ai componenti delle famiglie giudicali.
Alla morte di Pietro, nel '41, il
Capraia si impadronì a poco a poco del giudicato, approfittando anche della
minor età del legittimo erede di esso, quel Mariano di Bas nato troppo tardi
dal secondo matrimonio di Pietro d'Arborea con Sardinia. Del resto il Capraia
fu un "usurpatore" sui generis, tenne presso di sé l'erede legittimo,
governò con moderazione sfruttando in modo intelligente tutti i titoli
familiari e politici che al governo dell'Arborea lo abilitavano, dalla sua
posizione di imparentato - essendo un da Capraia - ai Visconti e ai di Bas,
all'appoggio fornitogli dal Comune di Pisa. Assai più cauta fu invece con lui
la S. Sede, della quale Pietro d'Arborea era un vassallo fedele e che viceversa
non scordava i guai che le avventure di un altro conte di Capraia, Rodolfo, le
avevano procurato nell'isola.
Fino al 1250 il Capraia resse
quindi l'Arborea senza il riconoscimento pontificio e, semmai, con l'appoggio
ghibellino. Ma col prevalere della Chiesa sull'Impero nella politica generale
del tempo la situazione si fece più pesante e consigliò il compromesso. In
effetti nell'estate del '50 egli chiese alla Curia romana il riconoscimento dei
suoi poteri, e lo ottenne il 29 settembre di quell'anno. Nella sua rafforzata
posizione il Capraia poté meglio governare, elargendo favori ai mercanti pisani
e marsigliesi e collegandosi ai più grandi casati di Pisa: sposò difatti una
figlia di Ildebrandino Gualandi Cortevecchia e ne ebbe il figlio Nicolò, mentre
suo nipote Anselmo di Bertoldo si univa con Teccia di Gherardo conte di
Donoratico. Altre famiglie furono favorite: per esempio i Sighelmi, che già
erano stati in rapporto con Rodolfo da Capraia.
Questa politica pisana e
consortile perseguita dal Capraia preoccupava Innocenzo IV il quale era
obbligato ad assistere all'egemonia pisana su tutta l'isola, eccetto il
Turritano. Ma un tentativo pontificio di limitare l'autonomia del Capraia, nel
'52, rimase privo di risultati apprezzabili. Le cose parvero mutare quando il
giudice Chiano di Cagliari, stanco dell'egemonia pisana sulle sue terre e in
particolar modo sulla sua capitale, si alleò nel 1256 con Genova e prese
addirittura la cittadinanza genovese. Il castello di Cagliari fu strappato ai
Pisani e nonostante la morte di Chiano (ottobre '56) la guerra continuò, e in
essa il Capraia svolse un ruolo primario. Un tentativo di mediazione, proposto
da Alessandro IV e dall'arcivescovo di Cagliari, nominato per la circostanza
legato pontificio, non sortì a niente. Il Capraia comandò l'assedio di
Cagliari, che alla fine si arrese; e più tardi la sua azione per via di terra -
combinata con quella di Ottone Gualduccio per via di mare - fece sì che anche
l'ultima roccaforte genovese nel Cagliaritano, il castello di Santa Igia, si
arrendesse (20 luglio 1257). In questa guerra portò il titolo di
"generalis vicarius Pisanorum in Sardinia existentium". Il risultato
della campagna fu che il Cagliaritano, sgombrato dall'ipoteca genovese, venne
diviso in tre parti date rispettivamente in feudo ai conti di Capraia giudici
di Arborea, ai Visconti giudici di Gallura e ai conti della Gherardesca.
Saranno queste le famiglie dei domini Sardiniae, attraverso le quali Pisa
controllò l'isola nel periodo compreso fra 1257 e 1284 e caratterizzato da
un'egemonia apparentemente quasi assoluta su di essa.
Da allora il "magnificus vir
dominus Guilelmus, comes Caprarie, iudex Arboree et tertie partis regni
callaritani" divenne l'elemento dinamico del gruppo dirigente pisano in
Sardegna: fece sua l'antica ambizione dei giudici d'Arborea, quella di
sottomettere una parte del Logudoro, e la perseguì nonostante i rapporti tra
Genova e Pisa si avviassero, dal 1258, verso una fase distensiva. Alla morte
della giudichessa Adelasia, si profilò uno scontro fra Doria e Spinola da un
lato - i quali avevano possessi e mire sul Logudoro - e Ugolino di Donoratico -
che tutelava come vicario i diritti di re Enzo e del proprio figlio Guelfo,
sposo della figlia di questo Elena - dall'altro. Gugliemo appoggiò Ugolino e
tentò di metter le mani su alcuni castelli logudoresi.
