giovedì 26 settembre 2013

Perico de Llibià signore di Turri

Perico de Llibià signore di Turri
di Antonio Forci*
 
(qui la scheda di Turri)
Perico o Pere [III] de Llibià era figlio del più noto Pere [II] de Llibià, consigliere e stretto collaboratore dell’infante Alfonso, che seguì nella spedizione di conquista della Sardegna. Con carta del 21 giugno 1325 ottenne in feudo secondo il costume d’Italia una rendita annua di 4.000 soldi di genovini sopra i redditi di una o più ville della suddetta isola, col servizio di due cavalli armati e la riserva del mero imperio[1]. Come in altri casi analoghi furono gli amministratori generali Pere de Llibià e Arnau de Caçà ad individuare le ville da concedergli in feudo: Nuraminis S. Pietro, Borro e Moraxesus, site nella curatoria di Nuraminis, Gurgo de Sipollo e Sogus de Turri, site nella curatoria di Gippi, e Turri de Tragenta, sita nella curatoria di Trexenta[2].
Quando la Corona d’Aragona stipulò la seconda pace con Pisa (25 aprile 1326), al comune toscano andarono tutte le ville delle curatorie di Gippi e Trexenta e al nostro Perico furono sottratte le ville di Gurgo de Sipollo, Sogus de Turri e Turri de Tragenta, col diritto a rientrarne in possesso qualora la Corona le avesse in qualche modo recuperate. Così quando l’infante Alfonso, sulla base di un accordo raggiunto con i feudatari della Sardegna che non detenevano il mero imperio, riconobbe a Perico de Llibià la metà del denaro proveniente dall’esazione delle machizie nelle sue ville di Nuraminis S. Pietro, Borro e Moraxesus, tale concessione fu estesa alle tre ville di Gippi e Trexenta da lui perdute, nel caso in cui le avesse riacquisite dopo il passaggio a Pisa[3]. Dalla documentazione riscontrata nei registri della Corona d’Aragona si evince che Perico non fu indennizzato con altri possedimenti, ma gli fu semplicemente riconosciuta la riduzione del servizio militare ad un cavallo armato.

Sappiamo altresì che i redditi delle tre ville rimastegli erano così modesti che il servizio gli fu ulteriormente ridotto ad un cavallo alforrato, cioè armato alla leggera[4].
L’avventura di Perico de Llibià come feudatario del regno di Sardegna sembrerebbe concludersi a Torroella de Montgrí il 21 marzo 1334, quando vendette al fratello Nicholau, feudatario di Siliqua[5] e castellano del castello di Acquafredda[6], le ville di Nuraminis S. Pietro, Borro e Moraxesus[7].

Ma la morte di lì a qualche mese di Nicholau fece sì che Perico fosse nominato castellano del castello di Acquafredda[8] e succedesse come erede universale nei possedimenti feudali del defunto fratello, prestando giuramento di fedeltà ore et manibus al re Alfonso IV[9]. In un documento databile alla fine del 1334 ove i feudatari del regno di Sardegna sono chiamati a contribuire in cavalli armati o denaro alla guerra contro i Doria, figura che:
En Perico de Libia te lochs valents de renda LXVII libres, XIII sols per les quals e tengut de fer serviy d’un cavall alforrat. Item te los lochs qui foren d’en Nicholay de Libia qui valen CXLII libres, X sols a serviy d’un cavall armat. E axi oltre los dits cavall armat e alforrat deu fer I altre cavall alforrat o pagar XX libres, V sols[10].

Il 6 gennaio 1337 Ramon de Senesterra, come procuratore di Brunissenda, vedova «Petri de Libiano militis Turricelle de Montegrino» e tutrice del figlio minorenne ed erede universale Ramon, prestò giuramento di fedeltà e omaggio al re Pietro IV per le ville tenute in feudo dalla famiglia Llibià in Sardegna[11].

 

 

* Antonio FORCI, Feudi e feudatari in Trexenta (Sardegna meridionale) agli esordi della dominazione catalano-aragonese (1324-1326), in “Sardinia. A Mediterranean Crossroads. 12th Annual Mediterranean Studies Congress (Cagliari, 27-30 maggio 2009)” a cura di Olivetta Schena e Luciano Gallinari, ora in “RiMe. Rivista dell’Istituto di Storia dell’Europa Mediterranea”, n. 4, giugno 2010, Cagliari 2010.

 



[1] ACA, Real Cancillería, reg. 399, ff. 5r, 15r-v (1325 giugno 21, Daroca).
[2] ACA, Real Cancillería, reg. 403, f. 233r (1327 agosto 1, Morella).
[3] ACA, Real Cancillería, reg. 512, f. 285r-v (1331 dicembre 4, Valenza). La villa, scomparsa nel corso del secolo XIV, sembrerebbe aver lasciato tracce di sé nel toponimo Turriga, circa km 1,5 a sud di Selegas (IGM, Carta d’Italia 1:25.000, Foglio n° 548, sez. IV-Senorbì, Firenze, 1992. Appare tuttavia plausibile anche la localizzazione in territorio di Ortacesus, presso l’attuale Bruncu de Turri, proposta da Silvestro GHIANI, La Trexenta antica cit., p. 193.
[4] Cfr. supra, nota 355.
[5] ACA, Real Cancillería, reg. 514, f. 219r-v.
[6] ACA, Real Cancillería, reg. 516, f. 267v (1334 aprile 16, Teruel): Nicholao de Llibià tiene in custodia per conto del re il castello di Acquafredda che necessita di riparazioni così come il borgo.
[7] ACA, Real Cancillería, reg. 516, f. 263r-v (1334 aprile 15, Teruel): assenso regio alla vendita.
[8] ACA, Real Cancillería, reg. 517, ff. 63v-64r (1334 agosto 6, Teruel).
[9] ACA, Real Cancillería, reg. 517, ff. 126v-127r (1335 febbraio, Valenza).
[10] ACA, Real Cancillería, reg. 517, f. 100v.
[11] Cfr. Giuseppe SPIGA, Feudi e feudatari nel regnum Sardiniae et Corsicae fra il 1336 e il 1338 cit., p. 875.

Nessun commento:

Posta un commento