Ma l'ingresso nella questione di
Manfredi in deciso appoggio a Genova e alle pretese dei Doria modificò la
situazione. Ugolino di Donoratico si affiancò a Manfredi, in ciò seguito dal
Comune di Pisa. Il Capraia continuò da solo l'offensiva nel Logudoro
proseguendo l'attacco contro il castello del Goceano che gli opponeva
resistenza accanita, e trovò un nuovo alleato nel pontefice Urbano IV che
nell'aprile del 1262 interveniva decisamente in suo aiuto bandendo la crociata
contro Manfredi.
Pisa cercò ancora una volta di
comporre la questione e di piegare pacificamente il Capraia alle esigenze della
sua politica utilizzando il suo arcivescovo, Federico Visconti, fratello del
giudice di Gallura nonché- come figlio di Contessa da Capraia - imparentato con
Guglielmo. Il Visconti giunse nell'isola nel marzo 1263 per una "visita
pastorale" di trasparente contenuto politico; si atteggiava a legato
papale per favorire in questa veste la causa di Manfredi, il che sollevò
naturalmente le proteste del pontefice. Il Capraia, da parte sua, non volle
rompere col parente ch'era anche emissario della sua patria: dopo aver evitato
dapprima un abboccamento, si piegò ad incontrarlo, a rendergli omaggio, a
passare con lui la Pentecoste. In pratica non si lasciò però dissuadere dalla
sua linea politica: nel giugno, quando l'arcivescovo lasciò la Sardegna, la
guerra continuava.
Ma il Capraia non riuscì a
piegare il Logudoro. Egli si spense infatti poco dopo, pare nell'anno 1264,
senza esser riuscito ad aver ragione neppure del castello del Goceano.
Lasciava due figli minorenni,
Nicolò e Guglielmino, che pare fosse illegittimo. Nel testamento affidava i
suoi beni sardi a Nicolò sotto la tutela del donnicello Mariano di Bas e con la
clausola che, se fosse morto ancor minorenne o senza prole, l'eredità sarebbe
passata a Guglielmino. Nel giugno del 1265, una convenzione tra il Comune
pisano e "Marianus donnicellus, Arboree baiulus" per sé e per il suo
pupillo Nicolò, che ribadiva il vassallaggio dei giudici d'Arborea a Pisa e la
loro cittadinanza pisana, veniva come tale inserita negli statuti della città.
Ma ben presto Mariano, imprigionato Nicolò - che peraltro morì nel 1274 senza
prole - e senza tener conto dei diritti di Guglielmino, s'impadronì del potere
proclamandosi giudice d'Arborea, signore del terzo del Cagliaritano e vicario
della Chiesa per il Logudoro. Finiva così per svanire la potenza dei da Capraia
in Sardegna.
Fonti e Bibl.:
Arch. di Stato di Pisa,
Diplomatico,Atti pubblici, 1255 dic. 31 (st. pis. 1256);
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Chronicon aliud breve Pisanum incerti auctoris, in Rerum Italic. script., 2 ed., VI, 2, a cura di M. Lupo Gentile, pp. 109 ss.; Statuti ined. della città di Pisa dal XII al XIV secolo, a cura di F. Bonaini, I, Firenze 1854, p. 595;
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G. Caro, Genua und die Mächte am Mittelmeer,1257-1311, I, Halle 1895, pp. 24, 68; II, ibid. 1899, pp. 20, 22;
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E. Besta, Sardegna mediev., Palermo 1909, pp. 215-17, 228 ss., 231-33;
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A. Boscolo, Su alcuni caval. di re Enzo e su G. di C…, in Studi sardi, X-XI(1952), pp. 386-388;
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E. Cristiani, Nobiltà e popolo nel Comune di Pisa, Napoli 1962, pp. 54-56;
A. Boscolo, I conti di Capraia,Pisa e la Sardegna, Cagliari 1966, pp. 51-72.
Fonte: http://www.treccani.it/enciclopedia/guglielmo-da-capraia_(Dizionario-Biografico)/
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Fonte: http://www.treccani.it/enciclopedia/guglielmo-da-capraia_(Dizionario-Biografico)/
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